Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Mi
fa un po' strano pensare che i miei esami di maturità siano così
lontani nel tempo. Sono passati undici anni da quel giorno di giugno
del 2003 in cui io e il mio amato foglio protocollo ci siamo
presentati davanti a un banco verde per la prima prova scritta: il
tema d'italiano.
Di
quel periodo, mi ricordo: lo studio matto e disperatissimo; un
infermiere che mi misura la pressione; il mio professore di italiano
che mi telefona per dirmi: «Iris, non mi deludere» e io che vomito
dopo la telefonata; Évariste
Galois che mi induce all'insonnia, ai duelli e alla resistenza
politica e io che non dormo, pensando alle equazioni; la mia amica Mè
che viene chiamata a estrarre una lettera per capire da che punto
dell'alfabeto inizieranno gli orali e i suoi occhi che mi guardano
spauriti: «Scusa!»; io che sono la prima esaminata del primo giorno
degli orali e ho solo un week-end, per ripassare, tra le prove
scritte e l'interrogazione della commissione; io che vomito prima e
dopo l'esame; io che, più tardi, vomito ancora.
Quel
giorno di giugno del 2003, ho fatto un tema sulla possibilità di
(r)esistenza della poesia in una società delle comunicazioni di
massa, ignorando sia Pirandello (che era sempre stato al mio fianco e che
ha vissuto quella mia vigliaccata con grande sofferenza), sia il tema
più bello di sempre: Gli affetti familiari. Incredibilmente,
tra le tracce, c'era anche quella: il tema per antonomasia, quello
che ti danno alle elementari e che, da che mondo è mondo,
puoi iniziare con le stesse parole: La mia famiglia è composta
da.
«La
mia famiglia è composta da me, mia madre, mio padre, i miei nonni,
Oris, Pezzetta, Léon e una bottiglia di Estathè. La mia famiglia è
rumorosa e bizzarra, è faticosa e accogliente e poi è piena di
bugiardi. Tutti i membri della mia famiglia sono dei bugiardi»
«Lo
sapevo che lo avresti fatto»
«Cosa?
Il tema?»
«No,
prendere il giro il lettore»
«In
che senso?»
«Nel
senso che dire che tutti i membri della tua famiglia sono dei
bugiardi significa che sei una bugiarda anche tu e che, quindi, se
questa affermazione è vera, contemporaneamente è anche falsa»
«Ah,
sei Epimenide di Creta, quello del paradosso del mentitore. Come mai
sei qua? Mica avrai intenzione di uscire alla seconda prova del
classico, visto che quest'anno è greco...»
«Perché?
Non potrebbe essere?»
«Certo
che potrebbe essere, tu eri molto chiacchierato ai tuoi tempi: gira voce che sei
andato a cercare una pecora e hai dormito per cinquantasette anni...»
«Non
stavamo parlando degli affari tuoi?»
«Infatti.
Stavamo parlando degli affari miei, quelli familiari, di cui potrei
scrivere per un'intera vita da quanto sono paradossali»
Sono
ventiquattro anni che Oris aspetta il giornalino di Barbie: mia madre
giura di averle pagato un abbonamento, ma sappiamo tutti che non è
vero. Nonna Berta mette il basilico nel sugo, poi lo toglie, e cerca
di convincere mia madre (che lo odia) che non può sentirlo nel
sapore perché lei non l'ha mica usato («Vedi foglie in giro per i
piatti? No! E allora non c'è!»). Vicino al camino della casa dei
miei c'è una piccola libreria che contiene un catalogo fotografico
di un mio amico per il quale io ho scritto l'introduzione: la
copertina è stata strappata ma nessuno si prenderà mai la
responsabilità del fatto («Ma che ci avete acceso il fuoco?» «No!
Noi il fuoco lo accendiamo con il giornalino di Barbie!»). Il
veterinario ci ha detto che a Léon non piace l'odore del rosmarino e
che è per questo che sradica la pianta tutte le volte che mio padre
prova a coltivarla: quindi anche se mio padre gli mente, dicendogli
che quella è una pianta di basilico, non di rosmarino, lui
continuerà a farlo («Léon, te lo giuro: questo non è
rosmarino!»). Oris ha detto ai miei nonni che sposerà Pezzetta a
settembre del 2015, anche se non sono ancora fidanzati e loro le
hanno risposto: «Va bene, basta che gli fai accorciare la barba».
Pezzetta ha detto a Oris che lui non si sposerà mai e lei gli ha sussurrato: «Questo è quello che credi tu, maledetto bugiardo!». Io
dico a tutti che bevo sempre meno Estathè, che mi sto
disintossicando, e nonno Peppino fuma delle sigarette della farmacia
senza nicotina che sono una mistificazione quasi quanto il fatto che
odorano di canna.
«Tutti
i membri della mia famiglia sono dei bugiardi, caro Epimenide, anche
io lo sono. E questo non è un paradosso, ma la pura e semplice
realtà»
«Avresti
scritto questo nel tuo tema?»
Nel
mio tema avrei scritto che la misura del mio affetto familiare è un
cono gelato con cioccolato e limone. «Ci vuole anche la panna?» mi
chiedono i gelatai, schifati. «Sì, grazie», rispondo io.
Il
fatto è che io mangio il gelato anche se non mi piace, quindi quando
mi trovo di fronte al bancone per ordinare, prendo i gusti che
sceglie sempre mia madre: mangio la mia verità al limone mentre
lascio che la bugia di cioccolato mi coli sulle mani.
Poi,
male che vada, vomito.