Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!»,
gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce
fuoricampo»
Ho
capito di essere diventata adulta quando i miei genitori hanno
iniziato a guardarmi con profondo dissenso per il fatto che non
avessi ancora prodotto un piccolo erede.
«Ma
non volete proprio farcelo un nipotino?», dicono a me e a Oris, con
gli occhi lucidi e il labbro tremolante. Di solito, Oris gli
risponde: «Non guardate da questa parte, io non so badare nemmeno a
me stessa. Puntate su Iris se volete avere una seppur minima
possibilità di successo», allora loro concentrano gli sguardi
delusi verso di me: io deglutisco un sorso di Estathè e cerco di
resistere.
All'inizio,
sono state solo battutine, piccoli lamenti che comparivano tutte le
volte che una mia compagna di scuola rimaneva incinta o che un'amica
di Oris si sposava, poi siamo entrati in un territorio impervio, che
ha portato avanti il dissenso, nutrendolo di una ricca serie di fasi.
«Le
fasi addirittura?», ha chiesto una voce che veniva dall'iPhone di
Oris, che era immotivatamente in camera mia, e io ho pensato fosse
Siri, quindi l'ho ignorata e sono andata avanti a scrivere.
Dicevo:
le fasi del dissenso. Prima c'è stata l'aggressività arricchita di
anatema: «Ma magari vi capita, egoiste che non siete altro...»; poi
abbiamo deviato verso la disperazione che induce alla libertà
sessuale: «Va bene chiunque per farlo, non importa sapere chi è il
padre...»; dopo è arrivata la capitalizzazione insensata dei nostri
beni: «A chi andranno gli ulivi, i filari d'uva, le nostre case, il
sassofono di Oris e questi fucili quando moriremo tutti?» e infine
perfino il sostegno di nonna Berta con tesi provenienti da una soap
di Rete4: «Ve ne pentirete, come quella di Tempesta
d'amore
che si è messa con uno vecchio contro il volere di tutti: lui si è
fatto sterilizzare come i cani e quando lei l'ha scoperto, da che
sembrava che non volesse i figli a che si è ubriacata, è entrata in
un bar, è salita su un tavolo e ha iniziato a urlare: 'Qualcuno mi
metta incinta! Qualcuno mi metta incinta!'».
Succede
in tutte le famiglie, lo so, ed è inutile cercare di argomentare
come fa Oris con la sua teoria sull'estinzione della razza umana –
«Perché perseverare? Liberiamolo questo pianeta». Non c'è scampo.
L'unica cosa che si può tentare è fare finta di niente: cercare di
essere sordi da quell'orecchio, rendersi anatomicamente impermeabili
alle recriminazioni.
«Sono
tutti ossessionati», ha commentato la voce. «Un'infermiera prima mi
ha chiesto se era perché avevo appena partorito che ero ricoverata
qui...». Solo a quel punto, ho capito che la voce era quella di
Wendy, che era in diretta no stop da Saronno, da una settimana,
incorniciata in un'inquadratura di Facetime dal suo letto di
ospedale.
«Wendy,
come stai?», le ho chiesto.
«E
come sto? La cartomante di mia madre ha visto che ho smesso di
prendere la pillola e ci ha tenuto a dirle che il primo errore sarà
fatale; poi non riesco a muovere la testa né a stare in piedi e le
infermiere mi scambiano per una puerpera. A parte questo, tutto nella
norma: la sceneggiatura di questo film continua a fare schifo».
Wendy
è la migliore amica di Oris e, in quanto protagonista di Shining, ha
sempre molte aspettative sugli intrecci narrativi e le doti
extra-sensoriali delle persone che affollano le nostre giornate e
soprattutto, dopo la sua roboante fuga verso Milano, il treno
sbagliato che l'ha portata a Genova, il tentativo di furto sventato,
un altro treno notturno per Milano, un bicchiere rotto con successivo
taglio sotto al piede e il ricovero per labirintite, trova
strampalato che qualcuno le parli di maternità, soprattutto che lo
faccia la cartomante di sua madre. Allora ho preso in mano il
telefono e l'ho guardata.
«Come
è potuto succedere tutto questo, secondo te?», le ho domandato –
e intendevo le sue corse, lo stress, la coclea, l'apparato
vestibolare, il labirinto confuso del suo orecchio – ma ho capito
subito di aver posto la questione in maniera troppo generica.
«È
tutta colpa dei greci. Minosse ha fatto incazzare Poseidone, Pasifae
è finita ad accoppiarsi con il toro, è nato il Minotauro (che poi,
voglio dire, fai un figlio e ti viene fuori il Minotauro...).
Comunque: Dedalo ha costruito il labirinto, Teseo ha ammazzato il
Minotauro, Arianna ha salvato Teseo con il filo, intanto hanno
rinchiuso nel labirinto Dedalo e suo figlio Icaro, Dedalo ha
costruito le ali ma Icaro è volato troppo vicino al sole (un altro
genio di figlio), poi Dedalo è andato in Sicilia, Minosse è morto,
io ho superato i trent'anni, non riesco nemmeno a muovere la testa e
adesso pare che, in sceneggiatura, c'è scritto che mi toccherà fare
un figlio...», ha detto la povera Wendy, in un delirio mitologico da
mancanza di Oris, totale assenza di equilibrio e ineleganti conati
nei corridoi dell'ospedale.
«Vuoi
che chiami Oris?», le ho chiesto.
«No,
no, mi piace che stiamo parlando un po', Siri», mi ha risposto lei.
Una
volta, da piccola, sono stata in un luna park di Roma che si chiamava
LunEur e che aveva un labirinto di cristallo: ovvero un labirinto con
divisori trasparenti pensati per ingannarti riguardo all'uscita,
visto che, se non stavi attento, finivi per sbatterci la faccia
convinto di aver trovato la strada giusta. A terra, questi divisori
erano sostenuti da una guida di metallo: io me ne sono accorta, l'ho
seguita e ho trovato subito l'uscita.
«Iris,
ci hai messo pochissimo! Ti sei divertita?», mi ha chiesto mia madre
e io ho risposto: «Non lo so», per non farla dispiacere, anche se
non mi ero divertita per niente.
Saranno
passati più di vent'anni da quell'episodio ma quando l'altro giorno,
al telefono, mia madre mi ha detto: «Ma pure tu pensi che la razza
umana si debba estinguere? Oris
ti ha messo in testa queste cose e mo tu non mi fai un nipotino?
Oppure è tutto quell'Estathè che ti bevi che ti ha fatto diventare
così arida? Tu sei materna, Iris: lavi sempre i piatti, ti raccatti
tutti quei pazzi, hai viziato tua sorella in un modo inimmaginabile
perfino per Pezzetta, parificabile solo a quanto l'ho viziata io. Non
puoi veramente pensare di non avere un figlio...», quando dopo tutto
quel tempo, io le ho detto: «Non lo so, mamma. Non te lo so
dire...», lei mi ha risposto: «Se è un Non
lo so
come quello del LunEur, siamo a posto».
«Non
lo so nemmeno io, Siris», ha deciso di chiosare Wendy.
Il
fatto è che stavolta, io non lo so davvero. Non so rispondere. Tra
territori impervi, anatemi, filari d'uva, giornate di lavoro
infinite, Tempeste
d'amore,
cartomanti, apparati vestibolari, treni sbagliati, miti greci, uscite
con ragazzi cattolici che ti dicono: «Domenica se ti va, ti potrei
portare in chiesa», sorelle particolarmente insolenti, mancanza di
tempo, di guide di metallo e di vie d'uscita, uno non può avere
nessuna sicurezza.
Quindi,
quando ho letto il messaggio di Draco Malfoy che mi diceva: «Devo
fare ginnastica e ho bisogno di compagnia: o te su Skype – se hai
qualcosa da raccontarmi – o una puntata di Scrubs», mi sono
precipitata a chiamarlo, anche perché non lo vedevo da un po'.
Mentre
faceva i pesi, gli ho raccontato tutto quello che mi era successo
negli ultimi giorni e, siccome non poteva parlare, non mi ha
contraddetto: incredibile. Poi, mentre faceva le flessioni, gli ho
raccontato del vino BIO VEGAN che Denis ci ha portato solo per quello
che c'era scritto sull'etichetta: «I nostri vigneti sono gestiti con
tecniche innovative di lotta antiparassitaria per confusione
sessuale» e lui non ha mosso nessuna invettiva: assurdo. Dopo la
doccia, si è presentato davanti alla web-cam con la maglietta della
sua squadra di calcio di quando aveva dieci anni e quando gli ho
detto che sembrava Mark Owen dei Take That, invece di incazzarsi, mi
ha fatto un balletto da leader di una boy band: sublime.
Momenti
perfetti, irripetibili, di quelli che ti fanno pensare che forse c'è
una possibilità di ritrovare l'equilibrio, le risposte, e scappare
dal labirinto. E invece niente: dalla posizione di uscita della sua
performance, Draco mi ha guardato intensamente e mi ha detto: «Iris,
comunque la tua vita è ridicola. Tu sei fortemente ridicola...».
«Fa
proprio schifo diventare adulti», ha urlato Wendy dall'iPhone e, a
quel punto, l'hanno dimessa. Per il resto di noi, invece, credo che
ci vorrà ancora un po' di tempo.