Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

martedì 5 luglio 2016

Agenthè patogeno

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

C'era un periodo, un paio di vite fa, prima che Core si trasferisse a Bruxelles e poi a Washington, durante il quale si era fissata con la metamedicina e con alcuni libri che ti aiutavano ad ascoltare il tuo corpo. In quel periodo, qualsiasi sintomo comparisse sul nostro comune pianerottolo, qualsiasi malattia occorsa in una delle due case, se non era risolvibile con il cofanetto di Sex&TheCity o con una bottiglia di Estathè, diventava un messaggio da decodificare: una caccia al tesoro da giocare all'interno del nostro organismo e della nostra psiche. Una stagione bizzarra, insomma, di quelle da rinnegare e seppellire nelle zone più profonde del nostro inconscio. E invece.
E invece, in questi giorni non ho fatto altro che pensarci perché è piena estate, a Roma non si respira e io ho una faringite cronica che ben due medici diversi hanno definito «arrabbiata», dicendomi che me la porto dietro da mesi (forse da novembre dello scorso anno, quando sono salita sul palco dello Spazio Tondelli, al Premio Riccione, a tossire e sproloquiare senza voce sui buchi neri e sui viaggi nello spaziotempo).
Oris, come spesso accade, non è molto di aiuto: lei detesta il fatto che io mi ammali, dice che tossisco in maniera scortese, che la febbre è sempre inelegante e il mio faticare a deglutire è un torto che non riesce a perdonarmi. Il solito atteggiamento assurdo e contraddittorio di mia sorella che dissimula i miei mali ma, essendo ipocondriaca, non fa che trovare sintomi in ogni sua azione quotidiana.
[«Iris, ho uno sfogo sulla schiena. Cosa sarà mai?», «Hai corso sulla cyclette con le scarpe da tennis e un vestitino con le zebre. Che cosa pensi che sia?», «Una psoriasi? Una cheratosi? Una ittiosi vulgaris?», «No, Oris, è solo che sei cretina. Devi utilizzare indumenti sportivi, come fanno tutti gli altri», «Ah, quindi non basta fare sport, devo anche andare nei camerini di Decathlon? Dai, Iris, ho già questa cosa sulla schiena, non infierire: controllami i battiti cardiaci, piuttosto...», «Sai che forse sei tu uno dei motivi per cui la mia gola è così arrabbiata?»].
Che poi io davvero non capisco perché devo passare un'estate su due a spruzzare spray, ingurgitare farmaci, fare diete per l'esofagite, coprire la gola, non esagerare con l'Estathè, tutelare il mio corpo dallo stress. Eccheppalle!
«Non dimenticare che devi anche unirti al pullman organizzato dal centro anziani per andare alle terme di Ferentino...», mi ha detto mia madre, nel picco massimo del suo umorismo.

«Dai, Iris, non ti lamentare! Alla fine, ti stiamo facendo compagnia. Gli agenti patogeni sono tutti simpaticissimi...», mi ha sbeffeggiato Nabot, mentre mi facevo l'aerosol. Nabot è il capo dei virus di Esplorando il corpo umano, quello con la scucchia e i capelli strani – che sembrano quelli di Oris quando si fa le pettinature anni cinquanta.
«Siete tutti simpaticissimi? Prova a dirlo a Pezzetta, che si è mangiato una pizza con una 'nduja – probabilmente andata a male – che gli ha fatto baldoria nell'apparato digerente per i successivi tre giorni, oppure prova a dirlo a Frederick e Marco Polo, la mia squadra tanto ardimentosa quanto cagionevole del campionato dei gruppi WhatsApp più strafatti di antibiotici. Anzi, meglio, parla con Core, che ha le lumache che le stanno distruggendo l'ibiscus e il basilico, due cani che non vuole mettere in pericolo usando roba chimica e una sola possibilità di salvezza: l'acquisto di anatre corritrici indiane...», ho risposto, urlando da dentro la mascherina per superare il rumore dell'aerosol, mentre sudavo beclometasone dipropionato e pazienza.
«'Nduja? WhatsApp? Lumache? Anatre corritrici indiane? Ma che stai dicendo?», ha riso Tignoso, il capo dei batteri di Esplorando il corpo umano, quello con i basettoni, la scrima e il possente corpo azzurrino.
«Sto dicendo la verità, Tignoso, come sempre. Qua, dove ti giri giri, incontri un agente patogeno», ho sentenziato con calma, togliendomi la mascherina e guardando negli occhi entrambi quei coatti di microrganismi.
«Ah si?», mi hanno risposto loro, accendendosi una sigaretta a mo' di sfida.

La verità è che ci sono periodi – non due vite fa, non qualche serie di Sex&TheCity precedente, ma proprio ora – in cui la vita sembra piena di infezioni, virulenze, invasività, ossessioni che ti si attaccano come funghi, sentimenti che ti combattono contro manco fossero malattie autoimmuni, idee con troppo ossigeno a infiammarti la cute e mastodontiche epidemie di insensatezza, e allora succede che torni indietro nel tempo, fai un viaggio spaziotemporale che nemmeno Piero Angela nel fegato e, in bilico su una ramificazione della vena porta, chiami Core e le chiedi se può cercare anche lei, da qualche parte, altri tipi di risposte.
Per farmi contenta, Core si è dovuta arrampicare sullo scaffale più alto della sua libreria di Washington, quello in cui mette i libri che vuole nascondere, così che gli ospiti non riescano a leggere i titoli – che deve essere l'equivalente americano di una zona profonda dell'inconscio. Mi ha detto che, secondo la metamedicina, a guardare dentro la mia faringe arrabbiata con occhi diversi da quelli dell'otorino, ci si trovano: avversità al cambiamento, rabbia trattenuta e creatività inespressa. Quelle cose che, alla fine, il punto non è che incontri virus dove ti giri giri, è che sei tu l'agente patogeno di te stesso e quindi c'è ben poco da borbottare.

Come spesso mi succede quando sono estenuata dal caldo, dagli ostacoli e dalle mille cose da risolvere, mi sono detta di provarle tutte: ho pensato che, tra un aerosol e un altro, tra una bustina per ripristinare le difese immunitarie latitanti della mia gola e un bicchiere di Estathè che è sempre la panacea di tutti i mali, potevo anche provare a capire se c'era davvero qualcosa di trattenuto dalle mie corde vocali, qualche forma di risentimento o metamorfosi rimasta impigliata nella mia faringe a provocare afonia, dolori e colpi di tosse; quindi mi sono avvicinata al computer per aprire una pagina di Word e provare a scrivere una lista di cose, ma ho trovato Oris, seduta alla mia scrivania, praticamente sconvolta.
«Iris, temo di aver preso un virus!», mi ha detto.
«Ancora? Non è niente Oris, le bollicine sulla schiena si sono spente. Basta con questa ipocondria!».
«Ma non parlo di me, è successo qualcosa al computer. Chiaro che sono stata io, sarò virale, gli avrò passato un microbo, ma non funziona, Iris. Non funziona più...».
«Oris, lo sai che c'è tutta la mia vita dentro a quel computer?», le ho detto scoppiando in lacrime. «Come facciamo se si è rotto?».
«Accetteremo la perdita. Sono sempre i migliori che se ne vanno...», mi ha risposto lei, asciugandomi la faccia.

Nabot e Tignoso se la sono risa alle mie spalle per entrambe le notti che ho passato in bianco, sudata e malaticcia, a cercare di combattere il terribile invasore a suon di antivirus.
«Dovresti provare con le anatre corritrici indiane!», mi dicevano mentre io urlavo contro mia sorella che erano colpa sua tutti i mali del mondo e che meritava di essere chiusa dentro un camerino di Decathlon, sommersa di tute e fantasmini per i piedi.
«Beh, almeno ti è tornata la voce!», mi rispondeva lei per dissimulare.
La mattina del terzo giorno, quando la situazione sembrava sotto controllo – ma non si poteva ancora dire – è stata Oris che, con il capo coperto di cenere, ha portato il computer in un centro di assistenza per un controllo finale.
Almeno lui è guarito.
Per quanto riguarda me, invece, ci vorrà ancora del tempo.
Nabot e Tignoso mi hanno detto che non se ne andranno fino a che non saranno pronti per la prova costume, quindi io, loro e Oris stiamo facendo i turni sulla mia nuova cyclette, anche se «cyclette» è un modo improprio di chiamarla, visto che è anche – e più di tutto – una bicicletta ellittica.
«Ellittica come le ellissi geometriche, le ellissi temporali e quelle linguistiche», dirò ai miei prossimi amici anziani, sul pullman diretto alle terme di Ferentino.
Io, Iris Versicolor, l'agente patogeno di me stessa.