Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

lunedì 22 ottobre 2018

Thèniamoci stretti a baionetta

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

Quando facevo l'università, stavo sempre in mezzo ai maschi. Non era tanto una scelta quanto una necessità di adattamento: quindici anni fa, quando mi sono iscritta a Ingegneria meccanica, c'erano davvero poche altre ragazze oltre me. E così, stando in mezzo ai maschi, un po' ero esclusa, un po' ero corteggiata, un po' ovviamente ero vessata. Soprattutto Er Polemica amava vessarmi (che, insomma, già si capisce da come lo chiamavamo che era un bastian contrario), mi diceva: «Ti vorrei vedere a cambiare la ruota di una macchina, una notte che sei uscita con la minigonna».
«Fai il maschilista solo per farmi arrabbiare», gli rispondevo io, tra un sorso e l'altro del brick di Estathè preso dalla macchinetta. «Se foro una gomma sai che faccio? Quello che faccio ogni volta che mi trovo di fronte a una cosa che non ho mai fatto: chiamo mio padre». Lui rideva, pensando di avermi battuto in quella sua costante guerra di genere, che mirava a dimostrare quanto la superiorità tecnica del maschio andasse riconosciuta e preservata; e io lo lasciavo ridere, non mi arrabbiavo perché lo sapevo che le rivendicazioni di Er Polemica erano il suo disperato tentativo di riscatto da una madre meravigliosa che faceva apparire tutte le femmine come pericolosi competitor per la sua virilità.
E poi, dire che avrei chiamato mio padre non mi sembrava dare un punto alla sua squadra perché io sono cresciuta dentro a una famiglia che non ha fatto altro che scombinare tutto il tradizionalismo dei ruoli, con mio padre che ha fuggito la responsabilità di ogni decisione possibile («Chiedilo a tua madre» è la risposta che mi ha dato a ogni permesso richiesto durante tutta la mia vita) e mia madre che non ha mai cucinato niente che avesse un tempo di preparazione superiore ai 7 minuti. E infatti il risultato di tutto questo è che io ho una sorella maggiore di almeno 15 anni più giovane di me e che il mio cane ha il diritto di prelazione sull'ultima plumcake rimasta.

Quando racconto che andavo con mio padre sia a pescare che a cercare i funghi o quando mi capita di aggiustare il mobile di un'amica o sturare il lavandino di un ex fidanzato violinista che se gli togli le mani dall'archetto non sa cosa farci, mi capita spesso di sentirmi dire che sono stata cresciuta come un maschio. In realtà, così come ho preso da mia madre l'ossessione per la gestione ecomico-pratica dell'esistenza e una certa faciloneria nel prevaricare chi affronta la vita con lentezza, ho preso da mio padre la passione per le attività in mezzo alla natura e l'ostinazione per il recupero di tutto quello che sembra rotto – il problema è che, poi, nel mescolare queste diverse eredità ne è venuto fuori un carattere bizzarramente contraddittorio e vagamente prepotente.
Insomma, non sono stata cresciuta come un maschio, semplicemente, come tutti, la mia voce fuoricampo si diversifica a seconda delle situazioni che vivo e quando interagisco con il mio ferramenta adorato, quando l'idraulico mi spiega come riagganciare la cinghia della lavatrice se non parte la centrifuga oppure quando devo creare un'alternativa in fildiferro per tenere su un lampadario claudicante, è la voce di mio padre che mi guida.
«Ti vuole tua figlia al telefono», gli dice mia madre e poi mentre parlo con lui, pure lei continua a parlare perché se c'è una particolarità in questa specifica voce fuoricampo è che ha una costante eco vessatoria – che Er Polemica manco se rinasce.

«Senti, papà, questa settimana è tutto un disastro, ho dovuto cambiare due volte il tubo del doccino della vasca e adesso devo cambiare pure il soffione della doccia che, tra l'altro, non riesco a sganciare in nessun modo. Siccome non bastava che la base del frigorifero non mi sembra affatto stabile e che Oris ha appoggiato una padella calda sul tavolo – che grazie al cielo ha bucato solo la tovaglia –, mo si è pure fulminato uno degli agganci di quella lampadina assurda che abbiamo in cucina, te la ricordi?», gli ho detto qualche giorno fa.
«Me la ricordo, certo», ha risposto lui.
«Diciamo che se la ricorda», ha aggiunto l'eco materna.
«Non so come fare, dovrei cambiare quel pezzo, ma sto pensando che faccio prima a cambiare il lampadario».
«Devi trovare lo starter, ci deve essere uno starter. Poi devi prendere i fili e metterli a baionetta».
«Lo starter? Ma quale starter, dille che devono comprare il lampadario nuovo».
«Guarda, papà, perdonami ma non so cosa voglia dire mettere i fili a baionetta».
«In pratica, devi trovare una scatolina elettrica, e girare i fili che ci entrano dentro mettendoli a baionetta».
«Se quella si fulmina, la prendo io la baionetta e ti faccio fuori».
«Sì, papà ma se continui a cambiare tutte le parole della frase tranne 'a baionetta' non ne usciamo. Vabbè, non fa niente, non ti preoccupare, mo me la vedo io».
«Stacca la corrente prima di fare qualsiasi cosa».
«IRIS, NON TOCCARE I FILI CON LE MANI BAGNATE DI ESTATHÈ CHE SENNÒ UCCIDO TUO PADRE!».

Oris voleva chiamare un tuttofare ma io le ho chiesto di darmi ancora qualche chance, di mantenere la calma. Inutile dire che, come sempre, lei era calmissima: ha messo una piantana in cucina per ovviare la problematica del lampadario e ha videochiamato Pezzetta, manipolandolo in modo da fargli comprare un biglietto Londra-Roma per venire a risolvere i nostri problemi – anche perché, c'è da dirlo, quando vivevamo con quell'adorabile pazzo monomaniacale, anche se ci metteva 72 giorni, alla fine risolveva tutto.
Dopo aver dissuaso Pezzetta da fare questo viaggio per i motivi sbagliati, ho acceso il computer per cercare «fili a baionetta» su Google. È stato in quel momento che mi è apparsa, sulla schermata di Facebook, la foto di Er Polemica, abbracciato alla sua compagna incinta, che annunciava al mondo con la faccia più felice mai vista: «It's a boy».
Allora mi sono detta: forza maschi, vediamo che sapete fare e ho iniziato a scrivere e a telefonare ai miei amici, alla ricerca di soluzioni.
Draco Malfoy ha riso nervosamente fino a che non ho cambiato argomento, sproloquiando di voler comprare una baionetta e di non capire perché non potevo farmi la doccia anche così, con quel getto unico e corroborante.
Il mio amico Church(ill), giornalista cattolico che sostiene di saper aggiustare tutto in seguito a una educazione fortemente militare, mi ha detto: «Lo starter a baionetta penso sia una cosa ignota alla società scientifica mondiale».
Pezzetta mi ha detto che era tutta colpa del pappagallo che stavo usando.
Il mio ferramenta adorato si è limitato a vendermi un nuovo soffione che si chiama Niagara («Nun pòi capì che te sto a da'») e un prodotto per facilitare lo svitamento del vecchio.
Non potendo chiamare il mio ex violinista, visto che non era una cosa che si poteva risolvere con l'archetto, ho chiamato il mio amico chitarrista, quello che è uno dei migliori chitarristi del paese, nonché padre dell'altra piccola e biondissima Oris. Si è presentato a casa mia con ben due nuovissimi pappagalli (di cui ho immediatamente mandato una foto a Pezzetta) e si è infilato nel box doccia sotto gli occhi riconoscenti di Oris e della sottoscritta. Quando ha cominciato a tirare con tutta la forza che aveva, mugolando per aiutarsi, io non sapevo come dirglielo, ho cercato di trovare la parole giuste ma alla fine sono sbottata.
«Guarda che stai avvitando, non stai svitando».
«Ma sei sicura?».
«Beh, sì, se non ci credi, aiutati con la regola della mano destra».
Mi ha guardato come se fossi pazza, ma poi comunque è scoppiato a ridere, mi ha lasciato usare i suoi pappagalli superchic e non abbiamo ottenuto niente, se non che io, a forza di insistere, mi sono stirata un muscolo della spalla e non ho potuto fare più niente per due giorni.
La tentazione di scrivere anche a Er Polemica è stata forte, ma mi sono trattenuta, mi avrebbe detto che avevo fallito sia con l'aggancio di fildiferro del lampadario (che aveva sicuramente provocato il danno allo starter), sia col sistema di leve studiato per forzare la pseudo-giunzione del soffione della doccia (che, diciamolo, consisteva in Oris penzoloni sopra di me che sfruttava l'appoggio della parete per aiutarmi).
«Di' un po', portavi la minigonna?», mi avrebbe chiesto ridendo, ma anche stavolta non mi sarei arrabbiata perché l'ultima volta che ho visto Er Polemica, sei mesi fa, al matrimonio di uno dei nostri migliori amici, mi ha raccontato di questa donna meravigliosa con cui conviveva e allora che cosa mi devo arrabbiare a fare.

La verità, però, è che l'innesto a baionetta esiste, si fa tra due pezzi coassiali, soprattutto in elettrotecnica, e questi pezzi si uniscono con un inserimento e una successiva rotazione per l'aggancio, possibile grazie alla presenza di due o più razze (nel senso tecnico di elementi radiali che escono dal blocco principale, ovvero alette – ma anche in altro senso, eh).
La mia voce fuoricampo non deve aver accettato che non riuscivo a capirlo, quindi mi ha telefonato dicendo cose incomprensibili, fino a che la sua eco vessatoria, soffocata dalle risate, non ha preso il telefono e ha cercato di spiegarmi. Non so se i miei genitori volevano dimostrarmi una volta di più quanto fossero noiose tutte queste suddivisioni – maschi/femmine, padri/madri, giovani/vecchi, oggetti per il trucco/componenti masticatorie – ma, di fatto, a mio padre faceva male un dente e mia madre ha preso uno specchietto per vedere se poteva capirci qualcosa. E poi solo dramma.
«Mm ss cchh lll ccdd oo tt mmmddrr....»
«Iris, giuro, sono stata cauta, ma adesso gli si è agganciato questo coso al dente e non so più come tirarlo fuori! Ahahahahah! E non ce la faccio a smettere di ridere perché lui sbraita con uno specchietto in bocca!».

Mio padre ora è salvo e Oris ha chiamato un tuttofare – in barba alle superiorità tecniche e alle altre velleità. Io ve lo dico, cari amici maschi che chiaramente non siete competitor né suoi (del tuttofare) né miei né di mio padre, ci conviene tenerci tutti stretti a baionetta. Almeno fino a che qualcuno non ci salverà.

martedì 7 agosto 2018

L'Uomo del Monthè


Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

Ogni tanto, mio malgrado, mi tocca fare i conti con l'amore. Succede soprattutto nei dintorni del mio compleanno, quando sono più vulnerabile alle imbeccate degli amici che irrimediabilmente finiscono per chiedermi aggiornamenti sullo stato civile (o incivile) dei miei sentimenti. Questo fatto che non ho una relazione seria da sei anni genera una crisi diffusa – nei miei genitori, in mia nonna, nelle cene con le coppie, negli inviti ai matrimoni.
In molti casi, chiedo a Oris di essere il mio +1 e lei accetta perché ogni volta spera che quella sarà la sua occasione di essere Jane, visto che le faccio sempre interpretare Cassandra nel gioco Siamo le sorelle Austen, non ci sposeremo mai.
E così, qualche settimana fa, quando ho compiuto gli anni, è arrivata immancabile la tensione verso i bilanci, il bombardamento degli amici, il revisionismo storico del passato remoto, la forzata riabilitazione del passato recente e le insensate speranze sul (passato) futuro.

VOCE FUORICAMPO NUMERO 1: amica romantica che vive all'estero
Interno giorno, chat internazionale di WhatsApp
«Scusa, ma Lenin?».
«Lenin?».
«Sì, Lenin. Non uscivi con un rifondatore comunista?».
«Ah, Stalin, sì...».
«Eh, come è finita?».
«Non tanto bene, credo, visto che è tornato con la coda tra le gambe dalla sua ex fidanzata e l'ha chiesta in moglie».
«Beh, magari ti invita al matrimonio in Russia e conosci qualcuno».
«A parte che è del quartiere africano, ma poi ti pare che mi invita al matrimonio?».
«Infatti no, gli renderesti un tavolo dispari...».
«Eh, capito...».
«Alla gente non piacciono le cose dispari».
«Tu però al tuo matrimonio mi hai invitata».
«Che c'entra? Eri la mia testimone, sono stata praticamente costretta...».
«Core, sei l'amica più romantica che ho...».
«Amica? Ma chi te conosce...».

VOCE FUORICAMPO NUMERO 2: amico confuso che sostiene da tempo una fervente lotta contro le mie pettinature
Esterno mondo, salotto di casa mia
«Non mi chiedi mai se ho qualcuno da presentarti».
«Ma cosa c'entra adesso?».
«Non lo so, mi è venuto in mente che non mi chiedi mai se ho qualcuno da presentarti».
«Ok».
«Ok, cosa?».
«La tua mi pare un'affermazione, non credo sia una domanda. Se lo fosse sarebbe una domanda che contiene già la risposta. Se non ti chiedo mai di presentarmi qualcuno è perché non mi interessa».
«Ma perché quando vengo a trovarti ti fai sempre quel ciuffo?».
«Me lo faccio anche quando non vieni a trovarmi. È la mia prima estate con i capelli lunghi, non so gestirli sciolti».
«Contenta tu...».
«...».
«Comunque, anche se me lo chiedessi, non avrei nessuno da presentarti perché l'uomo per te, secondo me, non esiste. Cioè, magari esiste, ma di certo io non lo conosco».
«Fulmine, lo sai che mi piaci quando sei confuso, ma questo discorso porta da qualche parte?».
«Assolutamente no, come tutti i discorsi. Perché? Dove vorresti andare?».
«A trovare qualcuno che mi presenti amici nuovi, credo».

VOCE FUORICAMPO NUMERO 3: amico che vuole raccogliere più punti possibili per casa Serpeverde
Quasi l'alba, telefonata per rovinarsi la giornata iniziandola insieme
«Voglio che vieni a Genova».
«Non accadrà».
«Ma c'è tantissimo Estathè qui!».
«Guarda che lo vendono in tutta Italia l'Estathè».
«Eddai! Chiaro che non è questo il vero motivo per cui voglio che tu venga. Il vero motivo non te lo posso dire perché se te lo dico sicuramente non vieni quindi, ti prego, ti puoi fidare per una volta?».
«Tanto so già cos'è: vuoi farmi vedere questa tua nuova casa, che sicuramente è un disastro, in modo che mi venga uno dei miei tipici attacchi isterici da mania del controllo che ti risistemano gli uffici, le case, i pensieri, la vita».
«Sei sempre in malafede, Iris, non è per quello che voglio che vieni. Cioè, sì, la casa è un bordello e a notte fonda sibila il tuo nome sperando che tu venga, ma non è quello il punto. La verità è che vorrei presentarti un potenziale marito».
«Un potenziale marito, addirittura? Ti prego, smettila..».
«Guarda che ho trovato l'uomo perfetto per te!».
«Ti ringrazio per lo sforzo, ma non mi interessa. Sarà qualche tuo conoscente debosciato che mi vuoi accollare...».
«Pensi sempre così male di me?».
«Oh, no. Certo che no. Di solito penso molto peggio...».
«Vabbè, comunque, qualora decidessi di venire, me lo devi dire in anticipo, non puoi fare un'improvvisata perché devo organizzarmi».
«Cioè, lo devi ordinare da Ikea e poi devi avere il tempo di montarlo?».
«No, lo devo far venire a Genova, non vive qui, vive isolato, in montagna. Fa il falegname».
«Ah, ecco perché me lo vuoi presentare: perché vive in mezzo al niente, temprato dalla vita e dalla solitudine, il caro Geppetto».
«Non chiamare Geppetto l'amore della tua vita. Chiamiamolo l'Uomo del Monte che, poi, tra l'altro, è anche un modo per dargli il mio bollino di approvazione per l'autenticità e la bontà del prodotto. Della serie che Draco Malfoy all'Uomo del Monte ha detto sì».
«Filologicamente, per essere precisi, se vuoi mettere un bollino dovresti essere tu l'Uomo del Monte e lui la frutta che vuoi farmi comprare...».
«Posso fare una battuta sulle banane?».
«No».
«Sei ostile, Iris, sei l'amica più ostile ho».
«No, Draco, non sono ostile, sei tu che quando sei innamorato sei insopportabile».
«E non ti va di diventare insopportabile anche tu?».
«Senti, fattene una ragione: nessun punto per casa Serpeverde».

Ad agosto, sono storicamente obbligata a fare i conti con l'amore. Ci sono le vacanze, i tempi morti al mare, lo spazio nella borsa frigo per i sensi di colpa, l'attesa romantica del ritorno di settembre, i miei dannati (quest'anno 34) anni appena compiuti, l'insolenza accaldata degli amici e tutti questi racconti di ormoni con la pelle abbronzata che mi rincorrono di chat in chat, di WhastApp in Messenger, di vocale in gif.
«E tu?», mi dicono. «Mah, guarda, ho imparato a fare un sacco di uccelli con le posizioni yoga e sembrava andare tutto bene, fino a che la mia insegnante non mi ha chiesto di aiutarla a mostrare agli altri un esercizio in coppia in cui dovevamo stare in equilibrio insieme – e io la dovevo tirare e lei mi doveva tirare, ma lei pesa venti chili e quindi non ho tirato abbastanza forte per non farle male, solo che lei non l'ha presa così – ed è finita con lei che mi urlava contro: "TU NON TI FIDI DI NESSUNO!"».
«E tu?», insistono. «Beh, guarda, mi è iniziata a succedere questa cosa assurda nella fase ipnagogica che, non appena sto per addormentarmi, il sedere mi si contrae in maniera involontaria e quindi mi sveglio. Non ti dico la faccia di Oris quando gliel'ho detto, mi ha risposto: "Certo, il twerking involontario come disturbo del sonno non ci poteva mancare". Però, poi, ho scoperto che è una cosa normale, che si chiama mioclonia, è che è uno spasmo indotto dal cervello che percepisce qualche tipo di pericolo e allerta i muscoli per farti svegliare».
«E tu?», mi sfiniscono. «Boh, guarda, ci vuole ben più di un anno perché un ananas raggiunga la perfetta maturazione: l'Uomo Del Monte sa quando è il momento giusto ed è proprio lui ad assicurare che gli ananas vengano raccolti e messi in scatola il giorno stesso per conservare quel gusto Del Monte così speciale».
«Ma questo segna un'apertura per l'Uomo del Monte», urla vittorioso Draco al telefono.
«No, questo segna la fine delle mie argomentazioni: adesso mi basta resistere fino al 16 agosto, che è il giorno del compleanno di Oris, e poi saremo salve».
«Comunque, sappi, che il gioco Siamo le sorelle Olsen, non ci sposeremo mai, non ha senso: quelle due non solo hanno fatto il remake de Il cowboy con il velo da sposa, ma una delle due si è pure sposata...».
«Davvero stai facendo finta di aver capito gemelle Olsen invece di sorelle Austen?».
«Farti incazzare era il mio ultimo tentativo per convincerti a venire a Genova. Ho pensato che se avessi confuso Jane con Mary-Kate mi avresti voluto picchiare...».
«...».
«Sai che ce n'è pure un'altra di pubblicità dell'Uomo del Monte? Una che dice: oggi queste pesche non hanno ancora raggiunto il giusto grado di maturazione, ma domani l'Uomo Del Monte sa che saranno perfette...».

È difficile resistere dall'inventarmi un fidanzato finto e mentire a tutti quanti, ma se mi impegno ce la posso fare: devo solo convincere Core ad amare i numeri dispari, chiedere a Oris di interpretare Ashley, imparare a non temere di rompere la mia insegnante di yoga e spiegare a Fulmine che anche se non posso gestire i movimenti notturni del mio culo posso gestire i miei capelli. Per quanto riguarda Draco, credo di avere un'unica possibilità.
«Senti, non posso venire a conoscere l'Uomo del Monte perché non credo mi possa piacere nessun altro oltre allo scaffalista del Carrefour, quello che mette a posto l'Estathè...».
«Ma se quello nemmeno ti rivolge la parola!».
«Lo so, gli amori non corrisposti sono i più difficili...».

giovedì 31 maggio 2018

Inthèrlocutori


Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

Non conosco una persona che non si lamenti dello scollamento che esiste tra quello che sente di essere e quello che gli altri pensano che sia oppure tra quello che pensa che siano gli altri e quello che gli altri fingono di essere. Fa parte della natura umana sia non comprendersi pensando di aver capito tutto sia non lasciarsi comprendere pensando di essere stati fraintesi e, in questo, siamo tutti talmente umani che non facciamo altro che non capirci, finendo per starci tutti sul cazzo.
Io, ovviamente, mi sono conferita il titolo di campionessa olimpica di questo scollamento fin dalla culla e non ho fatto altro che crogiolarmi in questa condizione. Dentro la mia testa, ci provo sempre ad elevarmi, a tentare di superare quest'impasse facendo uso di controragionamenti, autopsicologia inversa e neutralità di giudizio, ma nei fatti ogni volta che qualcuno non mi saluta penso di stargli antipatica, anche se so che, ogni volta che io non saluto qualcuno, quel qualcuno di solito mi sta simpatico, ho solo paura che non si ricordi chi sono.
Credo sia colpa delle insicurezze, della timidezza, della goffaggine: queste cose ti scavano un fossato intorno, che rende più difficile ogni rapporto con gli altri, quindi gli altri – che intanto devono gestire pure il loro di fossato – invece di girarti intorno fino a trovare il ponte levatoio o immergersi nei chilolitri di Estathè che riempiono i fossi, lasciano stare, tanto sono alte le possibilità che tu sia solo l'ennesima stronza antipatica che tiene lontani tutti quanti.

«Ma ti leggi mentre scrivi? Ma che è 'sta mania di intellettualizzare tutto?», mi ha detto la voce di Giaris, che è entrata in casa dalla finestra, a proiettile, insieme a un tappo di bottiglia arrivato probabilmente da qualche tovaglia scrollata o da qualche proposito omicida nei confronti della mia resistenza cardiaca.
«Iris, tu lo sai che io ti adoro quando metti me e Oris come bambole di pezza sul tuo letto e ci racconti i paradossi dei viaggi nel tempo e sai pure che io sono grande fan e attuatrice dell'odio per la gente, però tu la devi fare finita con questa storia degli scollamenti, del ponte levatoio e dei – come hai detto? – chilolitri. Chilolitri, Iris, davvero?».
«I chilolitri sono un'unità di misura, caro tappo di sughero con la voce di Giaris che, dall'odore, mi sa che chiudevi una bottiglia di vino rosso...».
«Senti, Chilolitri, non ti deconcentrare. Seguimi. Visto che con la storia dell'anti-galateo abbiamo fallito miseramente, proviamo con questo: da oggi, ti devi inventare un tiradentro. Ti serve, come serve a tutti...».
«Un tiradentro?».
«Sì. Hai presente quelli che stanno fuori dai locali e che ti dicono "Daje, su, entra, che qua se fa la migliore amatriciana de Roma"? Ecco quelli. Perdonami, ma se la gente di te vede solo quest'insegna che hai messo fuori, cosa deve pensare? Non si capisce se sei un ristorante, se sei una cartoleria, se sei un centro di recupero per ragazzi speciali o un appartamento privato chiuso al pubblico perché se sente tanto 'sto cazzo».
«Ho capito, ma quindi che devo fare?».
«Devi interloquire, Iris. Devi imparare a parlare con le persone».
«Ma io ci parlo con le persone!».
«Ma con chi parli? Sempre con quei quattro stronzi della cazzo di corte dei miracoli degli amici tuoi!».

Chiaramente, non esiste un manuale per la creazione del tuo tiradentro, non esistono tavole di montaggio, pezzi di costruzione o maieutici cavatappi per l'inconscio, quindi la richiesta della Giaris turacciolo mi ha messa molto in difficoltà.
Le mie conversazioni, fuori dalla comfort zone delle persone che conosco sul serio, mi sembrano sempre faticose. Cosa dovrei rispondere all'insegnante di yoga che, mentre sono nella posizione del cammello, mi dice: «Devi aprire di più il cuore, Iris»? O al commesso del Carrefour che mi dice: «Mannaggia la miseria con 'sto Estathè, guarda che il Sant'Anna è identico, eh»? Sto zitta, che è meglio, visto che con sconosciuti e conoscenti riesco a dare il peggio di me nell'ansia di nascondere il mio fossato e saltare a pie' pari il loro.
Quando un mio amico mi ha chiesto se mi poteva lasciare sua figlia per qualche ora, io ho subito pensato: «E mo che le dico?», quindi: «Certo», gli ho risposto, «però io non le posso dare retta che devo lavorare».
«Perfetto, grazie e non ti preoccupare, tanto Oris è autonoma». Già, perché poi la figlia del mio amico si chiama Oris, ha undici anni, è bionda, bella e molto intelligente, di quella intelligenza furba che unduetré sei seduta per terra con lei che ti fa le trecce. E sì, se ci state pensando, la risposta è sì: ricorda proprio qualcuno di mia (e ormai pure di vostra) conoscenza e infatti la prima domanda che mi ha posto è stata: «Posso vedere l'armadio di Oris che lei ha un sacco di vestiti?». Oris, l'altra Oris, la somma Oris, quella che le trecce te le fa solo con lo sguardo.
Per il resto siamo state in silenzio, io ho lavorato e lei ha guardato la TV, fino a che non è tornata dal lavoro Big Oris che, appena è entrata, le ha regalato un vestito, le ha fatto una treccia e si è fatta raccontare tutti i suoi segreti – chiaramente, ogni bambina bionda è fornita di un tiradentro che manco i bancarellari di via Sannio.
A un certo punto, mentre non so come ci siamo ritrovate al tavolo a giocare a poker, Oris piccola mi ha guardato e ha colpito forte: «Papà dice che tu scrivi. Che cosa scrivi? A me piacciono i gialli. Cioè, mi piacciono dal momento in cui muore qualcuno, prima di quello mi annoiano».
Per rispondere, ho bofonchiato cose che lei ha finto di capire e poi sono stata salvata da un full di Oris grande che, ovviamente, non ha fatto vincere una mano a nessuno.

«Non capisco quale parte di "Devi imparare a parlare con le persone" non era chiara, Iris», ha tuonato la voce di Giaris mentre mi scioglievo la treccia.
«Ma una sfida più facile di due Oris sedute intorno a un tavolo non mi poteva capitare?».
«Vogliamo invece parlare di come ti sei fatta sgridare dal personal trainer nella sala isotonica – per dirla come la diresti tu?».
«No, non parliamone».
«Ti vergogni, eh».
Non è che mi vergogno è che io dovevo fare un esercizio che lui mi aveva scritto sulla scheda, ma intorno al macchinario c'erano due tipi che facevano cose ansimando come ansimano gli uomini quando fanno sport – che sembra che i muscoli li devono partorire, non allenare.
«Iris, ma che stai a fa' ferma là davanti?», mi ha detto lui.
«Riccardo, non è che posso sostituire questo esercizio con un altro?».
«Ma perché?».
«Non voglio mettermi là in mezzo e imporre la mia presenza, non li voglio disturbare».
Non saprei descrivere lo sguardo che mi ha riservato Riccardo, posso solo riportare le sue parole: «Tu forse stai scherzando, Iris. Adesso gonfi il petto, vai là e gli dici "Levateve". In sala pesi, vige la legge del più prepotente, la devi imporre la tua presenza sennò questi te se magnano. Forza, vai là, io ti guardo: spalle dritte e arroganza».
«E invece tu che hai fatto? Diciamolo quello che hai fatto», mi ha incalzato Giaris: «Sei andata lì e hai sussurrato "Scusate, devo usare questo macchinario", che capirai se ti potevano sentire quei due compressori a pistone di nessuna utilità per il prossimo. Poi ti sei seduta vittoriosa sul macchinario e Riccardo, porello, ti ha sorriso come se avessi davvero interagito e vinto la tua battaglia...».

Io non ho capito se ho un problema con i giudizi degli altri, con i pregiudizi, i cambi di idee, gli indulti, le riduzioni di pena o le preterintenzioni, so solo che quando devo avere a che fare con qualcuno che non conosco mi sento sotto osservazione, come se fossi in tribunale, e mi immagino che tra me e l'altra persona ci sia Borza, una tipa molto minacciosa che controlla le borse fuori da un locale in cui vado spesso a vedere i concerti. È sempre incazzata e ti controlla dappertutto: se mi trovasse in possesso di un brick di Estathè non me lo sequestrerebbe, me lo farebbe ingoiare intero.
«Aprite le borze. I maschi de là, le femmine de qua. Ma che stai a fa? Anvedi questo. Qua noi stiamo a lavora', mica ce stamo a diverti'... A te non te farei proprio entra', guardampo'».
L'ultima volta che ci sono andata, sull'onda delle mie disquisizioni con Giaris, mi sono immolata al controllo con il cuore aperto e un gran sorriso sulla faccia. «Ciao tesoro, c'hai acqua, smalti, deodoranti?», mi ha chiesto lei mentre mi sprimacciava la borsa da sotto. «No, niente», ho risposto io, con un piede già sopra al ponte levatoio. Poi, però, lei ha infilato le mani tra le mie cose, si è messa a ridere e scuotendo la testa ha alzato un po' la voce e ha commentato: «Capirai, questa c'ha 'n libro. Vai vai, passa...».
Mentre cadevo nel fossato, mi sarei voluta giustificare, dirle che aveva frainteso, che non era come sembrava, che quello che era successo era che non avevo potuto svuotare la borsa prima di andare al concerto, che mica ero una scema dissociata che si porta un libro quando va a sentire la musica dal vivo, ma lo scollamento ormai era avvenuto, il terreno comune era perso e io sono stata costretta a nuotare nell'incomprensione.
È stato in quel momento che, da un bicchiere di un superalcolico, Giaris mi ha detto: «Idea pazzissima: e se ingaggiamo Borza come tua personale tiradentro? Sai quanto ci divertiamo?».
«Ma infatti, la prossima volta che mi perquisisce, provo a dirglielo. Potrei farle il discorso sulle insicurezze, la timidezza, la goffaggine... magari funziona, no?».
«Certo, oppure le puoi dire quella cosa del paradosso del nonno nei viaggi nel tempo, così pensa che le stai insultando il suo di nonno e ti mena. Allora sì che ci divertiamo».
«Ecco, almeno divertiamoci, va'», le ho risposto, prima di spegnere l'insegna e mescolarmi agli altri, in quella complessa rete di natura umana piena di interlocutori impossibili.
Poi, siccome uno che conoscevo non mi ha salutato, con grande pacificazione nei confronti di me stessa, mi sono girata verso Oris e le ho detto: «Mi sa che a quello gli sto antipatica».
«Ma che ti frega! Sapessi a quanti sto antipatica, io».

venerdì 16 febbraio 2018

Il coordinamento nazionale di me sthèssa

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

«Ma il blog?», continua a dirmi mia madre da mesi.
«Eh, il blog...», le rispondo io ogni volta senza finire la frase.
«Eh, il blog!», incalza lei, che pensa che sto bene solo se scrivo su questo blog. E allora io trovo un modo di interrompere la conversazione non solo perché questa mia assenza mi fa soffrire, ma anche perché non c'è dimostrazione più puntuale di come sia andato questo 2017 per me se non questa mia mancanza, questo mio tradimento di me stessa – e il solo ricordarlo mi affatica.
Da quando ho aperto questo blog non è mai successo che io saltassi otto mesi – 8! – di scrittura; se questa volta è successo è perché da luglio a oggi non ho fatto altro che accettare lavori, pentendomi un secondo dopo di averlo fatto e sapendo anche che quel secondo che ci avevo messo a pentirmi era un altro secondo sprecato che si andava a sommare a tutto quello di cui mi sarei pentita da quel momento fino alla fine della mia pena. E mi sono pentita: ah, quanto mi sono pentita.
Ora, però, il punto qual è? Il punto è che sono successe così tante cose in questi otto mesi che non so da dove cominciare, non so quale trattare, non so come spiegare la quantità di follie che si sono affastellate sul mio stomaco, sulle scadenze, sugli spostamenti, sul Natale, su Stalin, sulla corte dei miracoli, sulla povera e insieme terribile Oris, su Core, su Sanremo, su... Insomma, ci siamo capiti.
Quindi comincerò dalla fine, come è sempre bene fare.

Anche se non ho mai esplicitamente parlato di lui, Fulmine è uno dei miei più cari amici, solo che abbiamo un rapporto talmente multiforme e lui è talmente permaloso che ogni volta che ne ho scritto non gli ho dato un nome, sperando che non si riconoscesse lui o almeno che non temesse che qualcuno lo riconoscesse, perché Fulmine, aldilà dei trent'anni, della barba e del fatto che è un omone, è sempre così dolcemente complicato, sempre più emozionato, delicato, che un po' va tutelato (come dice la mia amica Lorelai, non c'è canzone che descriva peggio la femminilità di Quello che le donne non dicono e, infatti, appunto, più che le donne riesce a descrivere molto meglio parecchi uomini).
Nelle sere tempestose, però, a Fulmine non devi portare delle rose, devi ascoltarlo mentre ti parla di Giordano Bruno, di quanto è innamorato e impaziente, del tuo futuro secondo quello che dice la carta che peschi sempre dai suoi tarocchi o, come qualche sera fa, devi ascoltarlo mentre ti dice qualcosa di definitivo su te stessa.
«Iris, ti devo confessare una cosa».
«Cosa? Che non mi vuoi bene? Lo so già...».
«No, cretina, non è questo... E comunque, vedi? È proprio questo il problema con te».
«Quale, scusa?».
«Che tu pensi sempre che non ti voglio bene, ma il fatto è che non ti accorgi che c'è un sentimento molto più grande che tu ispiri. E non solo a me. Tu sei come il Dio dell'Antico Testamento: noi tutti non è che non ti vogliamo bene, è che più di questo temiamo la tua collera».
«E non pensi che anche al Dio dell'Antico Testamento avrebbero potuto volergli più bene? Guarda che le cose sarebbero andate diversamente...».
«...».
«Comunque, qual è la confessione? Questa?».
«No, la confessione è che certe volte, quando non litighiamo da tanto tempo, io immagino che litighiamo e per inventare le tue risposte apro la Bibbia a caso, dici che è sacrilego?».
«Non lo so, a 'sto punto chiedilo alla Bibbia».
«(...) Volesse Dio parlare e aprire le labbra contro di te, per manifestarti i segreti della sapienza, che sono così difficili all'intelletto, allora sapresti che Dio ti condona parte della tua colpa. Capisci? Dice: "Dio ti condona parte della tua colpa"! Sei tu, Iris, sei tu!».
Il fatto di essere diventata in qualche modo la voce fuoricampo della vita di Fulmine, così biblicamente imponente, all'inizio mi ha turbato ma quando poi l'ho riferito a Oris, Draco Malfoy, Gus l'orso (bi)polare, Core e mia madre e tutti l'hanno trovata una descrizione così calzante anche per quanto riguardava la loro visione delle cose, ho capito che era proprio questa la fine che avevo fatto, quello che ero diventata. E la cosa mi ha fatto morire dal ridere.
Sono iniziati così i lavori per il coordinamento nazionale di me stessa, con Fulmine che mi ha scosso dal torpore di questi otto mesi, dandomi finalmente la fine della pena e l'in(d)izio per la strada di rientro nella normalità: un post sul mio blog. Contenta, mamma?
«No, che non sono contenta. Prima devi dirmi cosa diavolo è successo in questi otto mesi».
«Tipo riassunto delle puntate precedenti?».
«Tipo riassunto delle puntate precedenti».

Dal 4 luglio del 2017, giorno in cui è stato pubblicato De frathellis, è successo che:
  • Per lavoro ho scritto 800 pagine e ho avuto a che fare con altre 1100 - al netto dei libri che ho letto e di quello che scrivo, che non ho affatto scritto, naturalmente, e che scriverò (lo sto pure già scrivendo, no?).
  • La mia amica Silvis mi ha detto che dovevo smetterla di farmi quegli insulsi sciampi colorati e passare a quella che un tempo ebbi modo di definire Tinta De Beers. Ho accettato e, per la prima volta dopo anni, sono andata da un parrucchiere senza Oris. Ne sono uscita con delle mèches caramello che mi erano state vendute come non so che. Praticamente bionda. Un disastro.
  • Mentre avevo la testa piena di stagnola mi è arrivato un messaggio che diceva che un mio testo teatrale era stato scelto per Italian Playwright Project e che ero invitata ad andare a New York. «Ma come faccio ad andare a New York con queste mèches?», ho pianto al telefono con Core, che mi ha detto: «Fai che ci vai. E facciamo che vengo pure io per qualche giorno da Washington, solo per te». E così ho fatto: sono andata.
  • Non ho ceduto alla voglia di preparare degli shottini da 100 ml di Estathè per il bagaglio a mano, ma ci ho pensato e credo che questa sia una bella dichiarazione d'amore.
  • Appena sono arrivata ho cercato di farmi un selfie con l'Empire State Building per dire che ero lì e che stava per succedere questa cosa meravigliosa della lettura in inglese del mio testo, ma ho dovuto fare mille scatti perché il palazzo spariva appena lo fotografavo. Ho pensato che la città mi stesse rifiutando e quindi, quando Core è arrivata, l'abbiamo battute a colpi di 20 chilometri al giorno quelle strade, per conoscerle, e ci siamo conosciute. Ci siamo conosciute così tanto che, a un certo punto, mi sono ritrovata a fare colazione con l'ex fidanzata di Draco Malfoy, in un diner che ci ha accolto dopo il freddo accumulato sulla High Line – noi che non eravamo riuscite a vederci a Roma, a Genova o a Milano, ci siamo ritrovate a New York la stessa settimana. L'Empire, allora, non si è più permesso di sparire.
  • Mia madre mi ha regalato una di quelle sue geniali perle che ripeterò per sempre: di fronte all'ennesima telefonata fatta di pomeriggi che erano mattine e mattine che erano notti fonde, estenuata da quella cosa insopportabile di non essere sullo stesso fuso orario («Ma come non hai ancora pranzato, qui la giornata è quasi finita...», «Eh, mamma, ma qui sono le nove di mattina»), ha detto: «Certo che il tempo lì non passa mai...». Grazie mamma. Cosa farei senza di te?
  • Non mi sono iscritta in palestra, mi sono fatta allungare i capelli e non mi sono incazzata quando ho aperto un biscotto della fortuna e ci ho trovato scritto: «Avrai una vita lunga» e basta, tipo a dire: «e poi come è, è».
  • Sono uscita con uno stalinista che ho conosciuto a causa di 300 di quelle 800 pagine che ho scritto e per tutto il tempo mi sono chiesta se mi stava corteggiando o cooptando per farmi entrare nel Partito Comunista. Gliel'ho chiesto e lui si è offeso, mi ha detto che era confuso e che forse non ero il tipo di ragazza con cui doveva uscire, poi è sparito, poi è tornato, poi mi ha detto che mi aveva fatto un regalo per Natale, «Un presente, provocatorio ovviamente», «E che cos'è?», gli ho chiesto io: «uno zootropio di Rizzo che mi fa ciao con la manina?», non si è offeso, ha riso, ma in qualche modo mi ha fatto diventare sempre più aggressiva. Stalin, se mi stai leggendo, ora lo sappiamo cos'è successo: sono il Dio dell'Antico Testamento, non basta un baffetto per avere a che fare con la mia ira e poi cambia il vento ma voi no e io non ce la posso davvero fare. 
  • Non vorrei abusare di Ruggieri e Schiavone, ma in questi mesi Draco Malfoy ha detto, più o meno, sempre e solo: «È difficile spiegare, certe giornate amare, lascia stare...». E io: «Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore tuo Dio, (...) verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste benedizioni, sennò ciccia». E quindi: ciccia.
  • Non ho ceduto alla bruttezza di dicembre e di Natale e non ho mai smesso di allenarmi a discutere con Oris e mia madre perché dobbiamo essere pronte per quando tornerà l'estate e scenderemo di nuovo le dune di Sabaudia, noi e le nostre amiche del cuore, per sederci vicino ai pescatori e dirci tutto quello che le donne dicono, come facciamo sempre.
Ovviamente, sono successe molte altre cose, un po' le ho dimenticate, un po' non mi va di ricordarle, un po' il tempo fa sembrare tutto più piccolo.

«Iris, non è che ti disturbo? Ti sento con la voce assonnata...».
«No, no. Tranquillo. Dimmi pure».
«È fatta: mi sono innamorato, è tutto perfetto, è lei!».
«Ah ok».
«Ah ok?»
«L'importante è che tu sia felice».
«Il Dio dell'Antico Testamento mi ha appena detto che l'importante è che io sia felice?».
«Quando ha sonno, anche il Dio dell'Antico Testamento è docile».
«Lo dovrebbero scrivere sul libretto di istruzioni o in esergo sulla Bibbia. Tu ti ci dovresti fare almeno una maglietta e magari iniziare a uscire con i ragazzi solo quando hai sonno, così aumentano le possibilità che ne trovi uno che non si spaventa a morte...».
«Fulmine, hai appena messo fine al coordinamento nazionale di me stessa con questa frase, ma ricorda: Il Signore dà, il Signore toglie...».
«E che non lo so».