Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

giovedì 6 febbraio 2014

Vengono dalla parethè

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Se sei giunto a Roma dalla provincia, nella maggioranza dei casi, arrivi a sistemare le valigie nella tua stanzetta di un appartamento condiviso dopo averle preparate in una di quelle case enormi con piano giorno/piano notte, mansarda per gli ospiti, rustico, garage, due/tre bagni, balconi, terrazzino, giardinetto. Una di quelle case che pulirle è una missione impossibile e che tua madre, se lasci il cappotto appeso alla sedia del tavolo della sala, gli dà immediatamente fuoco perché fa disordine. Io, una volta, lasciai in giro un libro che avevo preso in biblioteca e lei lo fece sparire; ancora mi ricordo l'onta di aver dovuto comunicare alla bibliotecaria che lo avevo perso, di averlo dovuto ripagare, mentendo per difendere l'onore di una madre talmente ordinata che era capace di rifare il letto con Oris dentro, se la povera cercava di svegliarsi oltre le nove, la mattina di capodanno.
Niente di tutto questo, però, ti prepara al fatto che, dopo il trasloco, quando i coinquilini ti assegnano il tuo ripiano, nel frigo, tu ti senti improvvisamente solo, derelitto, costretto, pensi a quel mamozio enorme in cui i tuoi tengono provviste per la sopravvivenza a una catastrofe nucleare, pensi che lì dentro deve esserci finito congelato anche il libro che avevi preso in biblioteca, e ti viene la nostalgia, l'ansia per la mancanza di spazio.
«Senti, ma questo ripiano è piano giorno e piano notte? Tutto insieme? E l'Estathè dove lo metto? Guarda che non può stare in orizzontale, non è come mettere un vino in cantina...»

Proprio mentre fai polemica, senti i primi rumori strani, le prime voci, vedi che tutti fanno finta di niente e allora fai finta di niente anche tu.
Toc toc toc... ma vattela a pija n'der... GIORGIOOO... t'ho detto di no...

Nella nostra prima casa da fuorisede, io e Oris avevamo una stanza doppia con le pareti giallorosse, due gialle e due rosse, che la facevano sembrare ancor più piccola della sua realtà già striminzita e i nostri letti erano talmente compressi che li avevamo uniti, ma in ogni caso, Oris cadeva per terra, certe mattine che non prendeva bene le misure, e si spaventava, cominciava a dire: «Auguri, Iris. Auguri!», io pensavo a una commozione cerebrale e invece lei era solo convinta di stare a casa dei nostri genitori la mattina di capodanno.
Non ci abbiamo messo molto ad abituarci allo spazio concesso, io e Oris (purtroppo le millanta scarpe di Oris ci hanno messo di più), ma quello a cui non siamo mai riuscite ad abituarci è il volume con cui parlano le persone. Noi, da che mondo è mondo, abbiamo sempre urlato come aquile: mi ricordo coinquiline che si giravano verso la mia bocca ancora spalancata da uno strillo tipo: «PASSAMI QUELLA PADELLA, ORIS» e mi dicevano con il labiale: «Mi hai spaccato un timpano. Che cazzo ti urli, tua sorella sta qua!»; e tu vaglielo a spiegare che conversi con tua madre a due piani di distanza, che a correre sempre dalla tua camera alla cucina le tue corde vocali si sono rinforzate, che hai un'ugola palestratissima, che non possono pretendere di assegnarle un range di forza predeterminato solo perché loro hanno dei timpani da signorine perbene.
«E poi, questi rumori da dove vengono? Non li sentite anche voi bambini che piangono, coppie che litigano, ragazzini che trascinano le sedie. Toc toc, sbam sbam, drin drin. O è l'Estathè che cerca di parlarmi dal suo ripiano di tristezza o siamo in una casa stregata oppure siamo noi The others e in quel caso io propongo che Oris faccia la parte di Nicole Kidman...»
«I rumori vengono dalla parete», sussurra la tua coinquilina che, per insegnarti a modulare il volume della voce, ti parla sempre come se non si dovesse far sentire dagli altri abitanti della casa, i figli malaticci di Nicole Kidman.

Toc toc toc... ma vacci tu a pijattela... NON SI CHIAMA GIORGIO... mi devi dire di sì...

Gli horror non mi sono mai piaciuti, mi faceva paura perfino Streghe, il telefilm in cui era finita Brenda Walsh dopo Beverly Hills, quindi il giorno in cui una sconosciuta mi ha suonato alla porta dopo che dalla parete era venuto un Adesso vado di là, io ho pensato a uno spirito ignoto e misterioso e ho cercato di evocare le sorelle Halliwell, pure Geri delle Spice Girls se ce n'era bisogno, ma invece di brandire il Libro delle ombre, ho preso dal frigo la mia bottiglia di Estathè piena, per difendermi.

«Salve», mi ha detto questa signora.
«Salve», ho detto io.
«Lei è Oris?»
«No, sono Iris. Come fa a conoscere il nome di mia sorella?», ho risposto preoccupata.
«Sono la vicina di casa. Cioè, in realtà, abito nel palazzo di fianco, ma la vostra camera da letto confina con la mia. Sento tutto quello dite, ogni tanto vi busso ma voi non capite. Ho pensato che venirvi a parlare poteva essere una soluzione...»

Ho chiesto chi era Giorgio, ma non lo sapeva. Ho chiesto se erano suoi i bambini che piangevano, ma ha detto di no. Quindi, in realtà, lei era responsabile solo dei toc toc, il resto dei rumori appartenevano a  quel condominio onomatopeico: le parole che si infiltravano dalle pareti, dal soffitto, perfino dal pavimento, potevano essere di chiunque.
L'acustica cittadina mi ha molto turbato perché, calcolando il volume delle nostre voci rispetto a quelle dei vicini e moltiplicandolo per le strade che si incrociavano in quel quartiere, chissà quanta gente doveva essere a conoscenza dei nostri affari.

«Mamma, questa storia non è sconvolgente?»
«Sei sicura che queste voci le sentono tutti, che non le senti solo tu?»
«Certo che non le sento solo io!»
«Sicura che non ti sei immaginata le conversazioni in cui gli altri ti dicono che le sentono anche loro?»
«Mamma, non sono schizofrenica»
«Mmm»

Se potesse, mia madre mi entrerebbe nella testa con l'aspirapolvere e piegherebbe tutti i pensieri, stirandoli con il ferro e sistemandoli in ordine di colore.

«Almeno, in un cervello ordinato, ben diviso in lobi, la bottiglia di Estathè sta in piedi»
«Mamma, se trovi qualche libro in giro, non farlo sparire, grazie»
«ORIS DORME, VERO?», urlerebbe lei d'improvviso, per superare le pareti del cranio.
«Mamma, almeno per un giorno: possiamo fare che non è capodanno?»

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