Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

martedì 18 novembre 2014

Di transfert e trasferthè

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Durante questo mese fuori dal comune, per motivi lavorativi, non ho fatto altro che scrivere «Miao!» a padroni di gatti che mi parlavano per voce dei loro felini. Sembra assurdo, ma è così, e io non posso continuare a tenermi dentro questa bizzarra e ingombrante palla di pelo.
Miao! Sono Puffetta ma mamma Lea, la mia umana di riferimento, mi chiama Ciccia. Dici che è una questione di amore oppure dipende dal fatto che peso 14 kg?
«Puffetta, non costringermi a fare psicologia spicciola...», avrei voluto scriverle, «Dammi retta: passa dai croccantini all'Estathè» e invece credo di averle risposto: «SuperMiao, Puffetta! Sei splendida!», in preda a un feroce distaccamento da me stessa.
Quando ho saputo che il mio romanzo era il libro del giorno a Fahrenheit, mi sono detta: «È la fine, non sono lucida. Farò un casino...», quindi ho chiamato mia madre per essere rassicurata.
Mia madre, oltre a essere un motorino di avviamento della mia ansia, è la mia voce fuoricampo per eccellenza: quella che mi risuona nelle orecchie quando sto per comprarmi un qualsiasi capo d'abbigliamento nero corvino («Iris, non sarà troppa allegria?») o quando decido di non uscire per il terzo weekend di seguito («Se mi arriva una mail scritta dalla tua pecora di peluche Castellana, sappi che ti faccio rinchiudere io, ma stavolta in maniera definitiva...»).
«Il problema di questa diretta radiofonica non è tanto che non sei lucida», mi ha detto la mia umana di riferimento. «Il problema è 'sta vocetta gne gne gne: mi immagino mezz'ora di trasmissione a sentire gne gne gne...»
«Mamma, non so come farei se non ci fossi tu»
«Faresti comunque gne gne gne, credo...»

Grazie alla mancanza di Estathè patita nell'ufficio dei gatti e alla maniera in cui mia madre mi ha motivato a non essere troppo me stessa, ho avuto un tremendo calo di voce, subito prima della diretta; quindi, alla fine dei conti, sono risultata un po' rauca, ma quasi raffinata (nonostante questo, sono riuscita a rispondere a una domanda usando la parola disincrostante, giusto per continuare a barcamenarmi tra la mia figura di scrittrice e il mio ruolo di massaia che deve ricomprare il WC Net).

«Mamma, ti volevo dire che ora che ho finito questa cosa dei gatti, devo partire: faccio una specie di mini tour idraulico in Emilia Romagna per presentare il libro»
«Una trasferta, insomma», mi ha risposto lei, sfregandosi le corde vocali tremolanti sulla cassa armonica dei suoi meccanismi inconsci.
A mia madre ogni trasferta procura un transfert: le mille tappe lavorative di Oris non le hanno fatto superare questo trauma. Così, la sua mente procede in un viaggio emotivo che sposta i sentimenti che lei provava per me bambina (quando ero una cucciola scontrosa incapace di interagire con il mondo) e li appiccica sui sentimenti che prova adesso per me trentenne.
Quella del transfert è una disciplina olimpica molto in voga tra le mamme ansiose e poco concilianti: mia madre è campionessa mondiale di rimozione dalla sua coscienza della mia vera età, delle mie nuove (anche se tentennanti) capacità.
«Te lo dico prima, mamma: non chiamarmi tremila volte! Farò pure gne gne gne, ma non sono una bambina»
«Infatti non sei UNA bambina, tu sei LA MIA bambina»

Mamma sono sul treno. Mamma sono sempre sul treno, mi hai chiamato dieci minuti fa. Mamma, se ti dico che parto alle 12:28 e mi chiami alle 12:26 mi fai squillare il telefono mentre sto sistemando la valigia, può essere che non lo capisci? Sì, Frederick mi ha fatto trovare l'Estathè a casa sua perché qui in Emilia Romagna i bar sono un po' sforniti. Mamma, non è che sto sempre a cazziarti, è che sei una persona impossibile. Mamma, non ti ho risposto perché stavo salutando il mio amico Frederick che non vedo mai e, se vogliamo dirla tutta, mi hai pure interrotto il momento del distacco con questo dannato drìììn. Mamma, non dire che non vedo mai nemmeno te. Ah, non ti ricordi più se sono la tua figlia bionda o quella mora? Povere noi. Mamma, lo sai che Oris, al mio posto, non ti risponderebbe più? Mamma, ciao: sono sul treno. Guarda che non ti sto mentendo: sono sempre sul treno. Non faccio altro che prendere treni anche se tu fai di tutto per farmeli perdere.

Questa è più o meno la sintesi del mio tour di presentazioni: le parti salienti hanno una protagonista assoluta, che veniva annunciata da un temibile Drìììn.
E poi, a un certo punto, dopo aver fatto Roma-Bologna, Bologna-Rimini, Rimini-Bologna, Bologna-Rimini-Cesenatico e in attesa di fare Cesenatico-Rimini-Bologna-Roma, mi sono ritrovata di notte, da sola, in riviera, con il freddo, la grandine che mi aveva reso fradicia e quasi tutti i ristoranti chiusi. Mia madre mi aveva chiamato una volta di troppo e l'avevo minacciata che se mi avesse fatto squillare ancora il telefono l'avrei buttato in un canale.
La solitudine mi stava facendo quasi pentire della cosa, quando: drìììn.
«Papà. Oh, papà, dimmi. È successo qualcosa? Non mi compariva il tuo nome sullo schermo del cellulare da tredici mesi...»
«No, è che sono ancora a caccia e volevo sapere se tutto andava bene...»
«Ancora a caccia? Di domenica notte?»
«Eh, sì...»
[Intanto, su un'altra linea telefonica...
«Mamma, non ti capisco, se non parli più forte, non ti capisco. Ma ti assicuro che Iris sta bene, non la devi richiamare... Alza un pochino la voce. Dai!»
«Oris bhhhhrhssbbsb tuo padre pshoshpos qui haischohi stiamo facendo finta che sia ancora a caccia brshbace»]
Mezzucci. Vergogne. Dinamiche impossibili da disincrostare.

«Nonna, ciao. Sono tornata a Roma! Come va?»
«Oddio, Peppì! È Iris, sta bene!»
«Nonna, certo che sto bene...»
«Abbiamo avuto il divieto di telefonarti. Tua madre ci ha terrorizzati, ha detto che non volevi sentire nessuno. Io, ogni volta che sto telefono sguillava, gli urlavo Peppì, magari è Iris!»
Famiglie. Palle di pelo. Ansia congenita. Litri di Estathè.

Miao Puffetta! Sono Iris, non so se ti ricordi. Volevo parlarti della mia seconda intervista radiofonica, fatta per Radio Bruno, in cui ho urlato e parlato così velocemente da sembrare sotto botta di cocaina. Tu che dici? È dipeso dalla paura della mia voce che fa gne gne gne? Dal fatto che mio padre e mia madre mi prendono in giro come ai tempi della Madonnina della 'Mella? Dai miei nonni che vanno nel panico e mi danno per dispersa? Oppure è sempre tutta una grande questione d'amore?

In attesa di risposte, incrocio le vibrisse.
E miao a tutti.