Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

mercoledì 29 maggio 2013

Thèletrasporto

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Qualche tempo fa, io e Oris abbiamo preso un treno regionale strapieno di gente, ma così pieno che, a spinta (di Oris, che è piccola ma insolente) siamo riuscite solo a entrare, posizionandoci all'inizio della carrozza, sugli scalini, con le porte che ci si chiudevano a un millimetro dal naso. Il treno ha accumulato un'ora e mezza di ritardo su un'ora e un quarto di viaggio, quindi, dopo tre ore che, in trenta, sfidavamo il concetto di spazio in tre metri quadrati, si sono aperte le porte (ovviamente sull'altro lato) e siamo riuscite a scendere.
Era domenica sera e pioveva tantissimo; eravamo stanche e con un solo ombrello (il mio, manco a dirlo) e Oris ha iniziato a insistere che voleva prendere un taxi.
Siccome, alla fermata dei taxi, c'era una fila lunghissima, io le ho detto di no, ma siccome Oris sa che la mia è solo una fissazione, un tentativo di boicottaggio (mentre lei ha un feeling speciale con questo mezzo di locomozione -probabilmente perché non ha la patente), ha continuato a insistere, dicendo che la fila sarebbe scemata in fretta. Discutendo e camminando, siamo arrivate al capo della fila e, allora, il genio si è impadronito di Oris.
«Facciamo le indifferenti e passiamo davanti a tutti», mi ha detto tirandomi per il braccio.
Decine di bottiglie di Estathè caldo mi sono cadute addosso (è questo il modo in cui mi indigno) e ho iniziato a urlarle che non ci si comporta così, che le file si rispettano, che mi meravigliavo di lei, che se la facessero a te una cosa del genere?
Allora Oris ha incrociato le braccia e, siccome il genio non l'aveva ancora abbandonata, lo ha detto, ha detto la frase che da quel momento è diventata il simbolo di tutte le mie lotte inutili, delle mie prese di posizione, delle mie manie, dei miei principi.
«Sai dove ti porterà tutta questa moralità? Alla fermata del 360».

In taxi, eravamo meste: io perché avevo urlato davanti alla stazione Termini e Oris perché si era sentita una prepotente. Oris, di solito, è una persona molto rispettosa, suppergiù con tutte le categorie umane tranne una, che però, in quel caso, non c'entrava niente.
«Quindi lei mi sta chiedendo di non fumare per la presenza di suo figlio in questa stanza, però mi pare che quando ha deciso di procreare questo bambino non è stato chiesto il mio permesso...» «Ti piacciono le anatre? Beh, è una bella cosa, anche tu gli piaci: le anatre, sai, mangiano i bambini» «Tua mamma non dovrebbe dirti le bugie, non diventerai bella come Belen Rodriguez da grande: l'85% delle donne ha la cellulite. Tua madre dovrebbe essere più realista»
E' molto ampia la letteratura degli scontri di mia sorella con gli infanti che, a onor del vero, la sfidano continuamente, forse per il fatto che ha trent'anni ma sembra averne quindici e che è un incrocio tra una Winx e una Bratz.
«No, Laura, non mi vestirò come un cartone per animare la festa di tuo figlio»

Mentre eravamo in taxi, ho aperto la mia borsa, ho bucato un brick di Estathè (da poco acquistabili al supermercato nel nuovo formato singolo, viva l'individualismo) e mi sono ricordata che anche noi siamo state bambine.
«Iiiriiis, sono la voce della tua coscieeenza», mi diceva Oris nascondendosi dietro al divano (io ovviamente ci credevo perché il mio desiderio di avere una voce fuori campo era già vivo).
«Dimmi pure, voce della mia coscienza»
«Sai cos'è l'altruismooo?»
«Sì, lo so»
«Tua sorella, poverinaaa, ha investito le cinquemila lire che vi ha dato la nonna per comprarsi un mega leccaleccaaa e adesso non ha più nienteee...»
«E io cosa dovrei fare?»
«Dovresti dividere i tuoi soldi con leeeiii...»
Allora io, inquietata da quelle vocali trascinate, mi facevo cambiare le mie cinquemila lire ancora intere e dividevo i soldi per due, tanto i chupachups non mi piacevano, i videogiochi costavano poco e avevo sempre il frigo pieno di Estathè (anche se, ai tempi, ahimè, lo bevevo alla pesca).

«Scusa per prima, non volevo urlare», le ho detto quando siamo scese dal taxi.
«Non ti preoccupare, lo so come sei fatta»
«E' pure un po' colpa tua se sono fatta così. Ti ricordi quando eravamo bambine...»
«Dobbiamo metterci a parlare di bambini adesso, dobbiamo litigare?»
«No, volevo solo sapere se ti ricordavi di quando facevi la voce della mia coscienza...»
«Io? Mai fatta una cosa del genere. E poi, riguardo a prima, non era necessario che urlassi: non volevo veramente saltare la fila...»

Oltre ad avermi insegnato a giocare a poker, a mangiare le arance a testa in giù e a reagire agli schiaffi con placcaggi sul letto (i centimetri di differenza, a un certo punto, hanno iniziato a farsi sentire), Oris mi ha insegnato la coerenza nella menzogna, indipendentemente dal tempo che è passato da quando la si è detta.

Mi immagino noi due, tra cent'anni, vecchissime: lei fumerà ancora, dicendomi che non ha ricominciato, che deve solo ricomprare i liquidi per la sigaretta elettronica; io mi farò l'aerosol di Estathè per combattere qualche forma di pneumopatologia che il fumo passivo mi avrà causato e Pezzetta, arzillo scapolone, vivrà ancora con noi.
I lavoratori socialmente utili ci chiameranno scocciati, intimandoci di andare a recuperare un fastidioso Pezzetta, fermo a lamentarsi davanti ai lavori delle metro D (sì, tra cent'anni saremo arrivati alla linea D, spero), e Oris digiterà il numero del teletrasporto (suo nuovo mezzo di locomozione preferito).
Io nostalgicamente proverò a dirle: «Ti ricordi quella volta che dovevamo prendere il taxi...» e lei, scura in viso, mi interromperà.
«Sai dove ti porterà questa tua fissazione per la memoria?»

«Sì, lo so», le risponderò io. «Alla fermata del 360».

lunedì 20 maggio 2013

Non siamo ferrathè

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Siccome il nonno è uscito dall'ospedale, è terminato il mio esilio pontino (anche se non è ancora finito Maggio) e io e mia madre abbiamo smesso di correre avanti e indietro in macchina, di fare organizzazioni folli delle giornate, di sistemare fatture per case di riposo (in ordine cronologico) e innumerevoli bottiglie e brick di Estathè (in base alla grandezza).
E poi abbiamo smesso di porci domande stupide, del tipo: “Ma perché se deve succedere qualcosa, succede sempre a Maggio che è periodo di 730?” oppure “Ma 'Ti amo' di Umberto Tozzi è uscita negli anni ottanta o negli anni novanta?”.
Immancabilmente, qualcuno starà pensando che con questa storia di Maggio è il mese peggiore dell'anno la mia famiglia si sia autocausata le sue sfortune: non possiamo dire niente a nostra discolpa perché non siamo molto bravi nella spiegare (e nello spiegarci) le concatenazioni degli eventi e il funzionamento delle cose.
Basti pensare che io ho passato il mio tempo pontino a fissare mia madre che fissava mio nonno che fissava mia nonna che fissava una flebo.

E' stato nel caos di queste giornate che, a un certo punto, mi sono ritrovata nel temibile stanzino: la camera della casa dei miei genitori adibita allo stiraggio dei vestiti.
Tutte le persone che conosco qui a Roma non stirano i vestiti e, qualora avessero uno stanzino in casa, lo avrebbero visto affittato dai proprietari a una cifra esorbitante (anche se quelli sono luoghi in cui la vita è costretta a svilupparsi in verticale, con soppalchi Ikea, scrivanie incassate e pensieri non troppo voluminosi).
Quando mi sono ritrovata lì dentro, il mio senso del dovere mi ha spinto ad accendere il ferro e a mettermi all'opera (nutrendo una mancanza incredibile per il mio ferro verticale, quello che stira i vestiti direttamente sulla gruccia e che è verticale anche se non c'entra niente con i soppalchi Ikea, le scrivanie incassate e i pensieri non troppo voluminosi -è solo un regalo ricevuto proprio dai nonni, indignati nel vedere me, Oris e Pezzetta perennemente sgualciti).
Proprio mentre stavo per picchiare con decisione la prima ferrata, ho sentito una voce.

Canta Gloria, ti prego. Cantala!”
Umberto, sappiamo tutti e due cosa succede se mi metto a cantare...”
Cosa?”
Lo sai.”
Ti prego, fammi abbracciare una donna che stira cantando...
E' questa la pena che sconti per l'evasione fiscale? Ti hanno chiuso nello stanzino in cui stira una commercialista?”
Viviamo sempre di oggi e di ieri, inchiodati dalla realtà...

E così ho cantato, Umberto mi ha abbracciato e abbiamo parlato di “Ti amo” che è uscita (addirittura) nel '77 (altro che anni ottanta e novanta!) e che, secondo Umberto, non è troppo lontana da Catullo con il suo SeVieneTestaVuolDireCheBastaLasciamociTi...Amo.
E devo dire che mi sono trovata d'accordo, forse perché la situazione era stancante e surreale, forse perché non sono molto brava a stirare o forse, più semplicemente, perché ero in uno stanzino pieno di vestiti spiegazzati, con un uomo dai capelli crespi e gli occhiali con le lenti azzurre e una botta di overdose da vapore e estathè.

Iris, non bere tutto questo Estathè.”
Devo, mamma.”
Che vuol dire devo?”
Che sono come i gatti, razionalizzo le mie risorse in base al tempo di permanenza.”
Ma tu non lo sai ancora quanto ti fermerai...”
Sì, ma bevo tanto sperando di fermarmi poco: è un buon auspicio per il nonno!”
Tutte le scuse sono buone. Vergognati.”
Lo sai che c'è Umberto Tozzi nello stanzino?”
Non cambiare discorso.”
Mi ha detto Sciogli questa neve che soffoca il mio petto. Ti dispiace se lo portiamo con noi?”

Ritrovandosi nelle mani della commercialista giusta, Umberto ha scontato la sua pena viaggiando in macchina con donne che guidano cantando; mia madre ha saputo la sconcertante notizia che Gloria è stata cantata in inglese da Laura Branigan e inserita nel film Flashdance (eccone le prove) e io, dopo un acuto della nonna, ho capito il motivo per cui lei fissava la flebo e la flebo fissava lei. 

Sottovalutando la forza di gravità (a causa del suo primato nella autogenerazione perpetua di ansia), la nonna pensava che la flebo avrebbe smesso di gocciare in maniera improvvisa, da un momento all'altro, senza dare spiegazioni, dicendo “Vado a prendere le sigarette” senza più tornare, e quindi la flebo, di conseguenza, continuava a fissare mia nonna, perché anche la flebo come i gatti crede negli epigrammi di Catullo e nella razionalizzazione delle risorse (motivo per cui somministra sostanze liquide romanticamente in vena e non con un'esuberante catenella per doccia, come nel celebre spettacolo di Alex Owens, in Flashdance).
Alla fine è andata che, quando la flebo è terminata, un allarme è suonato in stanza per richiamare l'attenzione degli infermieri e la nonna, battuta sul tempo, ha mosso un acuto con la sua frase preferita.

Peppì, sguilla!”, ha urlato, allo stesso microfono di Umberto Tozzi, spronandolo a fare di quelle parole il ritornello del suo prossimo singolo di respiro internazionale.

Intanto, il nonno aveva una bottiglia di Estathè sul comodino.
E quindi, alla fine, è andato tutto bene.