Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

mercoledì 16 dicembre 2015

Thèmperaturo

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Ieri notte ho sognato che ero al banco con Raffaele La Capria e ci assegnavano un tema sulle «cose da fare» e lui scriveva tantissimo, mentre io non ce la facevo a scrivere niente. Mi venivano pure dei pensieri in mente, ma avevo una matita tutta spuntata e, mentre cercavo di farla funzionare, ruotandola su se stessa in modo da beccare almeno uno scalinetto di grafite, mi scordavo quello che volevo scrivere. A differenza mia, La Capria era calmissimo e procedeva sul foglio protocollo con la penna blu e una scrittura perfetta.
Mi sono svegliata affaticata, con l'ansia di dover consegnare un compito in classe, quindi sono andata alla scrivania e ho aggiunto Svolgere tema alla lista delle cose da fare; poi ci ho riflettuto un attimo e ho scritto anche: Prima, però, temperare la matita.
La lista delle cose da fare è uno dei cardini della mia esistenza, un'arte che ho affinato nel tempo e che risulta essere una specie di linea temporale, che segna il punto in cui sono, lo zero mattutino che mi è necessario per discerne il passato dal futuro: quando depenno, non cancello, tiro solo una riga che mi permette di continuare a visualizzare quello che ho concluso, nella speranza di rendere sensata questa diffusa e quotidiana insensatezza.
Qualche giorno fa, Oris ha impunemente scritto sul mio elenco: Non bere Estathè, ma io me ne sono accorta e l'ho cancellato subito. Stamattina, poi, ci ho ripassato la penna sopra, un po' per sicurezza, un po' per stemperare la mia voglia di picchiare Oris.

«Stemperare, temperare, temperino, tempra, temperatura, tempera...»
«Vincent, stai di nuovo giocando a Il bersaglio sulla Settimana Enigmistica?»
«No, stavo pensando a che sapore ha la tempera. Strano che non lo ricordo, visto che ne ho ingoiata parecchia, ma non mi ricordo nemmeno se è stato prima di tagliarmi l'orecchio... Sicuramente è successo dopo essere stato rinchiuso a Saint-Rémy-de-Provence.»
«Non è che è stato mentre dipingevi i miei adorati Iris
«Non ricordo, ma dovresti fare una ricerca su questa storia. Lo puoi aggiungere alla lista?»
«Che scrivo? Scoprire il sapore della tempera?».

Condivido il mio amore per le lunghissime To do list con Draco Malfoy, il mio amico della casa Serpeverde, quello che ha tre occupazioni principali nella vita: insultarmi, lamentarsi e perdere le cose (perde continuamente la macchina, le strade, le giacche – ah, Draco, quella marrone l'hai lasciata a casa mia – e poi, principalmente perde il senno). Inizio a sospettare che, siccome perde sempre anche le sue lunghissime liste delle cose da fare, Draco continui a occuparsi di insultarmi e soffrire perché l'aveva scritto in qualche lista andata persa e, non avendo fatto in tempo a depennarlo, è costretto a continuare così per sempre. 
A differenza delle liste ad interim che Draco mi mostra su Skype prima di lamentarsi, le mie sono liste mensili, molto organizzate, suddivise in mansioni settimanali (nel caso di impegni a scadenza breve), che vengono messe al sicuro (da quasi tutto, ma non da Oris purtroppo), in modo da non rimanere bloccata in nessuna ossessione reiterativa.

Pulire finestre. Fatto.
Lavatrice: due. Fatta una.
Comprare telefono nuovo: questo non l'ho scritto io. E comunque: non fatto.
Rischiare la vita in inseguimento notturno di uno che si frequenta con un'amica e che l'amica - con te in macchina - ha incontrato per caso a un semaforo. Fatto.
Sopravvivere. Grazie al cielo, fatto.
Leggere libro su come procedere in scelte razionali su base probabilistica. Bloccata al teorema di Bayes.
Comprare Esthathè. Fatto, ma rifare.
Farsi sgridare da un tassista per aver poggiato sul sedile una scatola che lui ha scambiato per il cartone di una pizza. Fatto.
Mandarlo a fanculo. Non fatto.
Rispondere garbatamente che si tratta di una macchina da scrivere e che non c'è pomodoro sopra perché sei allergica. Fatto.
Scrivere quella mail che non vuoi scrivere. Fatto.
Dire una bugia. Appena fatto.

«Comprare temperaturo? Iris, qui c'è scritto temperaturo. È un errore? Oppure è una variazione di tempera che non conosco?»
«No, Vincent. Quello è per nonna Berta, ma possiamo cancellare perché ha risolto da sola»
«Non capisco»
«So che temperare di solito vuol dire: mescere, ingentilire, raffreddare, mitigare, addolcire, regolare, appuntare e quant'altro tu sai già. Ma, nel mio dialetto, temperare vuol dire innaffiare e, per nonna Berta, temperaturo vuol dire innaffiatoio»
«Temperamento, temperanza, temperatore, temperaturo: mi piace»
«Lo so, piace anche a me»
«Sai come si dice temperaturo, in francese?»
«Ma tu non eri olandese, Van Gogh?»
«Sì, ma sono morto in Francia e poi in olandese temperaturo si dice gieter, mentre in francese si dice arrosoir. Vuoi mettere? Sembra arrossire. Dai! Aggiungi Arrossire alla tua lista...»

Partendo dal presupposto che non si dovrebbero mai accettare i consigli di un pittore olandese che si è tagliato il lobo dell'orecchio sinistro e poi lo ha incartato per portarlo in ricordo a una prostituta sedicenne (anche se ha dipinto il quadro che più amo al mondo), a volte succede che dopo un brutto sogno, di una brutta notte, di una brutta settimana, si ceda a scrivere propositi stupidi, moniti che non c'è alcun modo di controllare, decidere o prevedere. Roba tipo:
Incontrare La Capria e chiedere di poter leggere il suo tema.
Smettere di tossire.
Farsi pagare fatture in sospeso.
Ritrovare la macchina di Draco Malfoy.
Per scoprire il sapore della tempera, assaggiare un colore – non c'è altro modo.
Innamorarsi.
Far ereditare ad Oris una pelliccia maculata che lei comincerà a indossare in casa.
(Ah, no. Quest'ultima no. Questa è successa, la devo depennare)

C'è confusione, c'è davvero molta confusione: infatti, sono dieci minuti che innaffio la matita, eppure non c'è modo di fargli punta. Quanto altro la devo temperare per poterlo cancellare dalla mia lista?



P.S. Questa è una foto di Draco con la felpa di casa Serpeverde, mentre mi mostra fiero la sua lunghissima To do list.


martedì 24 novembre 2015

L'orizzonthè degli eventi

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

È decisamente troppo che non scrivo un post, più di un mese. Potrei smuovere l'intera struttura quadrimensionale dello spaziotempo per capire come ho fatto ad accumulare tutto questo ritardo, ma so bene che «Ho dovuto tenere in braccio un gatto nudo» o «Ho avuto a che fare con l'energia delle maree» oppure «Ero intenta a riempire quasi quattrocento pass per allevatori di mici da esposizione» o addirittura «Si sono scordati di portarmi i piedi del letto», per non dire «Ho vinto il Premio Riccione per il Teatro», sono tutte giustificazioni che non reggono. Roba talmente surreale da non convincere nessuno.
Eppure, è successo: lo sphynx – il gatto nudo – si chiamava Yuri ed era uno scaldino di 38 gradi centigradi; non ho potuto scrivere che l'idrocinetica marina sta ai mulini idraulici come il mio ragazzino delle ripetizioni che fa surf sta a me che imparo a nuotare con la tavoletta in piscina - ma l'ho pensato; Oris mi ha scudisciato con iFrusta fino a che non ho montato l'ultimo badge della fiera; Pezzetta mi ha sgridato perché con i tipi del letto ho usato la frase: «Dubito che sia possibile...» e loro – che non erano italiani – mi hanno risposto: «Scusi, signora, non abbiamo capito che ha detto» (però non ha sgridato loro per avermi chiamato 'signora') e poi, improvvisamente, una voce ha annunciato: «Vince la 53° edizione del Premio Riccione per il Teatro 'L'orizzonte degli eventi' di Elisa Casseri».
Al che ci sarebbero un paio di cose da dire. Innanzitutto: «Elisa Casseri? Chi diavolo è costei?» (sarei io, che mi faccio chiamare così, ogni tanto, fuori da questo blog) e poi: «Come può essere che i titoli dei miei testi finiscono sempre per contenere thè?» (c'è Thèoria idraulica delle famiglie, L'orizzonthè degli eventi, ma anche La geometria della notthè e altri).
«I tuoi titoli contengono me?», mi ha detto un piccolo e amorevole brick.
«Certo, tutto quello che scrivo contiene te...», gli ho risposto, tirandolo fuori dal frigo e portandomelo in camera.
Ma il nostro idillio amoroso non è durato molto: Oris non ha dato il tempo all'Estathè di esprimersi come voce fuoricampo ufficiale di questo blog perché è comparsa sulla porta, urlando: «Ti stai strusciando un brick di Estathè sul collo. Cosa sono? Preliminari?»
«Oris, da dove esce tutta questa aggressività? E soprattutto: cosa avevamo detto riguardo al piombare in camera mia mentre sto scrivendo? Hai un carnet settimanale per le interruzioni, non lo sprecare...»
«Alzati da quella sedia»
«Non credo proprio...»
«Ho detto 'Alzati'»
«Cosa credi di fare con quel pomodoro? Mi stai minacciando?»
Sì, mi sta minacciando.

Fermi tutti. Questa è un'occupazione. Sono stanca di essere – al massimo – una voce fuoricampo, sono stanca che Iris abbia sempre l'ultima parola. L'ho legata ai piedi del letto e lei mi sta dicendo di non ciccare sul suo computer – e pensare che non sto nemmeno fumando. È proprio questo il fatto: in un mondo giusto e ben governato, con me come imperatrice e nonna Tyrell come consigliera, Iris non potrebbe fare quello che fa.
Non potrebbe ribellarsi alla mia volontà, non potrebbe avere sempre strani disturbi, sintomi di malattie inspiegabili. Non potrebbe stringere le amicizie che stringe, quelle con i bambocci, gli egoisti, i pazzi scriteriati (tutte cose che fa alle mie spalle e poi mi porta davanti belle e pronte). E poi soprattutto, non potrebbe tornare dallo shopping con una sola e piccolissima bustina, che invece di un vestito, contiene un barattolo a pois con una cannuccia, una specie di biberon che, da quel momento, accompagnerà tutte le sue apparizioni, che ci sia o meno gente in casa – che imbarazzo.

«Dai, Oris, basta! Ma che stai scrivendo...»
«Stai tranquilla. Tieni questo. Bevi dal tuo barattolo»

Credete sia facile essere me? Lei crede che lo sia. Lei crede sia divertente vederla sul palco di Fahrenheit che fa dei respironi e temere che vomiterà o esserle seduta accanto quando dal palco la annunciano come vincitrice del Premio Riccione e lei mi guarda con gli occhi più inquietanti che ha e io penso: «Ora sviene, ora vomita, ora cade, ora va là sopra e dice Estathè» e poi doverla sentire che mi domanda: «Ma perché mi guardi sempre così? Ma che ti guardi?».
Che mi guardo? CHE MI GUARDO?
In un mondo giusto, non accadrebbe tutto questo. Quindi sono qui, in occupazione del suo blog.
Vorrei far notare che sono un'imperatrice molto ragionevole: invece di defenestrarla, mi limito a mettere altro dissenso in un cumulo già gigante di disapprovazione.

«Sai cosa mi fa arrabbiare? Che tu e tua madre pensate che sia colpa mia quello che mi succede. Mi stai minacciando con un pomodoro, ma non ti vergogni?»

Ho resistito, sono anni che resisto: ma, ieri sera, abbiamo raggiunto il limite, ieri sera questa tizia alla quale sono indissolubilmente legata (i legami di sangue sono una grande fregatura: nel mio mondo ideale, non esisterebbero – come del resto la riproduzione), la nostra Iris, l'ho vista vomitare acqua e un solo pomodoro, ingerito tra l'altro 9 ore prima. Mi dovete dire: chi è che vomita un pomodoro e poi ti dice: «In effetti, sono due e tre volte che dopo mangiato mi viene l'orticaria sul collo e avevo sempre mangiato pomodori, prima...»? Chi è che tossisce da tre settimane e che si è curata prima per un'influenza, poi per il reflusso gastroesofageo e ha infine scoperto che probabilmente si tratta di una tosse allergica e il problema è piccolo, rosso e acidulo?
E quindi eccoci qua: forse abbiamo una nuova ed entusiasmante allergia al pomodoro.

«Se continui a puntarmelo, finisce che me lo mangio. Poi non ti lamentare se tossisco e non senti bene le battute dei film...»

Sorelle in ascolto, è finito il tempo della comprensione: basta sintomi, basta nervosismo, basta nausea, rash cutanei e tosse. E soprattutto basta Estathè: una bevanda inelegante, dozzinale e piena di zuccheri. Mi dice sempre che non posso incazzarmi, che lei berrà pure Estathé, ma io fumo.
Una volta per tutte: fumare è nel decalogo di qualsiasi leader mondiale, bere Estathè come se fosse acqua è nel decalogo di quelli che finiscono ad abbracciare gli alberi e a chiamarli per nome.
Ecco, ho finito.

Sapete perché non cancello questi sproloqui? Perché sono buona – e anche perché temo una rappresaglia, certo. E poi, pure perché Oris ha un pochino di ragione: lei è un'iper-ansiosa e io sono un guaio perenne, con una vita confusa, i sensi di colpa e gravissimi problemi con la gioia e con il tempo. Ma che ci posso fare se capitano tutte a me? Se tra maree, gatti nudi, piedi del letto, badge allevatori e pomodori passa un mese e nemmeno me ne accorgo? L'intera struttura quadrimensionale dello spaziotempo si prende gioco di me, mi pare chiaro.
Non mi resta che strusciarmi un brick di Estathè sul collo invece di grattarmi, restare ferma e trovare un modo che sia meno goffo di questo per guardare il sole – che quando tramonta sull'orizzonte, comunque, sembra proprio un pomodoro.

«Non sei brava ad essere felice: questo è. Se comandassi io, ti farei venire un'allergia alla teina...»
«Ma non avevi finito?»
«Sono sempre qua. Non vado da nessuna parte. E soprattutto: io non finisco mai...»

«Sulla soglia dei buchi neri esiste una superficie limite, una regione dello spaziotempo che separa il posto da cui è ancora possibile osservare un fenomeno dal posto in cui non lo è più. Questa superficie si chiama orizzonte degli eventi e, in pratica, è la bordatura dell'universo così come lo conosciamo.»
«Quindi, bisogna stare su questo orizzonte, per non finire nei buchi neri?»
«In realtà, proprio come un qualsiasi orizzonte, è irraggiungibile: si allontana all'avvicinarsi dell'osservatore. Funziona come il futuro.»
(L'orizzonte degli eventi, Elisa Casseri – chiunque essa sia)



domenica 18 ottobre 2015

Valvole di rithègno

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

L'entusiasmo con il quale mia madre mi ha telefonato per dirmi che si era rotto il serbatoio del nostro sistema idraulico mi ha fatto subito pensare a quella volta che ho preso 4 in matematica (l'unica volta in vita mia che ho preso 4 in matematica): glielo avevo comunicato tra i singhiozzi, disperata, e lei si era messa a ridere, era arrivata perfino a esultare, «Evviva!»: aveva detto a mio padre; e allora io, incredula, avevo iniziato ad accusarla di avermi rovinato la carriera scolastica e la vita, obbligandomi ad andare in settimana bianca senza libri, che era colpa sua se il compito a sorpresa al mio rientro mi aveva colto impreparata. Devo ammettere che nessuna accusa aveva minimamente scalfito il suo atteggiamento gioioso: forse mi stava educando alla sconfitta o forse ho solamente una mamma un po' strana.
Dunque, quando l'ho sentita che mi urlava felice: «Iris, non puoi capire! Si è rotto il serbatoio dell'acqua!», non mi sono preoccupata, non l'ho immaginata in preda a un raptus distruttivo, non me la sono figurata nell'atto di percuotere il serbatoio con la sua pesantissima borsa sempre piena di roba e di fogli, ho impedito alla mia mente di visualizzarla mentre aizzava Léon contro la cisterna, sventagliando una merendina come ricompensa, no: invece di pensare che quell'entusiasmo fosse causato dalla vittoria di una donna troppo multitasking contro un oggetto che si limita a fare una cosa e che la fa pure male, io ho bucato un brick di Estathè e l'ho fatta finire di parlare.
«Non abbiamo capito subito cosa fosse successo, ma poi l'idraulico ci ha detto che...»
Forse è stata la fine rumorosa (e velocissima - come al solito) del mio brick di Estathè che ha coperto la grande notizia o forse mi sono distratta perché ogni volta che qualcuno si mette a parlare di idraulici la mia testa si riempie del soundtrack di SuperMario Bros, fatto sta che l'ho dovuta far ripetere.
«IRIS! SI È ROTTA LA VALVOLA DI RITEGNO!», ha urlato allora mia madre, con estremo giubilo.

«(fufufu) Iris, (fufu) non penserai mica che questo (fu) c'entri qualcosa con il tuo libro...»
«SuperMario! Ma che è 'sto fiatone? Scusa se te lo dico, ma questa salopette inizia a starti un pochino stretta!»
«Lo so. (fufufu) Corri, salta, prendi la bandierina, mangia i funghi e uccidi le tartarughe: (fufu) sono diventato vecchio per tutta questa roba (fu). Ma dicevamo di te...»
«Stai tranquillo... Figurati se penso che la rottura di questa valvola c'entri qualcosa con me!»
«(fufu) Giuralo. (fu) Sull'Estathè.»
«Non posso giurare sulla console del Nintendo che mio padre ha nascosto in cantina?»
(fine del soundtrack)

Il fatto è questo: non posso giurare il falso sull'Estathè, non posso far finta di non aver condiviso l'entusiasmo di mia madre, per una volta: scrivo un intero romanzo sulle famiglie come sistema idraulico in cui la protagonista è un contenitore collegato a una valvola di ritegno e poi capita che, a casa della mia famiglia, si inceppa la distribuzione dell'acqua proprio per colpa di quel piccolo pezzo meccanico che mi ha ossessionata per anni. È ovvio che io me ne chieda il perché, no?
Come quando capita di pensare a una persona un attimo prima che il suo nome brilli sul display del telefono tra le chiamate in entrata o di finire sempre allo stesso tavolo, ogni volta che si va in un locale. Capita perfino di avere una fissazione deterministica tipo quella di Pezzetta che sostiene che ore e minuti si equivalgano tutte le volte che guarda l'orologio («Ecco, sono le 09:09. (…) Guarda ora! Le 21:21!» «Pezzetta, perdona: dove credi ti porterà queste simmetria? Alla fermata del 360:360?» «Non lo so, ma lo scoprirò»).
Io e mia madre non siamo le uniche ad avere attimi di fatalismo, non siamo le uniche pronte a giurare sulla console del Nintendo che tutto accade per un motivo, che certe volte ogni cosa sembra avere senso.

«IRIS, CAPISCI? TE LA TIENAMO DA PARTE! ORA TUO PADRE LA PULISCE: TE LA DIAMO QUANDO VIENI!», ha continuato a urlare mia madre.
«POTREI FARCI UNA COLLANA!», l'ho seguita io, con il tono dell'esaltazione.
E allora: «Non ti sento più...», mi ha risposto tra gli abbai di Leon – sono quasi certa che, in realtà, mi abbia sentito e che abbia biecamente sventagliato una merendina per incitare Léon a far casino, pur di non avvallare una delle mie sempre un po' strane idee in fatto di accessori (non ha mai accettato gli scaldamuscoli che ho fatto con le maniche di un maglione, le polsiere a mezzo guanto ricavate da un paio di calzini a righe e le attache che usavo come fermacapelli – eviterò di riportare le ignominie che mi riservava Oris, in quei miei periodi bizzarri).

(soundtrack di SuperMario Bros)
«(fufufu) Iris, le cose non hanno mai senso (fufu): ce l'hanno solo (fu) quando andiamo alla ricerca maniacale di risposte...»
«SuperLuigi, sempre a dissentire, voi due! E tutti e due co 'sto fiatone...»
«(fufufu) Siamo videogiochi degli anni '80, (fufu) con sole 2D (fu): che cosa ci vuoi fare?»
«Aspetta. Non è che mia madre, la valvola di ritegno, voi due che rappresentate la mia vita in 2D, non è che significate qualcosa di più complesso di quello che ho immaginato? Che senso ha tutto questo?»
(fine del soundtrack)

Non ho fatto una collana con la valvola di ritegno (ma solo perché mio padre non l'aveva pulita abbastanza bene): l'ho messa su una mensola insieme alla valvola a farfalla che un ragazzo mi ha regalato - spacciandola per una valvola di ritegno - per cercare di conquistarmi. Adesso che sto scrivendo di lei, mi guarda da quel ripiano con il suo tentativo di boicottaggio in corpo, con la sua rivoluzione dentro: quando si era rotta non permetteva più all'acqua né di entrare né di uscire, era diventata una specie di tappo che aveva fatto chiudere a riccio il sistema, aveva cercato di contrastare i collegamenti, di interrompere i flussi, di fare un nodo ai tubi.
Succede quando pensi che tanto non completerai mai tutti i livelli di SuperMario Bros, non salverai mai la principessa Peach, non recupererai mai quel 4 in matematica, non impedirai mai a tua madre di dare le merendine a Léon, al tuo orologio di interrompere la simmetria, alla tua mente di essere impunemente veggente o a tua sorella di fermarsi i capelli con le attache. Succede quando pensi che nonno Peppino non smetterà mai di mancarti. E allora rompi la valvola di ritegno e chi si è visto si è visto.

«IRIS! Papà ti ha ritrovato il Nintendo, che ci dobbiamo fare?»
«Non lo so, quando torno proviamo a dargli un po' di fiato e vediamo che succede».

martedì 29 settembre 2015

Thèsta o croce?

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

«La capacità di scelta è una dote? Oppure morire di fame come l'asino di Buridano perché non si sa scegliere da quale mucchio di fieno mangiare è sintomo di ragionevolezza e controllo? Come ci poniamo verso le scelte sbagliate, magari imbroccate per istinto e passione? Le attribuiamo tutte alla sfortuna? Oppure c'è un senso nella mancanza di senso? Oh, ma mi stai ascoltando? Guarda che lo vedo che mentre parliamo stai facendo un'altra cosa, lo schermo del computer ti illumina la faccia mentre vai su Google...»
«Iris, io soffro», mi ha risposto Draco Malfoy, guardando in alto a destra - dove aveva di certo spedito l'immagine skype rimpicciolita della mia faccia. Draco Malfoy è l'amico peggiore che ho: è bugiardo, conservatore, mi dice che sono pazza e che ho sempre torto e che il fatto che lui mi voglia bene, nonostante io sia una pazza che ha sempre torto, dimostra la sua grande generosità d'animo. Ho provato a cacciarlo dalla mia vita in ogni modo, ma non ci sono riuscita: credo che la regola sia che tutti quanti dobbiamo avere almeno un amico della casa Serpeverde.
«Sei di una noia mortale», gli ho risposto, ho riattaccato e sono andata a prendermi un bicchiere di Estathè in frigo. Io non sono come l'asino di Buridano: più bottiglie mi date tra le quale decidere e più Estathè berrò, visto che ho una grande capacità di scelta. Ciò che mi chiedo è: a parte sapere che questo mi salverà dal finire a correre insieme agli ignavi nell'Antinferno dantesco, a cos'altro mi servirà? Era proprio per affrontare questo tema che ho cercato di condurre Draco in un viaggio con me nell'oltretomba delle idee: per capire come muovermi meglio in mezzo a questa valle di lacrime, ma Draco – che già di solito non fa altro che soffrire – è stato lasciato dalla sua fidanzata, quindi, mentre ero ancora intenta nel versarmi il mio bicchiere di Estathè, mi ha richiamato.
«Ti prego, diventa la mia voce fuoricampo», mi ha detto: «Aiutami, prendi le mie decisioni. Fai qualcosa...»
«Scusa, ma non mi dici sempre che non faccio altro che sbagliare?»
«Giusto! Tu sei una pazza scriteriata: ma come mi è venuto in mente? Che vita infame. Dio, come soffro».

Qualche giorno dopo, Draco si è presentato alla mia porta, totalmente fuori di sé: aveva un progetto per recuperare la sua fidanzata e gli serviva il mio aiuto.
«Draco voleva giocare a dadi con l'universo, quindi si recò con contrizione a casa di Iris...»
«La mia voce fuoricampo non userebbe mai il verbo recarsi. Smettila di fare quello che stai facendo e ascoltami!»
Testa o croce? Bianco, rosso o Verdone? Cuori, fiori, denari o picche? Carta, sasso, forbice, lizard o Spock? Ho deciso di ascoltarlo, ma siccome stavo tagliando a listarelle delle grosse cipolle che Oris voleva cucinare in agrodolce, gli ho detto che avrei continuato a fare quello che stavo facendo: è finita che, mentre mi raccontava la sua storia, mi sono sciolta in un copioso pianto e lui ha pensato di essere dalla parte del giusto.
«Sei il solito bamboccio...» è stata l'unica cosa che ha commentato Oris, nemica di Draco ai livelli di Hermione Granger.
Quello che mi ha spinto ad aiutarlo è stato che - anche se ovviamente la sua fidanzata ha ragione - le parole chiave del suo piano erano sciroppo di mandorle e Galanthus nivalis (volgarmente detto bucaneve): quindi ho caricato una fiaschetta di Estathè ed è incominciato il nostro pellegrinaggio.

«Mentre camminava, Draco stava riflettendo sulla sua capacità di scelta e sulle parole sempre argute che la sua amica Iris gli riservava nelle loro conversazioni su skype...»
«La smetti con questa storia della voce fuoricampo? Era un momento di debolezza quando te l'ho chiesto. E poi non sono io quello che vuole sentire le voci, sei tu. Tu, una nota pazza scriteriata»
«Dici sempre le stesse cose, sei di una noia mortale: mi spieghi perché continuo ad essere tua amica?»
«Perché fai sempre le scelte sbagliate!», ha urlato.

Dopo tre supermercati, una torrefazione e un'erboristeria, abbiamo trovato lo sciroppo di mandorle, ma per il bucaneve non è stato così semplice. Draco ha pensato che l'unica maniera per farsi aiutare dai fioristi e vivaisti incontrati fosse renderli empatici con la sua triste storia di sofferenza.
«Vi spiego: i bucaneve sono i fiori preferiti da mia moglie. In questo momento, lei è molto arrabbiata con me e vuole divorziare. Se voi trovaste una pianta, un bulbo, anche un misero fiore reciso mi aiutereste a salvare il mio matrimonio...»
Le risposte sono state: «Aò, e che j'hai fatto a tu moje?», «Scusi, ma non sarà mica lei la donna che ha sposato questo soggetto...» e «No, i bucaneve, in questo momento dell'anno, sono impossibili da trovare».
Le occhiate dei poveri esercenti che si ritrovavano tra le mani la disperazione di Draco sono passate dall'empatia all'odio, quando, nell'euforia di avere in mano la bottiglia di sciroppo di mandorle, ha avuto l'illuminazione.
«Lo so che i bucaneve sono impossibili da trovare, in questo momento dell'anno, ma mia moglie non è un'esperta di fiori. Se voi aveste un bulbo che somiglia al bulbo dei bucaneve, potremmo farlo passare per tale: io stasera lo pianterei con lei in segno di riconciliazione e poi potrei andare nottetempo a buttarci sopra della varechina, in modo da non farlo spuntare. Così non saprebbe mai che non è un vero bucaneve».
Qui le risposte sono state: «Dopo aver fatto soffrire sua moglie, vuole anche far soffrire un povero bulbo?», «Ma che è? 'Na sciarada de sòle?» e «Ma lei non si vergogna di andare in giro con questo soggetto?».
Alla fine, mentre scuotevo la mia fiaschetta ormai vuota di Estathè, estenuata da Draco e dalla sua folle esaltazione di riconquista, un fioraio ci ha spiegato che la caratteristica più poetica dei bucaneve è che fioriscono in mezzo alla neve e che lo fanno anche i Crocus che, a differenza degli altri, erano disponibili.
«Draco è partito rombando sulla sua Nimbus 2001, con uno sciroppo di mandorla in un mano e un bulbo della famiglia di quelle pazze scriteriate delle iridacee nell'altra, per riconquistare la sua donna e ad arrivare a chiederle financo di sposarlo...»
«Smettila!», mi ha urlato dalla sua scopa volante: «Non la sai fare la voce fuoricampo. Chi è che dice financo nel 2015?». Poi è andato a giocarsi la sua partita: ma tra croce, fiori, carta, forbice, lizard e Verdone, ha vinto il due di picche e Draco ha ricominciato a soffrire.

La capacità di scelta non è una dote, così come non lo sono la ragionevolezza, l'istinto, i mucchi di fieno e l'essere sensati. E allora dove ci porterà tutto questo?

giovedì 3 settembre 2015

A Crash Thèst Car(ol)

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Non parlo quasi mai di uomini con cui esco, lo so. Uno dei motivi è che quegli uomini possono facilmente accedere a questo blog (la devo smettere di dare il mio vero nome alla gente), ma l'altro incontrovertibile fatto è che io non esco con tanti uomini. Come ho detto ieri a Pezzetta, dopo che avevo girato quattro supermercati perché nessuno riusciva a darmi quello che cercavo ed ero tornata a casa accaldata e inferocita (ma vincente): «Esiste un solo compagno per cui faccio sacrifici di questo genere: l'Estathè».
Stavolta, però, non me la sento di sottrarre a queste mie chimiche memorie online la magnificenza di certi sbattimenti emotivi, quegli incidenti sentimentali che ci procuriamo con gli autoscontri o i crash test: l'azienda che ci tutela dai danni, assicurandoci una liquidazione il più veloce e indolore possibile in caso di incontri sinistri, ci obbliga a compilare un CID con noi stessi davvero poco amichevole.
Ho conosciuto un ragazzo e ci siamo stati molto simpatici, lui diceva di avermi già conosciuto e io non me lo ricordavo, ma, in ogni caso, ci siamo detti di prenderci un caffè, una volta. Molto velocemente quel caffè è diventato una cena, ma io non avevo capito che la cosa sottendesse un interesse nei miei confronti -l'ho già detto che non esco con molti uomini, vero? Quindi, il giorno in cui è venuto a prendermi, solo quando l'ho trovato davanti al portone, fuori dalla macchina, e mi ha accompagnato allo sportello per aprirmelo, ho capito che forse era un appuntamento.

Il fantasma degli amori passati mi è piombato addosso non appena sono salita in macchina.
«E allora? Che cosa avevamo deciso riguardo agli appuntamenti?»
«Scusami, hai ragione, ma 'sto tipo mi ha ingannata, non avevo capito che fosse un appuntamento sennò non ci sarei venuta...»
Lo spirito delle sfighe passate, oltre che una voce fuoricampo, è un fermo immagine: è la faccia disperata di Dawson Leery sul molo davanti casa sua, dopo il matrimonio dei suoi genitori, quando dice a Joey Potter di andare da Pacey se lo ama e poi scoppia a piangere quando quella spilungona se ne va sul serio.
«Iris, sto per tirare fuori la lista»
«Nooo! Dawson, ti prego! La lista: no...»
«Chewbecca, Paganini, Babbo Natale, i film di Charlie Kaufman... Non va bene, Iris. Così non va bene. Cosa pensiamo noi dell'amore
Si sa che Dawson è esagerato; dall'uscire con un tipo a iniziare a parlare d'amore ci passano almeno:
  • un paio di discussioni sulla figura di Chandler in Friends, tu che gli spieghi che Matthew Perry è il fratello di Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills, lui che si esalta e poi non trovi il coraggio per dirgli che non è vero;
  • il gastroprotettore che ti dice: «Guarda che io, l'Estathè e il Gaviscon non c'entriamo niente con tutto questo subbuglio nello stomaco»;
  • il primo bacio davanti a un bassorilievo della quarta stazione della Via Crucis.

Il fantasma dell'amore presente è uscito fuori dalla cartella Spam della mia pagina di posta elettronica, mentre Dawson cantava anouonouei.
«Non sa chi sia Giuni Russo, ama gli horror, segue il calcio -pure le partite di precampionato, odia Pif e Zoro, ha buttato un pacchetto di Tic Tac vuoto dal finestrino dell'auto in corsa, non ha mai visto nessuna delle serie tv che ami, ha un Lato Oscuro che al confronto Darth Vader è solo un filino arrogante, vuole comprarsi una pelliccia. E poi diciamolo: tu lo vedi come una zanzara che sta per pungerti e lui ti vede come una paletta pigliamosche che si muove lentissima verso di lui; avete tempi diversi, desideri diversi, opinioni diverse».
Di solito, all'inizio di una storia, il nostro cervello non manda queste informazioni nella Posta in Arrivo, le lascia di lato, scostate dalla realtà contingente, ma comunque pronte per essere tirate fuori in caso di necessità. Il mio cervello, invece, non funziona così: io osservo e registro tutto, io sono un caterpillar del sabotaggio.
«Dawson, ora te ne puoi andare»
«Guarda che qua non è come nel racconto natalizio di Dickens, questo è un lavoro di squadra. Io non vado da nessuna parte...»

Quando è arrivato il fantasma degli amori futuri sembrava Chandler con la pelliccia di Jon Snow, ma non proprio Chandler di Friends, era Raymond Chandler ma non scriveva polizieschi, allora forse era un altro Raymond, magari Raymond Carver o forse non era niente di tutto questo: era solo una figura confusa che, col suo arrivo, ha fatto scappare quel pusillanime di Dawson e tutto il suo lavoro di squadra.
«Dove si trova il vecchio e arido Ebenezer Scrooge?»
«Non qui. Qui ci siamo solo io e il mio umile impiegato Estathè, ma lo pago molto bene...»
«E allora perché mi hanno mandato in questo posto? E soprattutto perché indosso una pelliccia?»
«Credo sia per farmi smettere di dragare Roma alla ricerca di un pacchetto di Tic Tac impunemente buttato fuori da un finestrino»
«Quindi mi hanno fatto fare tutto questo viaggio per una stronzata?»

Gli omini del crash test sono manichini che riproducono gli esseri umani, sono identici, ma sono solo strumenti che servono a capire come funzionano gli incidenti: danni, velocità, forze in gioco. È così che iniziano le storie d'amore: cerchiamo di capire quanto tempo una zanzara ci metterà a pungerci o quando la paletta assassina che si muove lentissima verso di noi riuscirà a schiacciarci; cerchiamo di capire se siamo Pacey, Joey, Chandler, Philip Marlowe, Giuni Russo, Jon Snow, Darth Vader o quel pesantone di Dawson.
«E quindi?»
«Niente, Raymond, hai fatto un viaggio a vuoto. Mi avevano già convinto le motivazioni del giovane Spielberg e la cartella Spam...»
«Ma scusami, l'opera non era convincerti a dare una possibilità al Pelliccia? Di cosa parliamo quando parliamo d'amore

Credo sia stato a quel punto che si è sentita una botta fortissima, forse un impatto, dentro al frigo, tra due di quei missili di Estathè da un litro e settantacinque. E poi silenzio.
A conti fatti, firmare garbatamente un CID è la cosa migliore che ci può succedere.



«E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Sentirmi chiamare amato, sentirmi
amato sulla terra.»
Raymond Carver

martedì 18 agosto 2015

Ragnathèle

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

La casa in cui sono cresciuta è in campagna ed è sempre stata preda del tentativo di ingresso di moltissimi animali. Nel tempo, hanno cercato di fare occupazione delle nostre stanze: farfalle, gechi da terrazzo, migliaia di zanzare feroci, gatti, una volta un topo, corvi, cimici, rondinelle, cardellini che poi sono diventati cinciarelle. Mio padre ci ha sempre dissuase dall'ammazzare anche la formica più piccola (non per niente il post a lui dedicato si chiama Lo zen e l'arthè della manutenzione degli insetti): se un ragno, una falena o una scolopendra si arrampicavano su una delle pareti della nostra cameretta, lui arrivava con le mani a conca, ci intrappolava dentro l'animale ancora vivo e poi andava a liberarlo su uno dei balconi. Quando mia madre girava la scopa all'insù e distruggeva le ragnatele che erano state edificate in qualche angolo del soffitto, lo vedevi che soffriva. Non ci diceva: «Il ragno porta guadagno», ci diceva: «Il ragno è un predatore di tutto rispetto, è un architetto che lavora con la seta che secerne, che si protegge e tesse, vola senza avere le ali...».
Io, una volta, ho letto che hanno fatto degli esperimenti tossicologici sui ragni, dimostrando che tessono ragnatele diverse a seconda dello psicofarmaco che hanno ricevuto; esistono immagini dell'opera di un ragno sotto caffeina, ma nessuno ha mosso un dito per rifornire un ragnettino di Estathè: avrebbe fatto una tela bellissima.
Spiderman, vieni a trovarmi: ci penso io a te.

«Cri cri cri»
«Chi è che mi chiama?, disse Pinocchio tutto impaurito»
«Ma che conosci a memoria il libro di Collodi?»
«Non tutto a memoria, ma ho vissuto un particolare trauma quando il Grillo Parlante muore stecchito da un martello a pagina 17. La Walt Disney ha mischiato le carte...»
«Lo so, purtroppo non c'è giustizia in questo mondo»

Qualche settimana fa ero finalista in un premio letterario e mi sono fatta accompagnare da Oris in questo paesino bellissimo per presenziare di fianco al mio libro –per informazione: Spiderman, puoi andare anche lì, è un posto che possiede il bollino giallo Estathè, i bar sono fornitissimi. Ci hanno messo a dormire in un B&B appena fuori dal paese ed è stato lì che abbiamo incontrato il nostro Grillo Parlante biondo.
«Voi non sapete chi è Arnold Ehret, vero?», ci ha chiesto.
«No, non lo sappiamo», abbiamo risposto io e Oris, in coro.
«Si vede: avete la faccia ignara, tipica di chi non immagina di essere pieno di muco».
Ora, io lo so, che per quanto io possa giurare che questa conversazione è davvero avvenuta, sarà difficile crederci, ma è anche vero che io non avevo mai incontrato un fruttariano e forse voi sì, quindi c'è una possibilità che lo stupore rimanga solo il mio.
«Cosa mangiate, voi?», ci ha incalzato il Grillo.
«Io, principalmente, bevo Estathè. E tu?»
«Frutta dolce e ortaggi, ovviamente. Tutti coltivati da me. Anzi, ho un esubero di cetrioli se vi interessa...».
Sull'esubero di cetrioli, Oris è andata in brodo di (fruttarianissime) giuggiole, e ha iniziato a fare al nostro Grillo una miriade di domande in merito alle sue abitudini alimentari.
Ne è venuto fuori che il saccentissimo insetto ortottero era medico di se stesso da almeno cinque anni, regolando la sua vita sulla base dei dettami ehretiani di fruttarismo e periodi di digiuno; ci ha spiegato che il nostro corpo -anche il suo- combatte una guerra psicologica per non abbandonare il suo muco, ma che quel muco è il prodotto maligno della nostra alimentazione innaturale.
«Arrivano dei miei amici domani mattina, facciamo due settimane di digiuno tutti insieme...», ha detto a Oris, visto che lei lo seguiva con entusiasmo.
«Io non potrei mai fare un digiuno, soprattutto d'estate», ha spiegato Oris, che soffre di pressione bassa ed è pure ipocondriaca -è capace di dirmi frasi come: «Mi fa male la gamba, forse è una trombosi»- ed è stato in quel momento che è iniziata la discesa verso il peggio. 
Dopo aver rassicurato Oris sulla bontà della pressione bassa -di cui soffriva anche lui- e sulla sempiterna possibilità di appoggiarsi ai mobili in caso di principio di svenimento, il Grillo ha pensato bene di raccontarci che quelle sul muco non sono solo chiacchiere. Il professor Ehret aveva ragione e lui lo aveva sperimentato sulla sua pelle, dopo il suo primo digiuno.
«Le mie feci» -ve lo giuro, ha detto le mie feci- «erano una pasta bianca e filamentosa che mi ha sconvolto. Ehret sapeva analizzare questa pasta e dire che tipo di cibi sbagliati o medicinali inutili l'avessero nutrita, ma io non l'avevo mai vista, quindi ho preso un bastone e ho iniziato a percuoterla per capire che informazioni potevo tirarne fuori...».
A quel punto anche Oris ha ceduto: ho intuito che stava per fingere uno svenimento pur di mandarlo via -io non nego di aver guardato in giro per cercare un martello- ma con la scusa che ci dovevamo preparare per la serata, lo abbiamo cacciato.
Io non ho niente contro i fruttariani, i vegani e i vegetariani (anche se Word sottolinea di rosso due di questi tre sostantivi) e accetto anche di buon grado consigli sugli alimenti e sulla possibilità di diversificare le diete, ma l'immagine di un bastone che percuote delle feci filamentose è inaccettabile.
Temo che anche mio padre avrebbe ceduto all'eliminazione del grillo.

Comunque, io e Oris siamo andate in paese, abbiamo festeggiato il vincitore del premio insieme agli altri scrittori che erano in finale con me, il figlio di uno di loro e una norvegese bellissima che non ha rivolto la parola a nessuno -e che non mi è ancora ben chiaro il motivo preciso per cui era seduta al nostro tavolo- e poi siamo tornate a dormire.
Abbiamo tirato giù la zanzariera e ci siamo chieste se quel grillo era vero o se ce le eravamo immaginato, se era waltdisneyatamente vivo o collodianamente morto, se avevamo parlato con un insetto che amava la frutta o con un fantasma che ci voleva rimproverare per il peccato originale delle fettine panate di Cristina D'Avena in «Teneramente Licia».
La risposta l'abbiamo avuta la mattina dopo: mentre ci sembrava di essere braccate in una ragnatela di definizioni fruttariane di buon senso -vista l'assenza di qualsiasi tipo di colazione ad attenderci, il grillo si è presentato alla nostra porta con un cetriolo gigante tra le mani.
«Eccolo! Tutto per voi...» ci ha detto.
Io e Oris non abbiamo trovato nient'altro da dire che: «Scusa, ma non sappiamo davvero dove mettercelo» e abbiamo forzato le mani a conca di nostro padre per liberarci da grilli, ragni, mele, pere, cinciarelle e zucchine di ogni tipo.

Alla stazione, prima di prendere il treno, ho bevuto due Estathè.
Spiderman, secondo me, se ti avessero dato come sostanza psicotropa un cetriolo, avresti fatto una ragnatela di merda. O di muco.
Roba comunque brutta, insomma.

lunedì 13 luglio 2015

Winthèr is coming

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Giuro che un attimo fa era maggio, poi ho sbattuto le palpebre e, quando ho riaperto gli occhi, era luglio. Giuro che avevo le calze e il raffreddore e, d'improvviso, qualcuno ha acceso un gigantesco fohn su Roma. Ormai non faccio altro che parlare di quanto ho caldo.
«Come stai?» «Sudo». «Che fai stasera?» «Sudo». «Carta di credito o bancomat?» «Sudo».
Non so come sia possibile, ma succede ogni anno: guardiamo l'afa che abbiamo intorno e pensiamo che questa -proprio questa, non quella dell'anno scorso o quella dell'anno prima ancora- questa è l'estate più calda che abbiamo mai vissuto. Forse dipende dal fatto che le sensazioni non si possono congelare ed è facilissimo trasformare un disagio climatico nella tragedia termica peggiore di tutti i tempi o forse, a furia di guardare Game of Thrones, con tutta quella gente imbacuccata che non fa che ripetere che l'inverno sta arrivando, le nostre tristi stanze liquefatte (nonostante i ventilatori e le implacabili veglie notturne ad aspettare un po' di fresco) sembrano l'apocalisse.

«Ma perché? Perché usi sempre le parole a caso?»
«Oh, San Giovanni: ho detto apocalisse, mica t'ho detto cotica...»
«Iris, guarda che ti faccio scomunicare! Quello che l'Estathè non ha fatto in tanti anni in cui hai abusato del suo nome senza permesso, lo faccio io in un secondo»
«Ma sai che ieri non hanno fatto entrare me e Ioris nella tua chiesa perché avevamo le ginocchia scoperte?»
«Comunque quella non è la mia chiesa, è la Sacrosanta Cattedrale Papale Arcibasilica Romana Maggiore del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista al Laterano, madre e capo di tutte le chiese della Città e del Mondo. La tua superficialità è talmente palese che dà la misura esatta di quello che puoi intendere con il termine apocalisse. L'apocalisse per te è il supermercato che finisce l'Estathè.»
«Non me ne parlare, gli scaffali sono pieni di quello schifo di summer edition arancia e lime, ma...»
«Ma ti hanno fatto la bottiglia da 1,75 litri e ti hanno comprata così»
«Esatto! Senti, San Giovanni, visto che hai studiato...»
«Non chiedermelo»
«Ti prego! Madonna, però: che caratteraccio...»
«Madonna?!? Ma allora vuoi proprio la scomunica...»

Quello che avrei voluto chiedere a San Giovanni era uno spoiler su un altro Giovanni, un Jon; volevo chiedere una piccola profezia su San Jon Snow del Sacrosanto Castello Nero degli Arciguardiani della Notte Buia e Piena di Terrori della Barriera del Confine Nord dei Sette Regni, ma lui si è innervosito e mi ha abbandonato.
Il fatto è che anche nella Apocalisse di Giovanni c'è un Trono (che non è di spade, ma di lampi e tuoni, ma sempre un trono è); ci sono sette sigilli, un agnello con sette occhi e sette corna, sette angeli con sette trombe, sette flagelli (che non sono sette regni, ma i ricorsivi numerici non vanno mai sottovalutati); e poi ci sono pure un drago, dei cavalieri, la guerra, le distruzioni e l'ira di Dio. Non sta a me dire chi ha copiato chi, tra San Giovanni e George R. R. Martin, ma vista la vicinanza di alcuni temi, secondo me l'apostolo poteva pure avventurarsi in un pronostico sulla sesta serie, no? Che gli costava?
«Sei appena stata scomunicata»
«Sii un tantinello più ironico, Giova'. Non hai nemmeno subito il martirio...»
«E tu smettila di sudare visto che non sei all'inferno...»
«Almeno dimmi dov'è l'Arca dell'Alleanza...»
Quando gli ho detto che Deuteronomio è una delle mie parole impronunciabili predilette, San Giovanni se ne è andato davvero, lasciandomi con il pensiero di essermi beccata una scomunica per colpa di Jon Snow.

Erano le due del pomeriggio e il sole sbatteva sulla finestra della mia stanza, quando mi sono messa a pensare alla cronologia degli eventi: il calore che veniva dalla tastiera del computer mi punzecchiava le dita e io non facevo altro che sudare ed essere confusa. E se fosse colpa della scomunica tutto questo caldo? Se tutto questo squagliarmi fosse a causa della mia insolenza? Ho sbattuto le palpebre prima o dopo aver iniziato a sudare? E se questa fosse davvero la mia apocalisse personale? Non è che hanno spacchettato il quarto flagello, il sole si è surriscaldato e io sto ardendo viva?
«San Giovanni, dammi una spiegazione...», ho cercato di dirgli in un delirio mistico, ma lui non mi ha risposto. «Lo so che non eri nella Top List dei miei santi, quando ero una bambina, ma non potevi battere Sant'Erasmo e Sant'Antonio, il primo è il patrono del mio paese, l'altro dà il nome al vicolo di nonna Berta, nonno Peppino e della nonna della mia amica M. Questa cosa delle liste era successa perché la nonna di M. sosteneva che c'erano i santi di serie A e i santi di serie B e che prendersela con quelli di serie B era meno peccato. Ma San Giovanni, te lo giuro, eri in A, te la giocavi per la Champions...», ho detto rivolta verso Piazza San Giovanni, ma lui: niente.

«Iris, mi passi il sale?» «Sudo». «L'hai visto il finale di Mad Men?» «Sudo». «Davvero il tuo libro è uscito in nuova collana?» «Sudo».

Io e Oris abbiamo fatto pilates in salotto, con i tappetini stesi davanti a un video di youtube, ma l'acido lattico non è valso come espiazione. Con Ioris, che da Torino era la prima volta che veniva a Roma, abbiamo girato per monumenti nelle ore più calde (dieci chilometri di bellezza e ricerca di nasoni per bagnarci i polsi) ma l'abbronzatura a maglietta non è valsa come espiazione. Io e Iaia siamo capitate sotto al getto di un innaffiatore automatico mentre andavamo a una festa di compleanno con le pochette e i vestitini, ma il contegno che abbiamo mantenuto non è valso come espiazione.
Niente è bastato a far abbassare la temperatura o la collera di San Giovanni; l'unica cosa che continua a calare è la pressione arteriosa.

Ho chiuso gli occhi e li ho riaperti. Una volta, due volte, un numero consistente di volte: ma luglio era e a luglio siamo rimasti, col fohn, l'apocalisse, un brick di Estathè summer edition nel mio frigo che nessuno vuole bere e i miei trentun anni tra meno di due settimane. San Giovanni non mi risponde più e l'inverno non è proprio dietro l'angolo.
O forse sì.
Dipende dai punti di vista.