Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

mercoledì 19 febbraio 2020

Atthèntati


Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

C'è sempre un momento, nei miei incontri con la mia amica Reiki, in cui la vedo cambiare faccia: butta gli angoli della bocca all'ingiù, socchiude gli occhi e scuote un po' la testa. Subito Tobia si alza in piedi e fa urdhva mukha svanasana, la posizione yoga del «cane a testa in su» (che, tra l'altro, gli riesce benissimo essendo lui un cane). Si guardano e io lo so cosa stanno facendo.
In quel momento, come reazione a qualcosa che ho detto, Reiki e Tobia stanno frugando tra i miei chakra per cercare di capire qual è il centro energetico che non mi funziona e potermi aiutare a sturare la mia vita da qualche strana immondizia spirituale. Praticamente, una specie di Mangia, prega, ama, solo che, siccome io non sono Julia Roberts, AMA non è una coniugazione del verbo amare ma l'acronimo della municipalizzata che opera, per conto di Roma capitale, con i rifiuti solidi urbani del mio inconscio. Ottenendo quegli incredibili risultati che conosciamo bene.
E infatti, io glielo vorrei dire a Reiki che è tutta colpa di Virginia Raggi se le strade della mia emotività sono piene di cassonetti allo stremo, ma ci non riesco mai, perché mentre rabbonisco Tobia fornendogli del cibo sottobanco, lei ha già elaborato un principio vitale da condividere, pur sapendo che bene che le va otterrà da me la stessa propensione al cambiamento che abbiamo ottenuto noi da mia nonna quando le abbiamo detto che il Comune aveva approvato la raccolta differenziata obbligatoria, con ritiro porta a porta: «Che ci frega, noi portiamo tutto in campagna e lo bruciamo», ha detto lei – chiaramente si tratta di una variazione ambientalista del già altrimenti noto nonnaberting.
Ma se mia nonna è arrivata, come è arrivata, ad avere un cestino per l'umido, penso di poter riuscire anche io a pensare agli ultimi mesi seguendo i precetti di Reiki e reagendo con equilibrio a ognuno degli attentati che la vita mi ha giocato.

1. Okoruna – Non essere arrabbiato
A dicembre, sono stata 4 giorni a New York per l'uscita di un'antologia che conteneva un mio testo teatrale, quindi, di grazia: di cosa dovrei essere arrabbiata? Di niente, infatti. Certo, il viaggio di andata è durato 16 ore (tra taxi, check-in, scali, controlli, ecc.) e lì non ho trovato nemmeno un goccio di Estathè, ma New York a Natale è bellissima, no? Figurarsi, certo. E poi ha nevicato, per rendere tutto perfetto. Rockefeller Center, il vapore dai tombini, le vetrine, le luci, le strade imbiancate, i meno 14 gradi, gli occhi della mia amica Core che lacrimavano senza fermarsi e poi quel mio meraviglioso dolore al piede.
«Ma ti sei coperta bene?».
«Certo, a fronte delle newyorkesi con le caviglie nude, io avevo calze e calzini termici, eppure...».
«Eppure?».
«Eh, mi sono iniziate queste fitte tremende che poi si sono scoperte essere una fascite plantare – lo so, sono sempre molto sexy – e quindi me ne sono andata in giro per New York con i movimenti rallentati da strati di vestiti e da una vistosa e faticosissima zoppia».
«E ti sei arrabbiata?».
«Ma no, figurati. Tremavo dall'emozione, mentre quell'altra lacrimava...».
Poi il viaggio di ritorno è durato altre 16 ore (tra transfer, check-in, scali, queste lunghissime tratte degli aeroporti con me claudicante, cibarie strane e lunghe telefonate con le amiche per non addormentarmi). Quando sono scesa a Roma, ormai, camminavo in maniera talmente buffa che mia madre e mia sorella sono scoppiate a ridere quando mi hanno visto. Non dormivo da quattro giorni ed ero stremata, ma non mi sono arrabbiata, ovviamente. No, no. La famiglia non è assolutamente fatta per sfogar...
«MA COSA VI RIDETE, EH? VI PRENDETE GIOCO DI UNA STORPIA? NEW YORK HA CERCATO DI UCCIDERMI!».
«Scusa, Iris, però solo tu riesci a tenere le gambe aperte mentre ne trascini una...».
«VI ODIOOO! È TUTTA COLPA VOSTRA! STATE ATTENTANDO ALLA MIA SANITÀ MENTALE! E POI PERCHÉ NESSUNO MI PRENDE LA VALIGIA?».

«Scusa, ma Oris ti stava facendo una storia per Instagram».
«...».

5. Hito ni shinsetsu ni – Sii rispettoso verso gli altri
Sono tornata da New York il giorno prima di Natale ed ero piena di arretrati (lavoro, sonno, stanchezza, normale deambulazione), quindi il mio unico obiettivo era buttarmi in un letto. L'ho fatto, ma poco dopo hanno suonato. Non ci potevo credere. Mi sono trascinata al citofono con un profondo rispetto verso questi altri che volevano qualcosa da me (ma che cazzo) e con un profondo rispetto per Oris che si era assopita e quindi non aveva mosso un passo per evitarmi questo ingombro.
Quando, con la dolcezza del jet-leg, ho urlato dentro la cornetta: «CHI È?», ho sentito un flebile: «Sono Lorelai, Iris» e mi sono immediatamente preoccupata perché Lorelai non è flebile nemmeno quando è flebile, non è calma nemmeno quando è calma, diciamo che con i resti del primo principio del reiki ci ha fatto un'offerta votiva al Cavaliere nero e la morale è che non glie devi caca' er cazzo.
Comunque, quando le ho aperto la porta, mi sono trovata davanti la faccia di Lorelai piena di sangue.
«Ma che ti è successo?».
«Non lo so bene, stavo camminando e ho sentito qualcosa che mi è arrivato in testa, poi mi sono guardata intorno e non c'era niente, allora ho fatto finta di nulla e ho continuato a camminare fino a che un signore non mi ha chiesto se andava tutto bene e mi sono resa conto di stare in queste condizioni...».
«Siediti, dai, chiamo Oris e ti medichiamo».
Dopo aver ripulito la faccia e la testa di Lorelai ci siamo rese conto che la ferita era molto piccola e, mentre lei urlava al telefono contro sua madre – sempre perché la famiglia non è assolutamente fatta per sforgar... «MA QUALE ANTITETANICA? MA COSA STAI BLATERANDO? E NON MI DIRE DI STARE CALMA...» –, per calmarla, le abbiamo detto che non doveva preoccuparsi vista l'entità della ferita e allora lei ha avuto l'illuminazione.
«Ecco cosa è successo, ho capito: credo sia stato un bambino che stava giocando con una pistola a piombini, deve avermi sparato in testa...».
Io e Oris ci abbiamo provato a trattenerci, ad essere rispettose dell'altra e indignate per l'accaduto, ma non ci siamo riuscite: siamo scoppiate a ridere dell'assurdità della situazione. E così ci sono state urla, insulti, risate, lacrime, parolacce, sangue, madri, medici e molto disinfettante.
«Chissà cosa stanno pensando i bambini dei vicini...».
«CHI SE NE FREGA DEI BAMBINI! È STATO UNO DI QUESTI STRONZI CHE HA CERCATO DI UCCIDERMI, IRIS!».

4. Goo hage me – Lavora con impegno
Gli ultimi mesi sono stati lavorativamente molto intensi – diciamo pure che da luglio non ho avuto nemmeno un weekend, solo un paio di giorni di pausa a Natale e quest'ultima domenica (che comunque ho dovuto impegnare per andare a cambiare un caricatore del telefono che quelli del negozio (ma che cazzo) mi hanno venduto sbagliato). Insomma, non ho avuto requie. Tra tutte le cose, però, quella più impegnativa è stato un progetto che ho scritto (e sto scrivendo) con la mia amica Linari, madre di due bambine.
È da un po' di tempo che le mie amiche hanno iniziato a diventare madri e, siccome molte di loro, per me, sono famiglia, è da un po' di tempo che io ho iniziato a diventare zia. Con questi bambini ho fatto aperitivi, viaggi, discorsi, pigiama party fin da quando erano nelle pance delle mie amiche. Quindi sono abituati a vedermi, a giocare con me, a sentirmi sproloquiare su accenti e logaritmi parlando molto veloce, a guardarmi bere Estathè da cannucce bianche alle quali loro non possono accedere – e che, comunque, anche se potessero, «a ciascuno il suo brick, amori di zia».
A metà gennaio, stavo davvero lavorando con impegno quando Bianca, la figlia maggiore di Linari, quella che ha la frangetta impertinente e due pesci che si chiamano Mucca e Pecora, mi ha guardato negli occhi e con tutta la dolcezza che poteva mi ha detto: «Ma quando te ne vai?», una frase che mi ha frantumato il cuore e lo ha reso mangime per i suoi due animaletti gender fluid.
Siccome non le ho risposto, lei ha messo elegantemente le mani a cucchiara e me lo ha urlato sulle note di una melodia: «MA QUANDO TE NE VAI?». Il padre, allora, le ha risposto dicendole che non me ne sarei andata mai più, che avrei cenato con loro e dormito nel letto a castello con lei e la sua faccia mi ha definitivamente ferita a morte.
Linari ha cercato di tirarmi su, adducendo motivazioni in difesa della figlia, a cui doveva sembrare che fossi io e non il lavoro ad averle rubato la mamma, ma io l'ho visualizzata con una pistola in mano, alla finestra, pronta a spararmi non appena avrei cercato di lasciare il palazzo.

3. Kansha shite – Sii grato
Le mie amiche, sia quelle che sono già diventate madri che quelle che non lo sono ancora diventate, cercano sempre di presentarmi degli uomini. Certe volte mi avvertono, certe volte non mi avvertono, certe volte me ne accorgo da sola perché per settimane preparano il terreno a questi incontri, parlando di quanto sia adorabile questo gioiello di uomo che conoscono.
«Se questo sta da solo un motivo ci sarà. Avrà qualche problema».
«Beh, ma allora questo vale anche per te...».
«Certo che vale anche per me, ma che non mi vedi?».
«Comunque, non ti preoccupare, a lui non lo dico che vi sto presentando».
«Ma allora non dirlo nemmeno a me!».
«Ma tu te ne sei accorta!».
«Quindi sono più intelligente di lui? Ma li mette gli spazi dopo le virgole?».
«Aspetta, controllo...».
«Puoi controllare anche quante volte e come scrive Ahahah! in una conversazione?».
«Oddio, guarda non te lo presento più. Sei impossibile».
«Sappi che ti sono molto grata».
«Perché te lo presento o perché non te lo presento?».
«Non lo so, Reiki non ha specificato per cosa devo essere grata. Sono grata, non ti basta?».

2. Shimpai suna – Non ti preoccupare
Qualche giorno fa, ero diretta verso una presentazione ed ero (come sempre) in anticipo, quindi mi stavo godendo una passeggiata tra le strade del centro, con un vestitino di velluto un po' da Jo March di Piccole donne quando si trasferisce a New York e non ci sono meno 14 gradi (beata lei). Ero davanti a Chiesa Nuova quando sono scivolata. Nel piazzale vicino alla stazione dei taxi, il mio piede destro è andato per i cavoli suoi e io sono quasi caduta.
Mi sono fermata, ho respirato e ho pregato un santo che conosco: «Fa' che non sia una merda, San Tobia. Pensaci tu, cane yogico e molto educato». Non potevo andare a parlare in una libreria, con una scamiciata di velluto e una scarpa piena di cacca. Grazie al cielo, per non farmi preoccupare, Tobia e Julia Roberts hanno esaudito il mio desiderio.
«Ciao Reiki, scusa se ti disturbo ma devo chiederti una cosa».
«Dimmi».
«Sono appena scivolata su un preservativo usato e vorrei capire, secondo te, che segnali sto inviando all'universo e che segnali lui sta inviando a me. Io ci provo a impegnarmi, a stare nel presente, ad ascoltare il mio corpo, a rimanere calma e a formulare i miei pensieri sempre in positivo, ma se poi scivolo su un preservativo usato come faccio a non pensare che sia tutta colpa di Virginia Raggi?».
«Ahahah»
«Reiki, non ridere – o almeno fallo con la punteggiatura giusta – ma soprattutto: dammi una soluzione! Come faccio a non sentirmi sotto perpetuo attacco da parte di questo universo?».
«Facciamo così: pensa che, in un mondo in cui si può scivolare su un preservativo usato, può succedere di tutto».
«E questo dovrebbe farmi stare meglio? Sai quante altre cose assurde sono già successe? Senti, passami Tobia, per piacere».
«Dammi retta, Iris, non ti preoccupare. Andrà tutto bene. Poi, se va male...»
«Poi se va male, portiamo tutto in campagna e lo bruciamo, Reiki. Anche perché, te lo dico, con tutto il rispetto per Greta Thunberg, io non so proprio come differenziarlo questo disastro».