Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Quando
ero piccola, mia madre mi faceva lo shampoo e la doccia in due
momenti diversi. Pare che io avessi un'avversione per l'acqua sulla
faccia, quindi per non rischiare di vedermi saltar fuori dalla vasca
e scappare via senza vestiti e tutta bagnata (ero piccola, insolente
e velocissima), mia madre mi lavava i capelli in un momento distinto.
Ogni
volta, mi attirava in bagno con una scusa, poi mi faceva
inginocchiare davanti alla vasca e mi diceva di coprirmi la faccia
con le mani, mentre lei mi emulsionava e sciacquettava la testa.
Sapevo di non poter fuggire, che ero obbligata a fare lo shampoo, ma
questo non mi impediva di urlare al complotto del mondo contro di me.
Il
resto di quelle giornate, mia madre le passava a giustificarsi con i
vicini, a dirgli che ero una bambina melodrammatica, che se urlavo
«Perché mi fai questo?» e «Chiamerò il telefono azzurro per
denunciare queste sevizie!» era solo perché avevo questa fobia
dell'acqua sulla faccia, non perché lei mi usasse davvero violenza.
Immagino
sia stata molto dura per mia madre: io che, per ripicca, dopo la
scena della vasca, mi arrampicavo sulle pareti del bagno come un
gatto quando lei accendeva il phon, poi i vicini che la guardavano
con sospetto e infine ci si metteva pure Oris, dotata di una chioma
leonina folta e lunghissima, che si rifiutava di farsi tagliare i
capelli manco fosse Sansone (la piccola rastafari si faceva pettinare, ma in
cambio di ogni concessione otteneva qualcosa: ha sempre avuto un
grande spirito di commercio).
Il
giorno in cui i capelli di Oris sono stati accesi come una torcia,
durante una processione, da un signore (più fedele all'alcol che a
Gesù Cristo) che ondeggiava un grosso cero dietro i suoi crini
biondi, mia madre deve aver pensato a una maledizione divina.
Da
quel giorno, non ha mai più letto un'etichetta dello shampoo, ha
sempre comprato a caso, afferrando il primo prodotto che trovava
sugli scaffali.
Negli
anni, io e Oris ci siamo lavate con shampoo antiforfora senza avere
la forfora, con shampoo per capelli colorati senza averli tinti e, certe volte, pure solo con il balsamo perché nella confusione del
momento dell'acquisto aveva preso quello al posto dello shampoo.
Maledette
bottigliette.
«Acqua
/ Gastro-esophageal reflux / Ansia generalizzata / Quasimodo's
attitude (a.k.a. gobba) / Iperattività / Estathè / Mania del
controllo / Oris'hair / ...»
«E
questo cosa sarebbe? La mia etichetta? Le percentuali che compongono
la mia persona? Ce l'ho attaccata sulla schiena?»
«Il
nuovo shampoo Iris Versicolor, grazie alla brillantezza ottenuta
mediante i travasi di bile e alla luminosità che i capelli di Oris
generano, rimanendo attaccati a tutti i vostri indumenti, vi
permetterà di avere riflessi naturali e reflussi splendenti. Il
disagio costante e l'atteggiamento cifotico sono componenti
essenziali e selezionate per dare ai vostri capelli una vertigine
che, prima, non avevate mai avuto»
«In
ogni caso, vorrei ricordare che le etichette degli shampoo sono i
bestsellers del cesso, ingiustamente dimenticati...»
«Iris
Versicolor, mélange mélo, disponibile in brick da 29 cL»
Nel
tempo, la maledizione si è evoluta e diversificata: frangette,
lacca, permanenti da dimenticare («No no, non sono io nella foto: è
mia cugina che sta in America, una donna priva di gusto...»), tinte
di tutti i colori (Oris una volta si è comprata una giacca di pelle
beige e poi si è tinta i capelli dello stesso colore e un'altra
volta aveva una tinta rossa talmente carica che potevi seguire la sua
scia chimica in mare mentre nuotava); poi caschi bollenti,
parrucchieri cattivi e «Mi sono lasciata, mi taglio i capelli così
mi vedo diversa» (il peggiore); fino a che non si è assestata su un
punto.
La
maledizione, alla fine dei conti, quando io ho iniziato a non avere
più fobie, mia madre ha cominciato a comprare i prodotti giusti e
Oris ha trovato un equilibrio cromatico, si è assestata su un solo
punto, anzi su uno spazio di contenimento.
Per
un principio di compensazione tra l'acqua sulla mia faccia, Sansone
che ammazza i Filistei e Oris che prende fuoco in una processione:
nessuna bottiglietta inizierà mai, tutte le bottigliette finiranno
soltanto.
Pezzetta,
hai usato tu il mio shampoo? L'ho comprato ieri e sembra già vuoto!
Per caso, oltre ai semi di lino usi pure questo per profumarti quella
tua barbaccia? E poi i semi di lino non sono di Oris? Oddio, ma non
c'è l'acetone! Come faccio a togliermi lo smalto? Ma quanto ci
laviamo in questa casa, consumiamo ettolitri di bagnoschiuma! Il
detersivo per i pavimenti ve lo siete bevuto al posto dell'amaro? Ora
ci metto le tacche sulle bottiglie di Estathè! Ma che succede? Perché mi fate questo? Chiamerò il telefono azzurro
per denunciare queste sevizie!
Sono
quasi certa che, sulla mia etichetta, ci sia scritta la percentuale
di melodramma, la capacità che ho di vedere una trama dietro tutte
le mie sfortune, la mia spiccata empatia per gli accadimenti
peggiori, perché quell'etichetta l'ha scritta mia madre mentre mi
lavava i capelli, mentre io mi coprivo la faccia per non affogare e
urlavo al mondo la mia disperazione. Vatti a fidare dei parenti.
«Iris,
ma la tua bottiglia di Estathè è appena cominciata...»
«Pezzetta,
non te lo ricordi Sergio Endrigo che dice La
festa appena cominciata è già finita?»
«Non
parlava di certo di bottigliette...»
«Quindi?»
«Quindi,
falla finita sennò ti ci faccio lo shampoo con tutto questo Estathè»
Maledette
bottigliette.
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