Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

venerdì 16 febbraio 2018

Il coordinamento nazionale di me sthèssa

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

«Ma il blog?», continua a dirmi mia madre da mesi.
«Eh, il blog...», le rispondo io ogni volta senza finire la frase.
«Eh, il blog!», incalza lei, che pensa che sto bene solo se scrivo su questo blog. E allora io trovo un modo di interrompere la conversazione non solo perché questa mia assenza mi fa soffrire, ma anche perché non c'è dimostrazione più puntuale di come sia andato questo 2017 per me se non questa mia mancanza, questo mio tradimento di me stessa – e il solo ricordarlo mi affatica.
Da quando ho aperto questo blog non è mai successo che io saltassi otto mesi – 8! – di scrittura; se questa volta è successo è perché da luglio a oggi non ho fatto altro che accettare lavori, pentendomi un secondo dopo di averlo fatto e sapendo anche che quel secondo che ci avevo messo a pentirmi era un altro secondo sprecato che si andava a sommare a tutto quello di cui mi sarei pentita da quel momento fino alla fine della mia pena. E mi sono pentita: ah, quanto mi sono pentita.
Ora, però, il punto qual è? Il punto è che sono successe così tante cose in questi otto mesi che non so da dove cominciare, non so quale trattare, non so come spiegare la quantità di follie che si sono affastellate sul mio stomaco, sulle scadenze, sugli spostamenti, sul Natale, su Stalin, sulla corte dei miracoli, sulla povera e insieme terribile Oris, su Core, su Sanremo, su... Insomma, ci siamo capiti.
Quindi comincerò dalla fine, come è sempre bene fare.

Anche se non ho mai esplicitamente parlato di lui, Fulmine è uno dei miei più cari amici, solo che abbiamo un rapporto talmente multiforme e lui è talmente permaloso che ogni volta che ne ho scritto non gli ho dato un nome, sperando che non si riconoscesse lui o almeno che non temesse che qualcuno lo riconoscesse, perché Fulmine, aldilà dei trent'anni, della barba e del fatto che è un omone, è sempre così dolcemente complicato, sempre più emozionato, delicato, che un po' va tutelato (come dice la mia amica Lorelai, non c'è canzone che descriva peggio la femminilità di Quello che le donne non dicono e, infatti, appunto, più che le donne riesce a descrivere molto meglio parecchi uomini).
Nelle sere tempestose, però, a Fulmine non devi portare delle rose, devi ascoltarlo mentre ti parla di Giordano Bruno, di quanto è innamorato e impaziente, del tuo futuro secondo quello che dice la carta che peschi sempre dai suoi tarocchi o, come qualche sera fa, devi ascoltarlo mentre ti dice qualcosa di definitivo su te stessa.
«Iris, ti devo confessare una cosa».
«Cosa? Che non mi vuoi bene? Lo so già...».
«No, cretina, non è questo... E comunque, vedi? È proprio questo il problema con te».
«Quale, scusa?».
«Che tu pensi sempre che non ti voglio bene, ma il fatto è che non ti accorgi che c'è un sentimento molto più grande che tu ispiri. E non solo a me. Tu sei come il Dio dell'Antico Testamento: noi tutti non è che non ti vogliamo bene, è che più di questo temiamo la tua collera».
«E non pensi che anche al Dio dell'Antico Testamento avrebbero potuto volergli più bene? Guarda che le cose sarebbero andate diversamente...».
«...».
«Comunque, qual è la confessione? Questa?».
«No, la confessione è che certe volte, quando non litighiamo da tanto tempo, io immagino che litighiamo e per inventare le tue risposte apro la Bibbia a caso, dici che è sacrilego?».
«Non lo so, a 'sto punto chiedilo alla Bibbia».
«(...) Volesse Dio parlare e aprire le labbra contro di te, per manifestarti i segreti della sapienza, che sono così difficili all'intelletto, allora sapresti che Dio ti condona parte della tua colpa. Capisci? Dice: "Dio ti condona parte della tua colpa"! Sei tu, Iris, sei tu!».
Il fatto di essere diventata in qualche modo la voce fuoricampo della vita di Fulmine, così biblicamente imponente, all'inizio mi ha turbato ma quando poi l'ho riferito a Oris, Draco Malfoy, Gus l'orso (bi)polare, Core e mia madre e tutti l'hanno trovata una descrizione così calzante anche per quanto riguardava la loro visione delle cose, ho capito che era proprio questa la fine che avevo fatto, quello che ero diventata. E la cosa mi ha fatto morire dal ridere.
Sono iniziati così i lavori per il coordinamento nazionale di me stessa, con Fulmine che mi ha scosso dal torpore di questi otto mesi, dandomi finalmente la fine della pena e l'in(d)izio per la strada di rientro nella normalità: un post sul mio blog. Contenta, mamma?
«No, che non sono contenta. Prima devi dirmi cosa diavolo è successo in questi otto mesi».
«Tipo riassunto delle puntate precedenti?».
«Tipo riassunto delle puntate precedenti».

Dal 4 luglio del 2017, giorno in cui è stato pubblicato De frathellis, è successo che:
  • Per lavoro ho scritto 800 pagine e ho avuto a che fare con altre 1100 - al netto dei libri che ho letto e di quello che scrivo, che non ho affatto scritto, naturalmente, e che scriverò (lo sto pure già scrivendo, no?).
  • La mia amica Silvis mi ha detto che dovevo smetterla di farmi quegli insulsi sciampi colorati e passare a quella che un tempo ebbi modo di definire Tinta De Beers. Ho accettato e, per la prima volta dopo anni, sono andata da un parrucchiere senza Oris. Ne sono uscita con delle mèches caramello che mi erano state vendute come non so che. Praticamente bionda. Un disastro.
  • Mentre avevo la testa piena di stagnola mi è arrivato un messaggio che diceva che un mio testo teatrale era stato scelto per Italian Playwright Project e che ero invitata ad andare a New York. «Ma come faccio ad andare a New York con queste mèches?», ho pianto al telefono con Core, che mi ha detto: «Fai che ci vai. E facciamo che vengo pure io per qualche giorno da Washington, solo per te». E così ho fatto: sono andata.
  • Non ho ceduto alla voglia di preparare degli shottini da 100 ml di Estathè per il bagaglio a mano, ma ci ho pensato e credo che questa sia una bella dichiarazione d'amore.
  • Appena sono arrivata ho cercato di farmi un selfie con l'Empire State Building per dire che ero lì e che stava per succedere questa cosa meravigliosa della lettura in inglese del mio testo, ma ho dovuto fare mille scatti perché il palazzo spariva appena lo fotografavo. Ho pensato che la città mi stesse rifiutando e quindi, quando Core è arrivata, l'abbiamo battute a colpi di 20 chilometri al giorno quelle strade, per conoscerle, e ci siamo conosciute. Ci siamo conosciute così tanto che, a un certo punto, mi sono ritrovata a fare colazione con l'ex fidanzata di Draco Malfoy, in un diner che ci ha accolto dopo il freddo accumulato sulla High Line – noi che non eravamo riuscite a vederci a Roma, a Genova o a Milano, ci siamo ritrovate a New York la stessa settimana. L'Empire, allora, non si è più permesso di sparire.
  • Mia madre mi ha regalato una di quelle sue geniali perle che ripeterò per sempre: di fronte all'ennesima telefonata fatta di pomeriggi che erano mattine e mattine che erano notti fonde, estenuata da quella cosa insopportabile di non essere sullo stesso fuso orario («Ma come non hai ancora pranzato, qui la giornata è quasi finita...», «Eh, mamma, ma qui sono le nove di mattina»), ha detto: «Certo che il tempo lì non passa mai...». Grazie mamma. Cosa farei senza di te?
  • Non mi sono iscritta in palestra, mi sono fatta allungare i capelli e non mi sono incazzata quando ho aperto un biscotto della fortuna e ci ho trovato scritto: «Avrai una vita lunga» e basta, tipo a dire: «e poi come è, è».
  • Sono uscita con uno stalinista che ho conosciuto a causa di 300 di quelle 800 pagine che ho scritto e per tutto il tempo mi sono chiesta se mi stava corteggiando o cooptando per farmi entrare nel Partito Comunista. Gliel'ho chiesto e lui si è offeso, mi ha detto che era confuso e che forse non ero il tipo di ragazza con cui doveva uscire, poi è sparito, poi è tornato, poi mi ha detto che mi aveva fatto un regalo per Natale, «Un presente, provocatorio ovviamente», «E che cos'è?», gli ho chiesto io: «uno zootropio di Rizzo che mi fa ciao con la manina?», non si è offeso, ha riso, ma in qualche modo mi ha fatto diventare sempre più aggressiva. Stalin, se mi stai leggendo, ora lo sappiamo cos'è successo: sono il Dio dell'Antico Testamento, non basta un baffetto per avere a che fare con la mia ira e poi cambia il vento ma voi no e io non ce la posso davvero fare. 
  • Non vorrei abusare di Ruggieri e Schiavone, ma in questi mesi Draco Malfoy ha detto, più o meno, sempre e solo: «È difficile spiegare, certe giornate amare, lascia stare...». E io: «Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore tuo Dio, (...) verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste benedizioni, sennò ciccia». E quindi: ciccia.
  • Non ho ceduto alla bruttezza di dicembre e di Natale e non ho mai smesso di allenarmi a discutere con Oris e mia madre perché dobbiamo essere pronte per quando tornerà l'estate e scenderemo di nuovo le dune di Sabaudia, noi e le nostre amiche del cuore, per sederci vicino ai pescatori e dirci tutto quello che le donne dicono, come facciamo sempre.
Ovviamente, sono successe molte altre cose, un po' le ho dimenticate, un po' non mi va di ricordarle, un po' il tempo fa sembrare tutto più piccolo.

«Iris, non è che ti disturbo? Ti sento con la voce assonnata...».
«No, no. Tranquillo. Dimmi pure».
«È fatta: mi sono innamorato, è tutto perfetto, è lei!».
«Ah ok».
«Ah ok?»
«L'importante è che tu sia felice».
«Il Dio dell'Antico Testamento mi ha appena detto che l'importante è che io sia felice?».
«Quando ha sonno, anche il Dio dell'Antico Testamento è docile».
«Lo dovrebbero scrivere sul libretto di istruzioni o in esergo sulla Bibbia. Tu ti ci dovresti fare almeno una maglietta e magari iniziare a uscire con i ragazzi solo quando hai sonno, così aumentano le possibilità che ne trovi uno che non si spaventa a morte...».
«Fulmine, hai appena messo fine al coordinamento nazionale di me stessa con questa frase, ma ricorda: Il Signore dà, il Signore toglie...».
«E che non lo so».

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