Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Io
vengo da un paese di collina (che pure se ci sale Hugh Grant non
diventa una montagna), contornato da una famosa pianura bonificata e
non troppo lontano dal mare: una summa di possibili altitudini e
metrature che ne fanno un bel posto, uno di quelli che guarda
che la sera devi metterti un maglioncino.
Quello
che rende il mio paese di collina un posto di cui vado
particolarmente orgogliosa sono le statistiche da consumo di estathè:
è chiaro che se la Ferrero facesse un concorso per assegnare la
medaglia del maggiore consumo pro capite del bene, il paese
sbancherebbe. Trovi l'agognato brick perfino allo stand della carne
di capra nella sagra di agosto.
Sarà
anche per questo che sono abituata male. Quando viaggio, mi indigno
non poco se non posso apporre il mio bollino giallo di teinica
presenza sulle città, fossero anche città meravigliose.
Come
disse Don Buro, in quel capovaloro cinematografico di Vacanze
in America:
“E poi senti Giuà, saremo puro burini ma beata la 'gnoranza!”.
Don
Buro è stato il mio spirito guida, l'accompagnatore indispensabile
con cui ho condiviso la réunion della Anonima Tisanisti di
quest'anno, tenutasi a Mantova, città meravigliosa e non parca di
estathè (due tisaniste mi hanno visto piangere di fronte al bar
della stazione mentre agitavo due brick tra le mani).
E'
stato un viaggio da intellettuali, durante il quale abbiamo parlato
principalmente di Violante Placido, della teoria estetica delle
ragazze Cin-Cin di Colpo Grosso e soprattutto di come la precarietà
si sia fatta spazio nel mondo a partire da “Call me” dei Blondie
per arrivare a “Call me maybe” di una tipa uscita da Canadian
Idol, un excursus sociale e culturale di forse
su
cui uno dei tisanisti scriverà la tesi.
Siccome
la levatura dei nostri discorsi era innegabile, ad un certo punto, ci
hanno dato un microfono, ci hanno messo di fronte a delle persone e
ci hanno chiesto di parlare.
Essendo
in disintossicazione, non abbiamo potuto bere una tisana per farci
coraggio, quindi il panico si è facilmente impadronito di noi,
facendoci invocare Micheal e Johnson, i mitici Righeira che sono
arrivati con vocoder e sintetizzatori e si sono seduti accanto a Don
Buro, con le loro giacche laminate.
No
tengo dinero, no, no, no, no”
“E'
tempo che i gabbiani arrivino in città
L'estate
sta finendo lo sai che non mi va...”
“El
vento radiactivo
despeina
los cabellos
Vamos
a la playa oh, oh, oh, oh, oh”
Ebbene
sì, ce la siamo cavata, grazie alle rime dei Righeira tirate fuori
dalle tasche e ai santini di Don Buro usati come segnalibro.
Mantova,
ripeto, è una città stupenda, è bene che si sappia, ma non vendono
l'estathè in tutti i bar e, una mattina, ho dovuto bere un Lipton:
un gesto da fine dell'anno, da spumante sgasato, da lenticchie
fredde; una di quelle sventure che ti spingono a fare la lista dei
buoni propositi per l'anno nuovo:
- Cambiare casa
- Farsi crescere i capelli
- Monogamia assoluta con l'estathè (massimo della concessione: un infuso propaganda con EcCì, l'amica che, rettifico, non beve solo caffè freddo -ho rischiato la denuncia per il post precedente, si vede che non sono l'unica maniaca di liquidi eccitanti-)
Siccome
i Tisanisti guardavano prima me e poi il Lipton, poi sempre il Lipton
e dopo di nuovo me, ho dovuto aprire youtube
dallo smartphone (che Oris mi ha regalato contro la mia volontà) per
cercare di farli sentire il meno smarriti possibile.
Quando
è partito il sax, tutto è diventato dannatamente ufficiale.
L'estathè
sta finendo
e
un anno se ne va
sto
diventando grande
lo
sai che non mi va
Tanti
auguri.
Iris.