Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Tecnicamente
le vacanze di Natale finiscono il sei gennaio, con lo smontaggio di
albero e presepe e con l'apertura delle tre calze Iris, Oris e
Pezzetta appese tristemente sul termosifone. Un tempo, queste vacanze
erano vacanze stupende, a tre mesi dall'inizio della scuola, con i
cenoni, il camino, la tombola, il latte caldo, i pacchi regalo enormi
come solo i giocattoli sanno essere e le letterine a Babbo Natale.
Io
non mi ricordo di aver mai creduto all'esistenza di Babbo Natale, lo
sapevo che quelle lettere finivano nelle mani dei miei genitori, ma
fingevo, d'accordo con la mia immaginazione, per fargli pagare di
avermi preso in giro con la storia della Madonnina della 'Mella:
non meritavano di avere salva la pelle con regalini a piacere, no;
dovevano rispettare la pantomima della wish
list
al ciccione rosso che non si sporca mai di fuliggine, nemmeno nei
peggiori camini di Caracas.
Mi
ricordo l'anno che ho chiesto il Camper
di Tanya,
mi ricordo la faccia di Oris: lei aveva chiesto il Fashion
Plaza
di Barbie, un centro commerciale di due piani con tanto di scala
mobile a manovella. Mi ha guardato come se avessi comprato la Nutella
al Todis, come se mi avesse chiesto CocaCola e le avessi dato
Guaranito.
«Sappi
che non si può entrare al centro commerciale con le Birkenstock, sto
per mettere il cartello fuori»
«Guarda
che Tanya non porta le Birkenstock!»
«Tanya
è una freakkettona che vive in un camper. Se da grande vai in
campeggio, io ti disconosco come sorella».
Erano
davvero dei bei tempi, quelli: pieni di tante piccole e meravigliose
ipocrisie. Tutti a far finta di non vedere le sopracciglia nere
dell'istruttore della piscina che si è vestito da Babbo Natale,
tutti a festeggiare la bisnonna che ha fatto tombola perché stava
senza occhiali e ha confuso tutti i numeri, tutti a spacchettare la
quindicesima sciarpa e a dire: «Mi serviva proprio!».
Quando
cresci, le vacanze di Natale diventano un incubo di recriminazioni
(Solo
tu lavori fino al ventiquattro!),
lamenti (Compri
sempre il panettone e il panettone fa schifo), accuse
(Vuoi stare in pigiama fino a quando non torni a Roma?),
ordini (Lava
i piatti che non hai fatto niente), critiche
(Ma
è già finito tutto l'Estathè che ti ho comprato?)...
Ma
quest'anno, a casa mia, il solito inferno non è bastato. Quest'anno,
a casa mia, le caldarroste hanno ceduto il passo a un'altra
attrazione.
«Iris»
«Eh?»
«Te
ne rendi conto?»
«Di
cosa?»
«Tutto
il nostro Natale sta girando intorno al pisello di nonno».
Mi
brucia. Non mi brucia. Ora mi brucia. No, non mi brucia. Peppì, te
brucia? Eccolo, ora mi brucia. Mo, pizzica. Adesso è un friccico.
Che dolore. Fa un po' meno male. Adesso malissimo!
Lo
so, povero nonno: tre operazioni, quattro cateteri, nove cistiti, la
mia non è una critica a lui. Ma dopo che glielo hai impacchettato
con il fiocco, dopo che lo hai foderato con il panettone per farlo
stare comodo, dopo che gli hai fatto le lavande con l'Estathè, che
lo hai sentito appellare amichevolmente Il mio piccarotto per tutto il tempo, dopo che gli
hai dato le bustine, le pasticche, la Nutella del Todis e un paio di
Birkenstok, non è che puoi fare molto altro.
«Peppì,
sguilla!»
«Pronto,
chi è?»
«Siamo
degli zii qualsiasi da una parte qualunque del mondo: auguri! Come
va?»
«Eh,
mi brucia...»
Tecnicamente
le vacanze di Natale smettono di essere vacanze quando finisci la
scuola media, non scrivi più le letterine a Babbo Natale, ti annoi a
giocare a tombola, decidi che sei abbastanza grande per farti piacere le verdure e i parenti iniziano a chiederti: «Ma te lo sei fatto il
fidanzatino?» e tu li guardi attonita, per quel doppio senso che
loro nemmeno intravedono, ma che ti mette in imbarazzo come quando
tua nonna dice: «Tua cugina fa l'amore da tre anni, ma non ti
sbrighi?».
Per
gli anni successivi sarà sempre lo stesso, ma sempre diverso.
Tua
cugina si sarà sposata, ma tu non ti sarai ancora fatta
nessun
fidanzatino.
La
tua bisnonna chiamerà Bingo la Tombola, lasciando intravedere strane
manie personali, ma comunque quel gioco non smetterà di essere
noioso.
Le
letterine non saranno mai più contemplate, ma solo perché a Babbo
Natale la figlia di tua cugina (che a forza di fare l'amore ha pure
procreato) manderà un poke.
Le
verdure ti piaceranno sempre, ma non quella cosa di zucca che ha
preso a fare tua nonna, una specie di frisbee freddo che lei chiama
frittata e che diventa il primo candidato ad alleviare il dolore del
nonno, quando se ne presenta la necessità.
Perché
tra tutti i Natale a venire, sempre gli stessi, ma sempre diversi,
arriverà quello sponsored
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il Piccarotto di tuo nonno.
E
allora quest'anno, il mio unico augurio vero è stato a lui.
L'ho
fatto brindando con due brick di Estathè, che ho bevuto in
contemporanea per tener botta al dadaismo di queste feste.
Quando
Pezzetta mi ha detto di non smontare l'albero il sei gennaio, ma di
aspettare l'undici, come si fa da lui, in onore di San Leucio, mi è
sembrata una giusta variazione sul tema.
L'undici gennaio io, Oris e Pezzetta faremo salire San Leucio sul camper di Tanya, con una bottiglia di Estathè per il viaggio e l'indirizzo di nonno Peppino.
L'undici gennaio io, Oris e Pezzetta faremo salire San Leucio sul camper di Tanya, con una bottiglia di Estathè per il viaggio e l'indirizzo di nonno Peppino.
Tolto
l'albero, tolto il dolore: me lo sento.
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