Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Sto finendo il
carburante, è ufficiale. Il mio serbatoio urla vendetta lampeggiando
imperioso con una lucetta rossa sul cruscotto. So bene che devo
mettermi in fila con gli altri, educatamente pronta a sborsare un
sacco di soldi solo per poter continuare a muovermi per il mondo.
Dannatissimi aumenti dei prezzi.
Quando sono arrivata a
Roma, un quantitativo di anni fa che non ho alcuna voglia di contare,
la benzina costava molto meno, cercavi casa strappando i numeri di
telefono dai lampioni e gli autobus notturni non avevano la N davanti
al numero.
Forse, eravamo tutti
più svegli.
Forse, si stava meglio
quando si stava peggio.
Forse, la dietrologia è
una scienza esatta.
Il
presente, però, è così prepotente che se togli una s
e ci metti un pot
è
già di per se stesso contenuto nella sua stessa pre(s/pot)enza.
Quindi, sono in coda,
molto più educatamente delle ottuagenarie che mi guardano con gli
occhi da cagnolino bastonato e che faccio passare avanti nella fila,
anche se hanno molto più tempo libero di me ed una pensione alla
quale io non potrò mai aspirare. Ecco, è arrivato il mio turno di
fare il pieno.
“L'estathè
era finito e lei avrebbe voluto ammazzarsi...”
“Cazzo,
sì. Voglio ammazzarmi!”
“Era
rimasta attonita di fronte agli scaffali delle bevande migliori, nel
reparto più sexy del supermercato. Come avrebbe fatto a far partire
la sua macchina, senza benzina?”
“Si,
come farò?”
“A
quel punto, dalla rabbia, lei divampò.”
“Mi
hanno detto che nessuno divampa, che non lo si deve mai scrivere, a
meno che non si sta raccontando di quel programma terribile che fanno
su Real
Time
e che si chiama 'Malattie imbarazzanti'. Lì, sì che la gente
divampa...”
“Era
così concentrata sull'assenza di una pur minima traccia di estathè
da poter leccare via da un ripiano che nemmeno si accorse che il thè
della San Pellegrino era in offerta...”
“A
parte che io non leccherei mai il thè da un ripiano (a meno che non
sia il ripiano di casa mia sul quale il mio coinquilino più
rincoglionito ha fatto cadere l'estathè mentre se ne versava un
bicchiere sotto i miei occhi attenti -pare che io metta un po'
d'ansia-). E poi, soprattutto: la voce fuoricampo del Belté non si
può sentire! Ma che é? Pubblicità occulta?”
“Lei
era un po' nervosa...”
“E
basta con questa terza persona! T'ho sgamato, ormai...”
“...
ed era veramente capace di trasmettere una certa ansia.”
“Senti,
non lo voglio il Belté. Mannaggia a te e alla San Pellegrino...”
Quando sono arrivata a
Roma, l'estathè costava almeno venti centesimi meno di adesso, il
biglietto dell'autobus almeno un quindici per cento in meno e c'erano
ancora due zeri consecutivi nel progressivo dell'annualità sul
calendario.
Il tempo è passato
inesorabile sulle nostre teste e piuttosto bastardo nelle nostre
tasche, ma mi ha lasciato in dono un grandissimo punto fermo.
Da che ne ho memoria,
l'estathè non è mai stato in offerta. Mai.
E'
come la cocaina, non ne ha bisogno.
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