Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

lunedì 22 ottobre 2018

Thèniamoci stretti a baionetta

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

Quando facevo l'università, stavo sempre in mezzo ai maschi. Non era tanto una scelta quanto una necessità di adattamento: quindici anni fa, quando mi sono iscritta a Ingegneria meccanica, c'erano davvero poche altre ragazze oltre me. E così, stando in mezzo ai maschi, un po' ero esclusa, un po' ero corteggiata, un po' ovviamente ero vessata. Soprattutto Er Polemica amava vessarmi (che, insomma, già si capisce da come lo chiamavamo che era un bastian contrario), mi diceva: «Ti vorrei vedere a cambiare la ruota di una macchina, una notte che sei uscita con la minigonna».
«Fai il maschilista solo per farmi arrabbiare», gli rispondevo io, tra un sorso e l'altro del brick di Estathè preso dalla macchinetta. «Se foro una gomma sai che faccio? Quello che faccio ogni volta che mi trovo di fronte a una cosa che non ho mai fatto: chiamo mio padre». Lui rideva, pensando di avermi battuto in quella sua costante guerra di genere, che mirava a dimostrare quanto la superiorità tecnica del maschio andasse riconosciuta e preservata; e io lo lasciavo ridere, non mi arrabbiavo perché lo sapevo che le rivendicazioni di Er Polemica erano il suo disperato tentativo di riscatto da una madre meravigliosa che faceva apparire tutte le femmine come pericolosi competitor per la sua virilità.
E poi, dire che avrei chiamato mio padre non mi sembrava dare un punto alla sua squadra perché io sono cresciuta dentro a una famiglia che non ha fatto altro che scombinare tutto il tradizionalismo dei ruoli, con mio padre che ha fuggito la responsabilità di ogni decisione possibile («Chiedilo a tua madre» è la risposta che mi ha dato a ogni permesso richiesto durante tutta la mia vita) e mia madre che non ha mai cucinato niente che avesse un tempo di preparazione superiore ai 7 minuti. E infatti il risultato di tutto questo è che io ho una sorella maggiore di almeno 15 anni più giovane di me e che il mio cane ha il diritto di prelazione sull'ultima plumcake rimasta.

Quando racconto che andavo con mio padre sia a pescare che a cercare i funghi o quando mi capita di aggiustare il mobile di un'amica o sturare il lavandino di un ex fidanzato violinista che se gli togli le mani dall'archetto non sa cosa farci, mi capita spesso di sentirmi dire che sono stata cresciuta come un maschio. In realtà, così come ho preso da mia madre l'ossessione per la gestione ecomico-pratica dell'esistenza e una certa faciloneria nel prevaricare chi affronta la vita con lentezza, ho preso da mio padre la passione per le attività in mezzo alla natura e l'ostinazione per il recupero di tutto quello che sembra rotto – il problema è che, poi, nel mescolare queste diverse eredità ne è venuto fuori un carattere bizzarramente contraddittorio e vagamente prepotente.
Insomma, non sono stata cresciuta come un maschio, semplicemente, come tutti, la mia voce fuoricampo si diversifica a seconda delle situazioni che vivo e quando interagisco con il mio ferramenta adorato, quando l'idraulico mi spiega come riagganciare la cinghia della lavatrice se non parte la centrifuga oppure quando devo creare un'alternativa in fildiferro per tenere su un lampadario claudicante, è la voce di mio padre che mi guida.
«Ti vuole tua figlia al telefono», gli dice mia madre e poi mentre parlo con lui, pure lei continua a parlare perché se c'è una particolarità in questa specifica voce fuoricampo è che ha una costante eco vessatoria – che Er Polemica manco se rinasce.

«Senti, papà, questa settimana è tutto un disastro, ho dovuto cambiare due volte il tubo del doccino della vasca e adesso devo cambiare pure il soffione della doccia che, tra l'altro, non riesco a sganciare in nessun modo. Siccome non bastava che la base del frigorifero non mi sembra affatto stabile e che Oris ha appoggiato una padella calda sul tavolo – che grazie al cielo ha bucato solo la tovaglia –, mo si è pure fulminato uno degli agganci di quella lampadina assurda che abbiamo in cucina, te la ricordi?», gli ho detto qualche giorno fa.
«Me la ricordo, certo», ha risposto lui.
«Diciamo che se la ricorda», ha aggiunto l'eco materna.
«Non so come fare, dovrei cambiare quel pezzo, ma sto pensando che faccio prima a cambiare il lampadario».
«Devi trovare lo starter, ci deve essere uno starter. Poi devi prendere i fili e metterli a baionetta».
«Lo starter? Ma quale starter, dille che devono comprare il lampadario nuovo».
«Guarda, papà, perdonami ma non so cosa voglia dire mettere i fili a baionetta».
«In pratica, devi trovare una scatolina elettrica, e girare i fili che ci entrano dentro mettendoli a baionetta».
«Se quella si fulmina, la prendo io la baionetta e ti faccio fuori».
«Sì, papà ma se continui a cambiare tutte le parole della frase tranne 'a baionetta' non ne usciamo. Vabbè, non fa niente, non ti preoccupare, mo me la vedo io».
«Stacca la corrente prima di fare qualsiasi cosa».
«IRIS, NON TOCCARE I FILI CON LE MANI BAGNATE DI ESTATHÈ CHE SENNÒ UCCIDO TUO PADRE!».

Oris voleva chiamare un tuttofare ma io le ho chiesto di darmi ancora qualche chance, di mantenere la calma. Inutile dire che, come sempre, lei era calmissima: ha messo una piantana in cucina per ovviare la problematica del lampadario e ha videochiamato Pezzetta, manipolandolo in modo da fargli comprare un biglietto Londra-Roma per venire a risolvere i nostri problemi – anche perché, c'è da dirlo, quando vivevamo con quell'adorabile pazzo monomaniacale, anche se ci metteva 72 giorni, alla fine risolveva tutto.
Dopo aver dissuaso Pezzetta da fare questo viaggio per i motivi sbagliati, ho acceso il computer per cercare «fili a baionetta» su Google. È stato in quel momento che mi è apparsa, sulla schermata di Facebook, la foto di Er Polemica, abbracciato alla sua compagna incinta, che annunciava al mondo con la faccia più felice mai vista: «It's a boy».
Allora mi sono detta: forza maschi, vediamo che sapete fare e ho iniziato a scrivere e a telefonare ai miei amici, alla ricerca di soluzioni.
Draco Malfoy ha riso nervosamente fino a che non ho cambiato argomento, sproloquiando di voler comprare una baionetta e di non capire perché non potevo farmi la doccia anche così, con quel getto unico e corroborante.
Il mio amico Church(ill), giornalista cattolico che sostiene di saper aggiustare tutto in seguito a una educazione fortemente militare, mi ha detto: «Lo starter a baionetta penso sia una cosa ignota alla società scientifica mondiale».
Pezzetta mi ha detto che era tutta colpa del pappagallo che stavo usando.
Il mio ferramenta adorato si è limitato a vendermi un nuovo soffione che si chiama Niagara («Nun pòi capì che te sto a da'») e un prodotto per facilitare lo svitamento del vecchio.
Non potendo chiamare il mio ex violinista, visto che non era una cosa che si poteva risolvere con l'archetto, ho chiamato il mio amico chitarrista, quello che è uno dei migliori chitarristi del paese, nonché padre dell'altra piccola e biondissima Oris. Si è presentato a casa mia con ben due nuovissimi pappagalli (di cui ho immediatamente mandato una foto a Pezzetta) e si è infilato nel box doccia sotto gli occhi riconoscenti di Oris e della sottoscritta. Quando ha cominciato a tirare con tutta la forza che aveva, mugolando per aiutarsi, io non sapevo come dirglielo, ho cercato di trovare la parole giuste ma alla fine sono sbottata.
«Guarda che stai avvitando, non stai svitando».
«Ma sei sicura?».
«Beh, sì, se non ci credi, aiutati con la regola della mano destra».
Mi ha guardato come se fossi pazza, ma poi comunque è scoppiato a ridere, mi ha lasciato usare i suoi pappagalli superchic e non abbiamo ottenuto niente, se non che io, a forza di insistere, mi sono stirata un muscolo della spalla e non ho potuto fare più niente per due giorni.
La tentazione di scrivere anche a Er Polemica è stata forte, ma mi sono trattenuta, mi avrebbe detto che avevo fallito sia con l'aggancio di fildiferro del lampadario (che aveva sicuramente provocato il danno allo starter), sia col sistema di leve studiato per forzare la pseudo-giunzione del soffione della doccia (che, diciamolo, consisteva in Oris penzoloni sopra di me che sfruttava l'appoggio della parete per aiutarmi).
«Di' un po', portavi la minigonna?», mi avrebbe chiesto ridendo, ma anche stavolta non mi sarei arrabbiata perché l'ultima volta che ho visto Er Polemica, sei mesi fa, al matrimonio di uno dei nostri migliori amici, mi ha raccontato di questa donna meravigliosa con cui conviveva e allora che cosa mi devo arrabbiare a fare.

La verità, però, è che l'innesto a baionetta esiste, si fa tra due pezzi coassiali, soprattutto in elettrotecnica, e questi pezzi si uniscono con un inserimento e una successiva rotazione per l'aggancio, possibile grazie alla presenza di due o più razze (nel senso tecnico di elementi radiali che escono dal blocco principale, ovvero alette – ma anche in altro senso, eh).
La mia voce fuoricampo non deve aver accettato che non riuscivo a capirlo, quindi mi ha telefonato dicendo cose incomprensibili, fino a che la sua eco vessatoria, soffocata dalle risate, non ha preso il telefono e ha cercato di spiegarmi. Non so se i miei genitori volevano dimostrarmi una volta di più quanto fossero noiose tutte queste suddivisioni – maschi/femmine, padri/madri, giovani/vecchi, oggetti per il trucco/componenti masticatorie – ma, di fatto, a mio padre faceva male un dente e mia madre ha preso uno specchietto per vedere se poteva capirci qualcosa. E poi solo dramma.
«Mm ss cchh lll ccdd oo tt mmmddrr....»
«Iris, giuro, sono stata cauta, ma adesso gli si è agganciato questo coso al dente e non so più come tirarlo fuori! Ahahahahah! E non ce la faccio a smettere di ridere perché lui sbraita con uno specchietto in bocca!».

Mio padre ora è salvo e Oris ha chiamato un tuttofare – in barba alle superiorità tecniche e alle altre velleità. Io ve lo dico, cari amici maschi che chiaramente non siete competitor né suoi (del tuttofare) né miei né di mio padre, ci conviene tenerci tutti stretti a baionetta. Almeno fino a che qualcuno non ci salverà.