Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Com'è
universalmente noto (ne ho parlato anche nel mio ultimo post, in
questo periodo è davvero un'ossessione per me), io non ho
possibilità di stare davanti nei viaggi in automobile in cui è
presente mia sorella. E questo succede in generale, ma quando si
tratta di Fusette, la macchina di Pezzetta, la realtà è ancora più
esasperata: il posto davanti della Peugeout 206 reca sopra incisa
l'immagine sacra di Oris, con una palette di biondi Targaryen che se
i tuoi capelli non corrispondono alla tonalità giusta il sedile
prende fuoco (provare a ignorare questi segnali sarebbe una
blasfemia inaccettabile e pericolosa).
Oris è sempre stata davanti a me, in questa battaglia -in tutti i sensi;
ma con la storia di Fusette mi ha definitivamente disarcionata, nella
giostra medioevale del «Tocca a me stare davanti» e regna
incontrastata sul suo trono
di spade
con cintura di sicurezza.
Qualche
settimana fa, mentre andavamo ad Ascoli Piceno o in Ascoli Piceno o
per Ascoli Piceno -o con, su, tra, fra Ascoli Piceno- Pezzetta,
evidentemente mosso a compassione, mi ha detto che aveva un regalo
per me e, infilando la mano verso la parte povera dell'automobile, mi
ha donato un telecomando sottile come una bustina di zucchero usata.
«Con
questo, puoi controllare la musica da dietro...», ha proclamato con
soddisfazione.
Io
ho guardato commossa questo benefit inaspettato e mi sono sentita
invasa da una gioia parificabile alla sensazione di quando sono
entrata in un bar di Torino, ho timidamente chiesto del thè freddo e
la ragazza al bancone mi ha detto: «Però...» (quando una frase
inizia con un però
è sempre molto insidiosa) «Però qui abbiamo solo Estathè» e io
avrei voluto dirle «Amo te, Torino e i vostri però», ma mi sono
trattenuta.
Alla
vista del telecomando, Oris ha incrociato le braccia con dissenso,
persino i suoi capelli si sono intrecciati di disapprovazione, e mi
sono accorta che stava già pensando a una macchinazione per
risolvere anche questo torneo in suo favore.
Non
appena ho messo le dita sui tasti, ho capito: Mr Sandman, Earth
Angel, Johnny B. Good, Ritorno al futuro, anni dieci del duemila che
diventano anni ottanta del millenovecento e poi diventano anni
cinquanta, viaggi nel tempo, Quantum Leap, nebulose di ricordi, Le
cosmicomiche.
«Nell'universo
ormai non c'erano più un contenente e un contenuto, ma solo uno
spessore generale di segni sovrapposti e agglutinati che occupava
tutto il volume dello spazio, era una picchiettatura continua,
minutissima, un reticolo di linee e graffi e rilievi e incisioni,
l'universo era scarabocchiato da tutte le parti, lungo tutte le
dimensioni»
«Italo,
io lo sapevo che prima o poi...»
«Se
compri il biglietto alla vista di un fuoco fatuo in un calda sera
d'agosto, mentre guardi una stella cadente e senti ululare un lupo
mannaro, Italo ti fa uno sconto del 97% su La
distanza della luna»
«Guarda
che se cominciamo a fare giochi sui tuoi titoli o sulle tue parole,
non la finiamo più. Non saresti Italo Treno manco se collegassi
tutte le tue città
invisibili,
anche perché, se lo fossi, ti farebbero arrivare solo nelle stazioni
secondarie...»
«Non
mi sembra il caso di far polemica, adesso. Spiegami solo perché sono
qui»
«Non
lo so, forse è perché, in questo periodo, ho un problema col
tempo...»
Il
sedile posteriore di Fusette è tutta un'altra storia a dividerlo con
Calvino, «il
tempo cambia di forma, la notte si dilata, le notti diventano
un'unica notte nella città attraversata...».
E così.
E
così tutto in blocco, di tasto in tasto, di canale in canale: mi
sono cresciuti i capelli che nemmeno me ne sono accorta; ho picchiato
una chiave inglese sulla testa di Oris perché lei ha cercato di
tagliarmi un dito mentre nostra madre non ci teneva sotto controllo;
un piccione mi ha cagato in testa a Via del Babuino, poco prima di
Tiffany (che vite diverse io e Holly Golightly); mi sono ritrovata a
Torino in una riunione di un gruppo civatiano del PD che doveva
decidere se abbandonare il PD o rimanere; ho litigato con il bidello
delle medie perché l'orologio andava male; ho partecipato alle dieci
di mattina a un party su un treno con degli sconosciuti che mi hanno
fatto bere due bicchieri di prosecco a stomaco vuoto (e non ho
vomitato); mi sono trasferita a Roma in un giorno di febbraio con un
sole incredibile; mi si è incastrata un'ape pelosa sotto la
maglietta e ho pianto dal dolore mentre mia madre la ammazzava con
una pratica di un suo cliente; Aldo è comparso con una maschera
orrenda davanti alla finestra di quella cucina piccolissima della casa in
cui stavamo, mentre lavavo i piatti di tutti quanti, e io mi sono spaventata tantissimo -che era il suo intento- e poi è scomparso d'improvviso, come se fosse davvero
possibile; la mia migliore amica si sposa e quando mi ha detto che
ero la sua testimone, ho pensato che forse testimone è il termine
più giusto per definire un'amica, ancora più del termine amica; ho
ballato in corridoio con Oris e Pezzetta tutti i giorni in cui siamo
stati tristi.
«Che
stai facendo lì dietro?», mi chiede Oris, muovendo indietro la sua
chioma, solo per spaventarmi: «Che te l'abbiamo dato a fare questo
telecomando, se non lo usi?»
«Abbiamo?
Come se tu c'entrassi qualcosa... Me l'ha dato Pezzetta»
«Beh:
abbiamo o no, usalo. Sennò dallo a me, così non devo allungare il
braccio per cambiare canzone: sai, la cintura mi tira troppo...»
«Beh,
forse è perché sei alta poco più di Tyrion Lannister»
Quando
ho visto Pezzetta innervosirsi, ho capito che stava per dirci un
paternalistico: «Se non la smettete me lo riprendo 'sto
telecomando». Ecco qual era il suo piano: furba di una bionda. Me ne
sono stata zitta, allora, sperando, come il signor Palomar, che il
silenzio contenesse
qualcosa di più di quello che il linguaggio può dire.
Ma
essendo consapevole che non esiste silenzio al mondo che possa
battere mia sorella, ho spinto i tasti 1 9 9 2 e d'un tratto,
Pezzetta era nel sedile passeggero, Oris non era più bionda e
stavamo nell'Alfa Sud di nostro padre.
«Papà,
andiamo a sentire un po' di musica in macchina», gli avevamo detto
perché eravamo nel maneggio di un suo amico ma non si poteva più
cavalcare.
«Oris
lo sai che se io mi metto ai pedali e tu al volante possiamo
guidare?». Eravamo in discesa, lei mi ha messo le gambe intorno al
collo, io ho tirato giù il freno a mano e poi ho cercato di spingere
l'acceleratore con le mie mani di bambina. Abbiamo iniziato a
muoverci subito, ci hanno fermato in quindici: tutti gli amici di mio
padre si sono lanciati sulla macchina e l'hanno bloccata, con mio
padre che sudava freddo e Pezzetta che diceva: «Ecco cosa c'è: voi
siete sempre state due pazze».
Mentre
scendeva dalla macchina di Pezzetta, Calvino mi ha detto: «Iris, non
avere problemi col tempo. Facci quello che vuoi. Sei
sempre uno dei tu possibili».
P.S.
Il telecomando, però, ce l'ho ancora io.