Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
È
decisamente troppo che non scrivo un post, più di un mese. Potrei
smuovere l'intera struttura quadrimensionale dello spaziotempo per
capire come ho fatto ad accumulare tutto questo ritardo, ma so bene
che «Ho dovuto tenere in braccio un gatto nudo» o «Ho avuto a che
fare con l'energia delle maree» oppure «Ero intenta a riempire
quasi quattrocento pass per allevatori di mici da esposizione» o
addirittura «Si sono scordati di portarmi i piedi del letto», per
non dire «Ho vinto il Premio Riccione per il Teatro», sono tutte
giustificazioni che non reggono. Roba talmente surreale da non
convincere nessuno.
Eppure,
è successo: lo sphynx – il gatto nudo – si chiamava Yuri ed era
uno scaldino di 38 gradi centigradi; non ho potuto scrivere che
l'idrocinetica marina sta ai mulini idraulici come il mio ragazzino
delle ripetizioni che fa surf sta a me che imparo a nuotare con la
tavoletta in piscina - ma l'ho pensato; Oris mi ha scudisciato con
iFrusta fino a che non ho montato l'ultimo badge della fiera;
Pezzetta mi ha sgridato perché con i tipi del letto ho usato la
frase: «Dubito che sia possibile...» e loro – che non erano
italiani – mi hanno risposto: «Scusi, signora, non abbiamo capito
che ha detto» (però non ha sgridato loro per avermi chiamato
'signora') e poi, improvvisamente, una voce ha annunciato: «Vince la
53° edizione del Premio Riccione per il Teatro 'L'orizzonte degli
eventi' di Elisa Casseri».
Al
che ci sarebbero un paio di cose da dire. Innanzitutto: «Elisa
Casseri? Chi diavolo è costei?» (sarei io, che mi faccio chiamare
così, ogni tanto, fuori da questo blog) e poi: «Come può essere
che i titoli dei miei testi finiscono sempre per contenere thè?» (c'è
Thèoria idraulica delle famiglie, L'orizzonthè degli eventi, ma
anche La geometria della notthè e altri).
«I
tuoi titoli contengono me?», mi ha detto un piccolo e amorevole
brick.
«Certo,
tutto quello che scrivo contiene te...», gli ho risposto, tirandolo
fuori dal frigo e portandomelo in camera.
Ma
il nostro idillio amoroso non è durato molto: Oris non ha dato il
tempo all'Estathè di esprimersi come voce fuoricampo ufficiale di
questo blog perché è comparsa sulla porta, urlando: «Ti stai
strusciando un brick di Estathè sul collo. Cosa sono? Preliminari?»
«Oris,
da dove esce tutta questa aggressività? E soprattutto: cosa avevamo
detto riguardo al piombare in camera mia mentre sto scrivendo? Hai un
carnet settimanale per le interruzioni, non lo sprecare...»
«Alzati
da quella sedia»
«Non
credo proprio...»
«Ho
detto 'Alzati'»
«Cosa
credi di fare con quel pomodoro? Mi stai minacciando?»
Sì,
mi sta minacciando.
Fermi
tutti. Questa è un'occupazione. Sono stanca di essere – al massimo
– una voce fuoricampo, sono stanca che Iris abbia sempre l'ultima
parola. L'ho legata ai piedi del letto e lei mi sta dicendo di non
ciccare sul suo computer – e pensare che non sto nemmeno fumando. È
proprio questo il fatto: in un mondo giusto e ben governato, con me
come imperatrice e nonna Tyrell come consigliera, Iris non potrebbe
fare quello che fa.
Non
potrebbe ribellarsi alla mia volontà, non potrebbe avere sempre
strani disturbi, sintomi di malattie inspiegabili. Non potrebbe
stringere le amicizie che stringe, quelle con i bambocci, gli
egoisti, i pazzi scriteriati (tutte cose che fa alle mie spalle e poi
mi porta davanti belle e pronte). E poi soprattutto, non potrebbe
tornare dallo shopping con una sola e piccolissima bustina, che
invece di un vestito, contiene un barattolo a pois con una cannuccia,
una specie di biberon che, da quel momento, accompagnerà tutte le
sue apparizioni, che ci sia o meno gente in casa – che imbarazzo.
«Dai,
Oris, basta! Ma che stai scrivendo...»
«Stai
tranquilla. Tieni questo. Bevi dal tuo barattolo»
Credete
sia facile essere me? Lei crede che lo sia. Lei crede sia divertente
vederla sul palco di Fahrenheit che fa dei respironi e temere che
vomiterà o esserle seduta accanto quando dal palco la annunciano
come vincitrice del Premio Riccione e lei mi guarda con gli occhi più
inquietanti che ha e io penso: «Ora sviene, ora vomita, ora cade,
ora va là sopra e dice Estathè» e poi doverla sentire che mi domanda: «Ma perché mi guardi sempre così? Ma che ti guardi?».
Che
mi guardo? CHE MI GUARDO?
In
un mondo giusto, non accadrebbe tutto questo. Quindi sono qui, in
occupazione del suo blog.
Vorrei
far notare che sono un'imperatrice molto ragionevole: invece di
defenestrarla, mi limito a mettere altro dissenso in un cumulo già gigante di disapprovazione.
«Sai
cosa mi fa arrabbiare? Che tu e tua madre pensate che sia colpa mia
quello che mi succede. Mi stai minacciando con un pomodoro, ma non ti
vergogni?»
Ho
resistito, sono anni che resisto: ma, ieri sera, abbiamo raggiunto il
limite, ieri sera questa tizia alla quale sono indissolubilmente
legata (i legami di sangue sono una grande fregatura: nel mio mondo
ideale, non esisterebbero – come del resto la riproduzione), la
nostra Iris, l'ho vista vomitare acqua e un solo pomodoro, ingerito
tra l'altro 9 ore prima. Mi dovete dire: chi è che vomita un
pomodoro e poi ti dice: «In effetti, sono due e tre volte che dopo
mangiato mi viene l'orticaria sul collo e avevo sempre mangiato
pomodori, prima...»? Chi è che tossisce da tre settimane e che si è curata
prima per un'influenza, poi per il reflusso gastroesofageo e ha
infine scoperto che probabilmente si tratta di una tosse allergica e
il problema è piccolo, rosso e acidulo?
E
quindi eccoci qua: forse abbiamo una nuova ed entusiasmante allergia
al pomodoro.
«Se
continui a puntarmelo, finisce che me lo mangio. Poi non ti lamentare
se tossisco e non senti bene le battute dei film...»
Sorelle
in ascolto, è finito il tempo della comprensione: basta sintomi,
basta nervosismo, basta nausea, rash cutanei e tosse. E soprattutto
basta Estathè: una bevanda inelegante, dozzinale e piena di
zuccheri. Mi dice sempre che non posso incazzarmi, che lei berrà pure
Estathé, ma io fumo.
Una
volta per tutte: fumare è nel decalogo di qualsiasi leader mondiale,
bere Estathè come se fosse acqua è nel decalogo di quelli che
finiscono ad abbracciare gli alberi e a chiamarli per nome.
Ecco,
ho finito.
Sapete
perché non cancello questi sproloqui? Perché sono buona – e anche
perché temo una rappresaglia, certo. E poi, pure perché Oris ha un
pochino di ragione: lei è un'iper-ansiosa e io sono un guaio
perenne, con una vita confusa, i sensi di colpa e gravissimi problemi
con la gioia e con il tempo. Ma che ci posso fare se capitano tutte a
me? Se tra maree, gatti nudi, piedi del letto, badge allevatori e
pomodori passa un mese e nemmeno me ne accorgo? L'intera struttura
quadrimensionale dello spaziotempo si prende gioco di me, mi pare
chiaro.
Non
mi resta che strusciarmi un brick di Estathè sul
collo invece di grattarmi, restare ferma e trovare un modo che sia meno goffo di questo per guardare il
sole – che quando tramonta sull'orizzonte, comunque, sembra proprio un
pomodoro.
«Non
sei brava ad essere felice: questo è. Se comandassi io, ti farei
venire un'allergia alla teina...»
«Ma
non avevi finito?»
«Sono
sempre qua. Non vado da nessuna parte. E soprattutto: io non finisco
mai...»
«Sulla
soglia dei buchi neri esiste
una superficie limite,
una regione dello spaziotempo che separa il posto da cui è ancora
possibile osservare un fenomeno dal posto in cui non lo è più.
Questa superficie si chiama orizzonte
degli eventi e, in
pratica, è la bordatura dell'universo così come lo conosciamo.»
«Quindi,
bisogna stare su questo orizzonte, per non finire nei buchi neri?»
«In
realtà, proprio come un qualsiasi orizzonte, è irraggiungibile: si
allontana all'avvicinarsi dell'osservatore. Funziona come il futuro.»
(L'orizzonte
degli eventi, Elisa Casseri – chiunque essa sia)