Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Prima
di avere un computer, all'inizio degli anni duemila, io tiravo le
fila di molti carteggi: aspettavo i postini, strappavo male le buste,
bestemmiavo contro le Poste Italiane e alimentavo il falso mito di
intingere le mie parole nell'inchiostro -grazie al fatto di aver
comprato quella penna bic a piuma che vedete infilata nell'Estathè
nell'immagine di copertina di questo blog. In un Natale di parecchi
anni fa qualcuno mi regalò perfino un tagliacarte che sembrava un
pugnale barocco, così che potessi sentirmi sempre più romantica e
smettere di stracciare male le buste.
Da
quando ho avuto un computer, nonostante una prova di resistenza
iniziale, ho smesso di leccare francobolli e scrivere indirizzi: ho
iniziato a curare i miei rapporti epistolari in maniera più diretta,
più semplice e paradossalmente più intensa.
Non
vorrei passare per una nostalgica perché non lo sono: è vero che
quando Oris mi ha regalato il mio primo smartphone le ho detto
«Grazie di avermi rovinato la vita...», ma posso ammettere con
tranquillità che senza l'App RomaBus,
mi sentirei una bambina perduta, un vettore libero, una forza non
applicata.
Vivendo
chiusa a riccio nelle mie confortevoli stanze, se non ci fossero
Facebook, Gmail e Whatsapp non saprei assolutamente niente del mondo.
«Iris,
quest'anno non ho ricevuto la tua letterina...»
«Babbo
Natale, ti ho mandato dei messaggi vocali mentre ero a Torino. E'
stato un mese confuso questo, non ho avuto il tempo di stilare una
lista di desideri...»
«Non
capisco perché mi chiami Babbo Natale, Iris: io sono Fernando
Pessoa»
«Ah,
chiedo scusa. Forse è per questo che non ti sono arrivate le mie
richieste, Fernando: non ho il tuo numero...»
In
totale, ho mandato tre whatsapp
vocali per
Natale (lo so che è un'orrenda sineddoche questa, e che, visto il
panegirico sulle lettere di carta, l'inchiostro e i pugnali barocchi,
mi dovrei vergognare, ma non posso fermare io il progresso, non posso
autoescludermi dalla possibilità di scaricare sul mio
telefono iFrusta e
scudisciare sonoramente la schiena di Pezzetta tutte le volte che
finisce per fare quello che Oris gli chiede di fare):
- Prima di salire sul palco di Fahrenheit, in concorso per Libro dell'Anno (in quanto libro del mese di Novembre): «Babbo, ti prego, fa che io non vomiti addosso al cantante dei Tre Allegri Ragazzi Morti, pure se quel vestito da mammuth assorbirebbe tutto il mio conato senza conseguenze».
- Prima di arrivare a Torino, per andare a conversare con i ragazzi della Holden: «Babbo, non ti chiedo molto: fai che ci sia l'Estathè, fai che piova Estathè, fai che il Po si riempia di Estathè».
- A seguito della scoperta che anche Pezzetta, come Oris, ha stabilito un certo feeling con gli esercenti del nostro quartiere: «Babbo, una domanda: perché sono l'unica della famiglia che viene trattata male dai commessi del Conad? Ti spiego: l'omino del ferramenta a Pezzetta gli fa i buchi gratis per la pedaliera ogni tre giorni e il pizzaiolo gli regala due chili di pizza per Natale. Il fruttivendolo ha stretto amicizia solo con Oris e tutte le bariste di Roma le fanno i complimenti per i suoi capelli, senza contare che ho visto autobus fermarsi a incroci non segnalati su Romabus per farla salire. Perché uno sconosciuto mi sta rimproverando, minacciando di tagliare il mio bancomat solo perché non sapevo che i bancomat scadono e non mi ero accorta di averne uno nuovo nella cassetta delle lettere? Vedi che succede a non aspettare più i postini con ansia?».
«Iris,
Babbo Natale non esiste»
«Fernando...»
«Io
non sono più Fernando Pessoa, se mai lo sono stato, sono Ricardo
Reis...»
«Ricardo,
io te lo dico: guarda che questi del Conad, se scoprono la storia dei
tuoi eteronimi, ti tagliano il bancomat»
«Ricardo?
Alberto Caeiro vorrai dire...»
«Senti,
io ti posso chiamare pure Bernardo Soares, questo non cambia il fatto
che non hai ancora visualizzato il mio messaggio su Facebook in cui
ti ringrazio per la benedizione di quella sala da thè sabauda nella
quale alla mia domanda Avete
del thè freddo? mi
è stato risposto Sì,
ma purtroppo solo Estathè. Può andare?»
Quando
ha visualizzato il mio messaggio su Facebook, Fernando Ricardo
Bernardo Alberto, era Àlvaro de Campos e mi ha scritto una
poesia. Io stavo impacchettando i regali di Natale quando l'ho letta,
in particolare un libro che doveva essere spedito. La poesia, famosa,
è quella che dice che tutte le lettere d'amore sono ridicole, che
non sarebbero lettere d'amore se non fossero ridicole. Quello che non
mi ricordavo è che la poesia finisce con una parentesi:
(Tutte
le parole sdrucciole
come
tutti i sentimenti sdruccioli
sono
naturalmente
ridicole)
Io,
quando mi chiedono la pronuncia del mio cognome, rispondo sempre che
sono sdrucciola. E in quanto ragazza sdrucciola, invisa ai
commercianti, che per avere un antibiotico senza ricetta è costretta
a spingere Pezzetta verso la farmacia scaricandogli contro iFrusta
come se fosse un termometro, io mi sento molto ridicola.
Quindi
ho preso l'antibiotico (che ovviamente gli hanno dato, a quel barbone
di Pezzetta), ho scritto una lettera d'amore e l'ho messa in mezzo a
quel libro che stavo impacchettando.
Poi
ho chiesto a Oris e a Fernando Pessoa di andarmela a spedire.
«Sono
entrata alla Posta, brandendo il pacco e urlando Fatemi
passare, fatemi passare, ho una lettera d'amore qui... Tutti
si sono fatti indietro, mi hanno lasciato spazio. Io ho compilato la
raccomandata, mentre la folla rumoreggiava di attesa. Poi, quando
l'impiegato ha lanciato il pacco nella cassa che stava per partire, è
scattato l'applauso. Fernando ha recitato la poesia, un'anziana è
svenuta, è partito un pezzo di Vecchioni e il mondo ha ricominciato
ad avere un senso...»
«Speriamo
che Babbo Natale mi ricambi, allora»
«Ma,
poi, tutto questo casino della lettera d'amore era per chiedergli di
farti passare il dolore al dente del giudizio, visto che non puoi
prendere gli antidolorifici?»
«Sai,
non ascolta i miei messaggi vocali su Whatsapp...»
«Che
vecchio»
Countdown
non ti temo. Duemilaquindici ti aspetto. Babbo Natale ti amo.