Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

venerdì 29 novembre 2013

Lupetthè

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Quest'anno, durante il cambio di stagione, ho deciso di fare pulizia, di eliminare tutte quelle cose che non uso da anni, ma che ogni volta salvo, dicendomi: «Non si sa mai, potrebbero tornarmi utili». Non ho molti vestiti, calcolando gli usi e i costumi delle donne della famiglia dalla quale provengo: nella camera da letto dei miei genitori c'è un enorme armadio otto stagioni, ma mio padre è costretto a tenere i suoi vestiti in un'altra stanza; mia nonna ha comprato un baule antico e poi l'ha fatto ricoprire con della carta adesiva bianca, sperando che mio nonno pensasse di avere in camera un frigorifero e Oris ha innumerevoli grucce, decine di cappotti, cinquantacinque paia di scarpe (quelle le ho contate) e perfino una camicia da notte di tulle rosa taglia 60 della quale, se gliene chiedi conto, ti dice che ci sono cose che non puoi fare a meno di comprare, anche se non potrai mai metterle.
Quando mi sono ritrovata davanti alla realtà misera del mio armadio, mi hanno dovuto far annusare i sali di Estathè per farmi riprendere: niente ti può far sentire triste come scoprire di aver attraversato i decenni, senza aver mai fatto parte di niente. Non ho camicie grunge, non ho giacche con le spalline, non ho felpe hiphop, pantaloni a zampa o cinture con le borchie, nemmeno un paio di underground dalla para alta. No.
Io ho solo una collezione di lupetti che nemmeno Howard Wolowitz.

«Non c'è neanche bisogno di una bussola per orientarsi all'interno di questa giungla di amarezza!»
«E tu chi sei, con questo piglio giudicante?»
«Il mio totem è Topo Ragno Elefantino Peperino, sono qui per prenderti per mano e riportarti nel branco, come farebbe un bravo scout»
«In questa vita, non puoi dire la parola lupetto, che vieni fraintesa... Caro Topo Ragno Elegantino Saccentino: tante cose terribili mi potranno capitare nella vita, ma non potrai mai convincermi a indossare una gonna pantalone a costine di velluto blu»
«Hai un gilet oro. Luccica. Mi sembra molto peggio...»
«Tu indossi dei calzettoni di spugna che ti arrivano alle ginocchia, ti sembra di potermi giudicare?»
«Non lo so, ma questo gilet è una fonte di energia rinnovabile, potrebbe illuminare il Molise. Vogliamo darlo via? Vogliamo fare questa opera buona?»
«Non si sa mai, potrebbe tornarmi utile»
«Parola di scout?»
«Parola di Umpa Lumpa della scienza. Cerca di rispettare le categorie, lupetto»

Ci sono peculiarità personali dalle quali non ti puoi salvare, anche se l'eleganza matriarcale della tua famiglia spinge sugli scaffali del buongusto, anche se orde di femmine della tua taglia ti iniziano al comunismo come principio base dell'abbigliamento.
Se per dieci anni della tua vita andrai avanti a indossare maglioni a collo alto, siamo spiacenti: non ti puoi salvare.
«Oris, perché stai rovistando nell'armadio di mamma?»
«Perché quello che è suo è pure nostro e poi stiamo rovistando, tutte e due»
«Io ho i miei di vestiti, sto solo facendo il palo. Controllo che non arrivi il Ranger Smith...»
«Iris, quante volte te lo devo dire? Guardaroba è un sinonimo di armadio, non c'entra niente con i guardaboschi, non arriverà nessuno ad arrestarci, io e te non siamo Yoghi e Bubu...»
«Rovini tutte le mie storie»

Passano gli anni e i cambi di stagione, mutano le taglie, le mode e i gusti, non compri più nemmeno un lupetto nero e cerchi di indossare le bretelle solo in caso di estrema necessità, eppure, sappilo, non è cambiato nulla: l'onta, il destino, il gilet oro, lo spazio nell'armadio.
Sei marchiata a fuoco per sempre.

Mentre chiudo la scatola che contiene l'ineluttabilità del mio futuro da posseditrice di sole tre paia di scarpe per volta, me lo ricordo.
Io e mio padre siamo seduti sul divano ad aspettare che mia sorella e mia madre siano pronte. Mia sorella dice «Sto scendendo» un quarto d'ora prima di iniziare a truccarsi, perché lei sa prendersi il suo tempo, oltre che il suo spazio, e siccome non ha ancora detto niente, sappiamo che staremo lì ad attendere per un bel po'.
Io, invece di darmi all'alcolismo, inizio a sorseggiare Estathè e fisso mio padre, chiedendomi perché ha già indosso il cappotto e la sciarpa, anche se siamo in casa e c'è il camino acceso. Lui capisce e mi dice «Mi sono messo un maglione a collo alto, se mi vede tua madre litighiamo», ma io so che quello che mi vuole dire veramente è che siamo degli esistenzialisti, siamo costretti a spingere un masso per l'eternità, ad avere un lupetto tatuato sull'epidermide. Siamo i Superman del minimale.

«E' un bel gilet»
«Davvero, Oris?»
«Sì, ma con tutta l'altra roba, al massimo ci possiamo spolverare. Quanti anni bui che hai avuto, sorella, meno male che ti sei ripresa...»
«E' solo una maschera, se mi apro il cappotto rosso e mi strappo la camicetta a pois, sotto ho un maglione a collo alto, è la mia seconda pelle. Io sono come Superman, è un destino di famiglia: siamo sensibili, siamo riflessivi, siamo introversi...»
«Lo sanno tutti che Superman era solo un boyscout coi muscoli»
«Oris, tu rovini tutte le mie storie» 

martedì 12 novembre 2013

Seduthè spiritiche

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Il freddo, ieri, ha voluto dare un colpo di reni, sui miei di reni e sulla mia schiena. Io ci avevo messo del mio, visto che avevo dormito a pancia in sotto, con una canottierina e con il collo all'aria: la cervicale era bene in vista, come se ci avessi disegnato un bersaglio sopra. Il cecchino del freddo mi ha colpito alle spalle, come i vigliacchi, come quell'amico burlone che, quando ti tagli i capelli, si sente in dovere di darti un coppino sulla nuca.
Mi sono alzata dal letto con fatica, climaticamente incredula.
In corridoio, ho incontrato quel termosifone di Pezzetta, con le infradito e la maglietta a mezze maniche, che mi ha detto: «Iris, hai visto? E' arrivato il freddo, mi sono messo i pantaloni lunghi».
Io non mi sono fatta rallentare dal suo dileggio e, con un vestitino con le bretelle arrotolato a mo' di sciarpa e le parigine sopra ai pinocchietti (non ho ancora fatto il cambio di stagione), ho continuato la mia camminata rigida verso la cucina.
Quando ho visto Oris, non sapendo da quanto fosse in piedi, non le ho rivolto la parola: è una delle clausole del contratto tra coinquilini, ma non dovete pensare che sia a suo favore. Per lei non c'è problema se le rivolgi la parola, è come se pesti il piede a un leone, non le fai poi così tanto male; il problema è che se non hai sgabello e frusta, rischi la morte.
Evidentemente, però, era già sveglia da un po' e, ravvivata dalla colazione che Pezzetta le aveva preparato, mi ha rivolto la parola.

«Se il tuo intento è citare il video di Paparazzi, dopo che Lady Gaga è caduta dal terrazzo, hai sbagliato outfit, ma la postura a ghiacciolo è perfetta»
«Lo sapevo: è finito l'Estathè!»
«I want your ugly/I want your disease/I want your everything/As long as it’s free/
I want your love/Love-love-love/I want your love»
«La situazione è seria, smettila di cantare»
«Iris, io non sto facendo proprio niente»
«Baby you’ll be famous/Chase you down until you love me/Papa-paparazzi»

E infatti non era Oris: la musica veniva da dentro il frigo, incartata nella carne cruda manco fossimo agli MTV Music Awards.
Il primo freddo è come il primo caldo: può succedere di tutto. Devi stare attento ad ogni cosa che dici perché se il vento muove i bicchieri o il sole ne evapora il contenuto, può essere che evochi tutto quello che pensi, come in una seduta spiritica.
Il bello, riguardo a Lady Gaga, è che il mio primo ricordo di lei è comunque legato al dolore: ero su un autobus che da Genova Caricamento mi avrebbe portato a Genova Pegli con un mio ex fidanzato, c'era traffico, era buio, avevo mal di testa e questi due ragazzini hanno pensato bene di farsi musica col telefonino e imparare le parole di Poker face.
«No he can’t read my poker face/(she’s got me like nobody)/P-p-p-poker face, p-p-poker face/(Mum mum mum mah)/P-p-p-poker face, p-p-poker face/(Mum mum mum mah)»
Ormai non riesco più a pensare a Genova, senza pensare P-p-p-poker face.
Per associarla a Via del campo, mi devo concentrare.

Impossibilitata a fare colazione altrimenti, mi sono messa un cappotto non mio sopra ai pinocchietti con le parigine, ho stretto il vestito con le bretelle al collo e mi sono diretta verso il Carrefour. Blocco del collo, colpo della strega, Pezzetta in infradito, Oris in vena di chiacchiere o Lady Gaga: niente avrebbe potuto fermarmi.
Peccato che, aperto il portone, mi sono ritrovata a Trieste: il vento mi faceva sbattere la borsa contro la schiena ed era ovviamente contrario al mio verso di percorrenza della strada. Ma soprattutto, non ho potuto pensare a Trieste senza pensare a lei.
«La mia vita è una roulette, i miei numeri tu li sai/Il mio corpo è un moquette, dove tu ti addormenterai»
Siccome arrivare al Carrefour era troppo, mi sono buttata in uno di quegli alimentari che ti succhiano il sangue solo se entri, che una bottiglia di Estathè la paghi come un diamante da un paio di carati. Raffa è venuta fuori da dietro uno scaffale di barattoli di fagioli, io ho gridato «Europa Europa» buttando la bottiglia di Estathè a terra e tutti mi hanno guardato male. Forse perché non ho detto il numero giusto dei fagioli contenuti nei barattoli.
«Pedro, Pedro, Pedro, Pedro, Pe.../Praticamente il meglio di Santa Fe/Pedro, Pedro, Pedro, Pedro, Pe.../Soli io e te»
Il bello, riguardo a Raffaella Carrà, è che mi ha sempre fatto pensare a mia madre che, a parte il fatto che è mora, le somiglia parecchio e anche lei canta e balla molto volentieri (ma solo in privato -sennò poi mi dice Su quel blog mi fai passare come una che non è normale!). Mammina cara, io non è che ti ci faccio passare, ti voglio ricordare che, quando ero piccola e non mi facevi fare colazione con l'Estathè, mi preparavi mezzo litro di latte bollente (al quale, avremmo saputo più tardi, sono intollerante) e mi obbligavi a berlo tutto. Io e Oris, per evitare di vomitare a scuola, buttavamo l'in più nel lavandino del bagno, una per volta, mentre l'altra faceva la guardia; e per capire quanto ti stessi avvicinando a noi, valutavamo i decibel di Pedro Pedro Pedro Pedro Pe...
L'uomo nero mi stava simpatico rispetto a Pedro Pedro Pedro Pedro Pe e ho giurato su quel latte versato che mai e poi mai sarei andata a Santa Fe.

Quando sono uscita dall'alimentari, la bora mi ha spinto verso casa senza bisogno che camminassi e mi ha fonato i capelli così bene che quando sono entrata, Oris mi ha detto: «Bella questa pettinatura, sembri Reinhold Messner»
E allora è arrivato lui e per il resto del pomeriggio ha ripetuto Altissima, purissima, Levissima, mentre dall'ansia e dal dolore, io mi facevo di Estathè endovena.

Attenti a quello che dite, leggete o pensate, durante i primi giorni d'inverno: se è destino crasso, ve ne libererete in fretta, se è destino tenue, vi aspettano metri e metri di congelatore, con indosso solo le infradito di Pezzetta.