Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

mercoledì 8 gennaio 2014

Come sono andathè le vacanze?

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Tecnicamente le vacanze di Natale finiscono il sei gennaio, con lo smontaggio di albero e presepe e con l'apertura delle tre calze Iris, Oris e Pezzetta appese tristemente sul termosifone. Un tempo, queste vacanze erano vacanze stupende, a tre mesi dall'inizio della scuola, con i cenoni, il camino, la tombola, il latte caldo, i pacchi regalo enormi come solo i giocattoli sanno essere e le letterine a Babbo Natale.
Io non mi ricordo di aver mai creduto all'esistenza di Babbo Natale, lo sapevo che quelle lettere finivano nelle mani dei miei genitori, ma fingevo, d'accordo con la mia immaginazione, per fargli pagare di avermi preso in giro con la storia della Madonnina della 'Mella: non meritavano di avere salva la pelle con regalini a piacere, no; dovevano rispettare la pantomima della wish list al ciccione rosso che non si sporca mai di fuliggine, nemmeno nei peggiori camini di Caracas.
Mi ricordo l'anno che ho chiesto il Camper di Tanya, mi ricordo la faccia di Oris: lei aveva chiesto il Fashion Plaza di Barbie, un centro commerciale di due piani con tanto di scala mobile a manovella. Mi ha guardato come se avessi comprato la Nutella al Todis, come se mi avesse chiesto CocaCola e le avessi dato Guaranito.
«Sappi che non si può entrare al centro commerciale con le Birkenstock, sto per mettere il cartello fuori»
«Guarda che Tanya non porta le Birkenstock!»
«Tanya è una freakkettona che vive in un camper. Se da grande vai in campeggio, io ti disconosco come sorella».

Erano davvero dei bei tempi, quelli: pieni di tante piccole e meravigliose ipocrisie. Tutti a far finta di non vedere le sopracciglia nere dell'istruttore della piscina che si è vestito da Babbo Natale, tutti a festeggiare la bisnonna che ha fatto tombola perché stava senza occhiali e ha confuso tutti i numeri, tutti a spacchettare la quindicesima sciarpa e a dire: «Mi serviva proprio!».
Quando cresci, le vacanze di Natale diventano un incubo di recriminazioni (Solo tu lavori fino al ventiquattro!), lamenti (Compri sempre il panettone e il panettone fa schifo), accuse (Vuoi stare in pigiama fino a quando non torni a Roma?), ordini (Lava i piatti che non hai fatto niente), critiche (Ma è già finito tutto l'Estathè che ti ho comprato?)...
Ma quest'anno, a casa mia, il solito inferno non è bastato. Quest'anno, a casa mia, le caldarroste hanno ceduto il passo a un'altra attrazione.
«Iris»
«Eh?»
«Te ne rendi conto?»
«Di cosa?»
«Tutto il nostro Natale sta girando intorno al pisello di nonno».

Mi brucia. Non mi brucia. Ora mi brucia. No, non mi brucia. Peppì, te brucia? Eccolo, ora mi brucia. Mo, pizzica. Adesso è un friccico. Che dolore. Fa un po' meno male. Adesso malissimo!

Lo so, povero nonno: tre operazioni, quattro cateteri, nove cistiti, la mia non è una critica a lui. Ma dopo che glielo hai impacchettato con il fiocco, dopo che lo hai foderato con il panettone per farlo stare comodo, dopo che gli hai fatto le lavande con l'Estathè, che lo hai sentito appellare amichevolmente Il mio piccarotto per tutto il tempo, dopo che gli hai dato le bustine, le pasticche, la Nutella del Todis e un paio di Birkenstok, non è che puoi fare molto altro.
«Peppì, sguilla!»

«Pronto, chi è?»
«Siamo degli zii qualsiasi da una parte qualunque del mondo: auguri! Come va?»
«Eh, mi brucia...»

Tecnicamente le vacanze di Natale smettono di essere vacanze quando finisci la scuola media, non scrivi più le letterine a Babbo Natale, ti annoi a giocare a tombola, decidi che sei abbastanza grande per farti piacere le verdure e i parenti iniziano a chiederti: «Ma te lo sei fatto il fidanzatino?» e tu li guardi attonita, per quel doppio senso che loro nemmeno intravedono, ma che ti mette in imbarazzo come quando tua nonna dice: «Tua cugina fa l'amore da tre anni, ma non ti sbrighi?».
Per gli anni successivi sarà sempre lo stesso, ma sempre diverso.
Tua cugina si sarà sposata, ma tu non ti sarai ancora fatta nessun fidanzatino.
La tua bisnonna chiamerà Bingo la Tombola, lasciando intravedere strane manie personali, ma comunque quel gioco non smetterà di essere noioso.
Le letterine non saranno mai più contemplate, ma solo perché a Babbo Natale la figlia di tua cugina (che a forza di fare l'amore ha pure procreato) manderà un poke.
Le verdure ti piaceranno sempre, ma non quella cosa di zucca che ha preso a fare tua nonna, una specie di frisbee freddo che lei chiama frittata e che diventa il primo candidato ad alleviare il dolore del nonno, quando se ne presenta la necessità.
Perché tra tutti i Natale a venire, sempre gli stessi, ma sempre diversi, arriverà quello sponsored by il Piccarotto di tuo nonno.

E allora quest'anno, il mio unico augurio vero è stato a lui.
L'ho fatto brindando con due brick di Estathè, che ho bevuto in contemporanea per tener botta al dadaismo di queste feste.
Quando Pezzetta mi ha detto di non smontare l'albero il sei gennaio, ma di aspettare l'undici, come si fa da lui, in onore di San Leucio, mi è sembrata una giusta variazione sul tema. 
L'undici gennaio io, Oris e Pezzetta faremo salire San Leucio sul camper di Tanya, con una bottiglia di Estathè per il viaggio e l'indirizzo di nonno Peppino.

Tolto l'albero, tolto il dolore: me lo sento.

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