Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

giovedì 22 gennaio 2015

Il carthèllino

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

«Io vorrei sapere dove mi state portando», ha sussurrato Oris, coprendo il microfono dell'iPhone, mentre scendevamo dal Monte Lupone, dove eravamo stati a trovare un pezzo della nostra famiglia.
«Credo mi stiano rapendo. Non puoi capire», ha poi sentenziato al suo interlocutore telefonico: «Siamo in una lingua d'asfalto nei meandri di una foresta. Ci sono delle mucche in mezzo alla strada. Aiuto». Anche la macchina di Pezzetta, Fusette, era un po' preoccupata quando, in bilico sull'Antiappenino laziale, abbiamo incontrato il segnale di attraversamento animali domestici, prima, e quello di attraversamento animali selvatici, poi. E infatti, siamo entrati in contatto con tre mucche, cinque cavalli, un'istrice, una faina, due topi -di cui forse uno era uno scoiattolo, cinque cani e una volpe: ma solo perché era notte e la visuale non era abbastanza sgombra da poter apprezzare ancora più fauna.
«Potevamo morire», ha detto Oris quando siamo arrivati sani e salvi a casa dei nostri genitori.
«E jaaa! Che esagerata!», le ha risposto Pezzetta: «C'erano i cartelli, era tutto segnalato...».
Ne è seguita una discussione molto animata, quasi animale, per capire quanto una faccenda sia meno spaventosa se ti viene annunciata, ratificata, descritta, fatta lampeggiare su un tabellone analitico. Chiaramente, è stata una discussione infinita perché Pezzetta è capace di argomentare pure sulla piegatura delle fascette per montare i pedali sulla sua pedaliera e Oris ha una resistenza olimpionica al contraddittorio, esercitata in anni di litigi mattutini sulle responsabilità penali di Pezzetta riguardo alla mise en place della colazione.
Allora li ho chiusi fuori, in terrazzo, e ho appeso il cartello Non disturbare, per godermi un bicchiere di Estathè in cucina.

La mia è una vita fatta di foglietti e avvertimenti, di cose che so di non dover fare e poi faccio, di liste, annunci e dettami, post it e piccoli mantra quotidiani che non servono a niente.
Buongiorno.
Oggi: fare una passeggiata.
Mad Men 07x01: abbi il coraggio.
Non scrivere più a Babbo Natale.
Mostra sui numeri: vacci da sola, tanto non ci verrà nessuno.
Conferenza di Claudio Bartocci il 29 gennaio: ahahah! Invece qui non ti manderanno da sola, no no no. Credici. Prova a dire «L'irragionevole bellezza dei numeri», vedrai quanti calci in culo.
Questo penso, mentre mi rendo conto che mia madre, come al solito, ha lasciato l'Estathè fuori dal frigo e che sono davvero poche le possibilità che ci siano dei cubetti di ghiaccio in freezer, visto che è inverno.
Ma ci provo.
Rapa 10.10.2014
Fagiuolini 13.12.2014
Cinghiale 24.12.2014
Erba pazza 02.11.2014
Iris, questa è tutta ROBBA TUA
E poi il capolavoro, un pacchetto anonimo con sopra soltanto una data: 15.11.200014.
Da dentro il congelatore, nonno Peppino ci parla con bigliettini provenienti dal passato prossimo di un futuro distopico. Chissà cosa si nasconde in quei messaggi, chissà cosa vuole dirci.
I miei nonni sono l'enigma più arzigogolato della mia vita: nemmeno Alan Turing verrebbe a capo della sciarada di numeri telefonici dell'agendina di mio nonno (che lui, per confonderci, chiama La mia Argentina); nemmeno Alan Turing potrebbe decodificare i cassetti di mia nonna, pieni di vestiti nuovi con tanto di cartellini, che lei compra ma non usa mai («Potranno essere affari miei?», ci dice sempre).
Indicazioni, segreti, números de teléfono.
«Quelle sono le cose che nonno e nonna vi hanno preparato per il duro inverno di Roma. Ve le portate?»
«Certo», dico a mia madre, con la mano tremante di Estathè caldo e gli occhi pieni di rimprovero. Fusette lo sa che quando torniamo a casa deve travestirsi da camion per grandi sollevamenti e trasporti eccezionali.

[«State traslocando in questo palazzo?», mi ha detto una volta un condomine ignaro della gittata cardiaca del pozzetto dei miei nonni.
«Veramente, viviamo qui da due anni», ho risposto io, l'anonima inquilina del secondo piano. Lui mi ha guardato perplesso fino a quando non è arrivata Oris e allora ha cercato di pacificarsi con il suo stupore, dicendole: «Non conoscevo questa ragazza del palazzo. E lei?».
«Non la conosce nessuno, non si preoccupi. Le prometto che la doteremo di un badge identificativo, molto presto.»]

«Mamma, perché ti ostini a lasciare l'Estathè fuori dal frigo? Lo sai che lo odio...»
«Scusa, hai ragione. Come posso farmi perdonare?»
«Potresti leggere il libro che sto leggendo, per esempio. È di 900 pagine: è bellissimo»
«Iris, 900 pagine? E come lo tengo dritto?»
Lo so che quello che sto per dire ha dell'incredibile e che sarà sorprendente anche se lo sto annunciando, se sto mettendo le mani avanti, se sto cercando di prepararvi, ma è successo. Prima che potessi aggiungere altro alla mia richiesta, tipo una cartolina sul frigo con su scritto DonnaTartt.Pulitzer.2014, abbiamo sentito bussare alla finestra e mia madre ha urlato: «Eccolo. Viene tutti i giorni, non ce la faccio più: si sta mangiando il mio Ficus Benjamin, me lo sta sminuzzando, foglia per foglia, e poi mi graffia la finestra. L'anno scorso c'era il merlo che mangiava le bacche del Ligustro e adesso lui...»
«Ma lui chi?»
«Il cardellino»
Il bicchiere di Estathè mi è caduto dalle mani.
Sono rimasta in contemplazione di Lino, il mio nuovo amico cardellino, per tutto il tempo del suo pranzo. L'ho fotografato attraverso il vetro e l'ho mandato a una mia amica, che mi ha detto: «Mi pare grasso».
«Forse perché da selvatico sta diventando domestico», le ho risposto, mentre Lino colorava di feci il davanzale di mia madre e lei gli urlava: «Ho un fucile, Lino. Se non ti comporti bene, ti ammazzo».

Ho preso il libro della Tartt per farlo vedere a mia madre e dimostrarle che non stavo mentendo sul titolo e ho anche riaperto la finestra del terrazzo per avere testimoni, perché Oris e Pezzetta potessero apprezzare lo splendore di quel piccolissimo volatile. Nessuno poteva crederci.
Su un post it, ho scritto: «Lino, hai vinto il Pulitzer» e l'ho attaccato sulla copertina del mio libro per poterlo mostrare al cardellino.
«Il vetro è uno specchio unidirezionale e adesso è giorno», mi ha detto mia madre: «Non può vederti».

Oris ha coperto la sua bocca verso il microfono dell'iPhone e ha detto: «Non puoi capire. Mia sorella sta cercando di far leggere un cartellino a un cardellino. Questa giungla mi distrugge.»
Pezzetta, dall'altra parte del telefono, le ha risposto: «Questo non vuol dire che avevi ragione tu sui segnali stradali. Ho altre motivazioni da esporre».

Caro Lino, a Roma ho un giacinto, una tradescantia pallida, tre narcisi e un ciclamino. Posso portare pure l'Argentina di mio nonno, se ti piace.
Vieni a trovarmi, ti prego.
Mi riconoscerai: ho un badge con su scritto Iris Versicolor, bevitrice d'estathè, secondo piano.

venerdì 9 gennaio 2015

Controcorrenthè

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Io, Oris e Pezzetta detestiamo il Capodanno: quindi, di solito, organizziamo un contro-veglione che è una semplice cena. Cuciniamo tantissimo e, poi, a tutti quelli che ci chiamano il pomeriggio del 31 per chiederci che programmi abbiamo, rispondiamo: «Facciamo una cena a casa. Vieni, se vuoi...». Facendo così, l'anno scorso abbiamo raccattato chiunque e poi siamo finiti a bere amari in un baraccio sotto casa. Praticamente: un trionfo.
Quest'anno, però, abbiamo deciso che volevamo fare una cosa ancora più alternativa, un'alternativa all'alternativa, e ci siamo molto interrogati su cosa potesse essere.
A introdurre la pesca al salmone tra le montagne dello Yemen ci aveva già pensato Torday. A far sognare pecore elettriche agli androidi ci aveva già pensato Philip Dick. Alla possibilità di infilarsi in un cunicolo dietro a un mobile di un'azienda situata al settimo piano e mezzo di un grattacielo di New York e essere John Malkovich ci avevano già pensato Spike Jonze e Charlie Kaufman (che è anche stato mia amata voce fuoricampo).
Potevamo far cambiare colore di capelli a Oris, visto che il pensiero le era stato già instillato dalla botta di allergia al biondo platino avuta la notte prima del matrimonio della sua migliore amica (grazie al cielo ha smesso di essere paonazza prima della cerimonia -anche se una testimone di nozze con la pelle fucsia sarebbe stato un esperimento interessante), ma la sua parrucchiera ha detto di no. E anche Oris non era troppo convinta.

Quindi, visto che era la settimana più fredda dell'anno, abbiamo deciso di andare in Valpolicella, a prendere il fresco vero, quello che ti penetra nelle ossa e rimane con te fino a inizio giugno. Ci ha ospitati Sandokan, a Pescantina, un paese vicino a Negrar, dove è cresciuto suo padre (Emilio Salgari), e quando siamo arrivati, bardati come se Verona fosse al Polo Nord, lo abbiamo trovato in camicetta e turbante che ci guardava come si guardano dei pazzi.
«Spero tu mi abbia comprato l'Estathè», ho esordito, invece di dire Ciao.
«Valpo, Amarone, Soave, Recioto e Estathè: tutte le bottiglie sono pronte», mi ha risposto lui, con quell'accento delicatissimo da voce fuoricampo del nordest, sguainando la scimitarra per fare un po' di scena.

Pezzetta, all'ultimo momento, ci ha abbandonati e forse, proprio per questo, il Capodanno è stato ancora più assurdo di quanto potesse essere, ancora più alternativo: Oris, tutte le mattine, ha pianto l'assenza della colazione, preparata dalle sue mani sapienti, sulla spalla alcolica della povera Irisetta -che allungava il caffè con la grappa di Amarone Barrique per sopportarla (eravamo due Iris e un'Irisetta, Sandokan, una SS partenopea, un Ukulele emigrato a Berlino e Yanez de Gomera, corsaro veronese fratello di Sandokan, che ha avuto l'ardire di finirsi la mia bottiglia di Estathè e per questo sarà maledetto -lui e tutta la sua stirpe- a bere thè freddo liofilizzato per sempre, nei secoli dei secoli).
Principalmente, per tutto il tempo, abbiamo avuto freddo e fame: quindi, principalmente, per tutto il tempo, abbiamo bivaccato nella cucina di Sandokan, pasteggiando, impastellando e friggendo pure le bottiglie di Estathè.
«Scarpa larga e goto pien, ciapa la vita come la vien...»
«Sandokan, tutti quegli anni in Malesia non hanno scalfito per niente la tua veronesità...»
«Sì, ma mi mancano le mie avventure in mare. L'Adige non mi dà le stesse soddisfazioni...»

È stato a quel punto che ci è venuta l'idea geniale: per rendere il nostro Capodanno un romanzo d'avventura popolare, con un pathos puntato verso il rischio di assideramento, ce ne siamo andati alle terme. Per convincermi del tutto, siccome la staticità mi annoia e non sono capace di rilassarmi, mi hanno detto che, nel percorso esterno dei bagni termali -sì, ho proprio detto percorso esterno nella settimana più fredda dell'anno- c'era un fiume da risalire controcorrente.
Fin dal principio abbiamo rasentato la perfezione assoluta: grotte kitsch, acqua calda, cocktail direttamente in acqua, corse al gelo su finta roccia umida per passare da una piscina esterna all'altra e Oris con la perenne paura di essere sul punto di morire («Ma anche voi avete i polpastrelli raggrinziti? Anche voi sentite l'acqua calda? Anche voi avete cinque dita per arto? Anche voi vedete tutta questa gente intorno a noi? Anche voi vi sentite bagnati da quest'acqua? Non è che mi sta succedendo qualcosa?»).
E poi l'apoteosi: il fiume.
Ci sentivamo pronti alla prova fisico-terapeutica di risalire la corrente.
Senonché.
Dal percorso arrivavano urla di giubilo e la grande velocità con la quale la gente lo affrontava aveva qualcosa di strano. Beh, nessuno, giuro, nessuno lo stava percorrendo controcorrente, si lasciavano tutti trasportare dal fluire degli eventi, con grande e immensa gioia.
«Ma anche voi sentite una corrente fortissima?», ha chiesto Oris quando ci siamo buttati a fare quello che tutti gli altri stavano facendo.
«Oris, a occhio e croce: non morirai, oggi...»

Abbiamo fatto un giro, due giri, tre giri: non ce la facevamo a fermarci, non ce la facevamo a essere gli unici pesantoni che abbracciano la fatica della risalita alle nove di sera, in Valpolicella, con il corpo diviso tra la piscina di quaranta gradi e l'aria esterna di meno due. Non ce la facevamo a essere controcorrente, contro il veglione, contro l'oroscopo di Branko, contro i brindisi, contro il freddo, contro gli inglesi colonizzatori, contro chi visualizza e non risponde, contro le ex-fidanzate di Sandokan e contro il thè alla pesca. Non ce la facevamo a essere contro il Müller Thurgau.
Quindi, molto semplicemente, abbiamo lasciato che la corrente ci portasse dove voleva, anzi, per andare ancora più veloci ci siamo messi a nuotare.

Oris, che pensa che raccogliere i panni dallo stendino sia la misura massima dello sforzo quotidiano possibile, si è appesa ai miei fianchi e io l'ho lasciata fare.
«Ammazza, come andiamo veloci!», mi ha detto e poi ha spinto Sandokan a provare.
Lui mi è balzato sulla schiena manco fossi la sua tigre da tiro, ha arpionato le bretelle del pezzo di sopra del mio costume a mo' di briglie e ha urlato: «Sono in groppa a una scrittrice!».
Purtroppo, quella mia voce fuoricampo l'hanno sentita tutti: bucanieri, filibustieri, Perle di Labuan, perfino Pezzetta (che non ha mai smesso di essere al telefono con Oris). Ci hanno guardati, qualcuno ha riso e io mi sono vergognata tantissimo.
L'ho disarcionato e mi sono avventurata a risalire il fiume controcorrente, insieme a un paio di vecchi -gli unici coraggiosi- e alla sigla di Sandokan che mi risuonava nel cervello.

Il 2015 è appena iniziato e già sembra una giungla nera.
Propongo di sbronzarci di Estathè e cantare:
Sandokan Sandokan
dammi forza 
ogni giorno ogni notte 
coraggio verrà.