Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

martedì 15 aprile 2014

Thèlefonia (che ti) fissa

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

C'è sempre un momento, nelle riunioni delle comitive di oggi: in fila a prendere l'ennesimo Negroni o intorno a un tavolo dopo aver mangiato anche le posate, durante un happening artigianale al pubbetto sotto casa oppure in macchina, fermi al semaforo, ad aspettare il verde; c'è sempre un momento in cui gli occhi di uno si alzano a scrutare gli altri, lo sguardo di un impavido si staglia oltre i pixel del proprio telefono, oltre lo status Facebook che ha appena scritto ma che non ha avuto nemmeno un mi piace, oltre whatsapp e quell'altra applicazione che ti dice quanti sampietrini mancano per arrivare dove devi arrivare. Tutti gli altri guardano il loro smartphone, ridono, si incazzano, rispondono a qualcuno, mentre lui, in poppa, su quella nave che ha attraversato i decenni dal Commodore 64 ai Google Glass, lui guarda oltre, verso il futuro, verso quel modo di vivere che è talmente lontano che sembra dover ancora arrivare. Vede uno spicchio di terra all'orizzonte, vede una ragazza in bici, sente un profumo di fiori e, per non essere l'unico detentore di quelle meraviglie, lo dice: «Oh, per colpa di questi telefonini, non viviamo più nella realtà. Ma ve lo ricordate quando c'avevamo solo il telefono fisso? Quando dovevamo telefonare a casa delle persone e dire Pronto, casa Nintendo? Per dire: sono SuperMario vorrei parlare con la principessa del Regno dei Funghi...»

All'inizio nessuno lo ascolta, pensano stia lasciando un messaggio vocale o parlando con Siri, ma non appena anche gli altri capiscono che si tratta di nostalgia, mollano il telefono e cominciano a parlare di riviste di musica, del vecchio packaging dell'Estathè, dei cartoni animati, di quando arrivava l'amico di qualcuno e ti faceva la richiesta.
«Piaci all'amico mio, volevo sapere se ti ci vuoi fidanzare»
«L'amico tuo? Ma chi è l'amico tuo? E pure a te, ma chi ti conosce...»
Per un attimo, tutti quelli della comitiva, prima di afferrare i Negroni, prima di prendere un Brioschi, prima di uscire dal pubbetto e prima di sentire i clacson di quelli delle macchine dietro che li invitano, insieme a li mejo mortacci loro, a vedere che è scattato il verde: tutti provano un forte senso di nostalgia.
Dura un minuto, giusto un minuto di silenzio, poi è tutto come prima, perché la voglia di ritornare al passato è solo un trucco. Nessuno di noi vorrebbe veramente tornare indietro, nessuno di noi riesce a immaginare una vita in cui non si può stalkerare la gente su Facebook, Twitter, Instagram, Tumblr, Pinterest, Linkedln.
Pure su Linkedln? Pure su Linkedln.
L'altro giorno, un mio amico mi ha detto: «Il colloquio numero 7 è andato molto male» e si riferiva a una ragazza con cui era uscito: credo fortemente che l'avesse trovata su Linkedln.

La donna è mobile, il telefono è mobile, l'Estathè sta dentro a un mobile. Insomma, c'è una certa conformità nella frivolezza della nostra esistenza: io, Oris e Pezzetta abbiamo cercato di combatterla, prendendoci un telefono fisso.
Lui sta lì e ci guarda, in un vestito rosso cordless. Il numero non ce l'ha tanta gente, giusto mia madre, la madre di Pezzetta e i miei nonni eppure lui squilla, altroché se squilla.
La gran parte delle volte sono call center che cercano di farci cambiare compagnia telefonica, compagnia del gas, qualsiasi tipo di compagnia, pure quella degli amici e, altre volte, sono persone che cercano Roberto Goffredo, l'uomo di cui abbiamo ereditato il numero, di cui conosciamo l'indirizzo e alcuni parenti, visto che, prima del suo matrimonio, non hanno fatto altro che chiamarci zie che avevano perso la partecipazione, cugini con la tosse o amici privi della cognizione della sera tardi, della mattina presto e del concetto di insistenza.

È così che arriviamo a domenica mattina, quando, alle otto in punto, il telefono fisso ha iniziato a squillare e io, che sono nella stanza più lontana di tutte dal salotto, mi sono svegliata, sono scattata in piedi e ho iniziato a correre. Ma, tra me e quel telefono, tra me e il mio bicchiere di Estathè mattutino, tra me e il mio immotivato senso di responsabilità per ogni voce che mi attende dall'altra parte della cornetta, c'era uno stendino.
«Ma ve lo ricordate quando usavamo lo stendino? Quando dovevamo appendere i vestiti per farli asciugare?», ci diremo un giorno, quando i telefonini faranno anche da essiccatori di abiti.
Domenica mattina, in questo tempo ancora imperfetto, nella corsa disperata verso la base del cordless, io mi sono buttata sullo stendino. Avendo giocato a calcio, so come cadere per farmi il meno male possibile, quindi mi sono protetta con il braccio sinistro e ho sbattuto quello. Il dolore non ha fermato gli squilli del telefono, quindi, stoica, mi sono rialzata e sono andata a rispondere, con un livido che iniziava a diventare verde, appena in tempo per sentire un lungo: «Tuuu... Tuuu...».

«Tuuu, Iris Versicolor, sei la classica persona che dice sempre Ma vi ricordate quando giocavamo a pallone davanti casa? e poi passi il tuo tempo attaccata al computer. Tuuu hai una rubrica scritta a mano, non hai mai comprato niente su eBay e non sei iscritta alla newsletter di Groupon, quando Oris ti ha regalato il tuo primo smartphone le hai detto Mi hai rovinato la vita! e adesso hai un programma che gestisce le tue mestruazioni. Tuuu non hai un Kindle, non hai un Mac, hai rotto il tuo lettore mp3 e non l'hai ricomprato, ma poi hai fatto un funerale laico per Windows 7 quando sei stata obbligata a interagire con l'8. Tuuu sei una nostalgica contraddittoria. Tuuu te lo meriti quello stendino. Tuuu te lo sei guadagnato quel livido. Tuuu... Tuuu...»

Sul livido, ho messo un brick di Estathè ghiacciato, ma non è servito.
Allora ho preso il mio smartphone e l'ho fissato fino a che non si è svegliata Oris, che non aveva sentito né me, né lo stendino, né il telefono che squillava.
«Mi fa malissimo», le ho detto.
«Te lo devi tenere, Iris. Non puoi mica tornare indietro nel futuro!», mi ha risposto.

Grande Giove, lo so che eri tu al telefono, che volevi offrirmi del plutonio e un flusso canalizzatore. Richiama, ti prego.  

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