Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Non
parlo quasi mai di uomini con cui esco, lo so. Uno dei motivi è che
quegli uomini possono facilmente accedere a questo blog (la devo
smettere di dare il mio vero nome alla gente), ma l'altro
incontrovertibile fatto è che io non esco con tanti uomini. Come ho
detto ieri a Pezzetta, dopo che avevo girato quattro supermercati
perché nessuno riusciva a darmi quello che cercavo ed ero tornata a
casa accaldata e inferocita (ma vincente): «Esiste un solo compagno
per cui faccio sacrifici di questo genere: l'Estathè».
Stavolta,
però, non me la sento di sottrarre a queste mie chimiche memorie
online la magnificenza di certi sbattimenti emotivi, quegli incidenti
sentimentali che ci procuriamo con gli autoscontri o i crash test:
l'azienda che ci tutela dai danni, assicurandoci una liquidazione il
più veloce e indolore possibile in caso di incontri sinistri, ci
obbliga a compilare un CID con noi stessi davvero poco amichevole.
Ho
conosciuto un ragazzo e ci siamo stati molto simpatici, lui diceva di
avermi già conosciuto e io non me lo ricordavo, ma, in ogni caso, ci
siamo detti di prenderci un caffè, una volta. Molto velocemente quel
caffè è diventato una cena, ma io non avevo capito che la cosa
sottendesse un interesse nei miei confronti -l'ho già detto che non
esco con molti uomini, vero? Quindi, il giorno in cui è venuto a
prendermi, solo quando l'ho trovato davanti al portone, fuori dalla
macchina, e mi ha accompagnato allo sportello per aprirmelo, ho
capito che forse era un appuntamento.
Il
fantasma degli amori passati mi è piombato addosso non appena
sono salita in macchina.
«E
allora? Che cosa avevamo deciso riguardo agli appuntamenti?»
«Scusami,
hai ragione, ma 'sto tipo mi ha ingannata, non avevo capito che fosse
un appuntamento sennò non ci sarei venuta...»
Lo
spirito delle sfighe passate, oltre che una voce fuoricampo, è un
fermo immagine: è la faccia disperata di Dawson Leery sul molo
davanti casa sua, dopo il matrimonio dei suoi genitori, quando dice a
Joey Potter di andare da Pacey se lo ama e poi scoppia a piangere
quando quella spilungona se ne va sul serio.
«Iris,
sto per tirare fuori la lista»
«Nooo! Dawson, ti prego! La lista: no...»
«Chewbecca,
Paganini, Babbo Natale, i film di Charlie Kaufman... Non va bene,
Iris. Così non va bene. Cosa pensiamo noi dell'amore?»
Si
sa che Dawson è esagerato; dall'uscire con un tipo a iniziare a
parlare d'amore ci passano almeno:
- un paio di discussioni sulla figura di Chandler in Friends, tu che gli spieghi che Matthew Perry è il fratello di Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills, lui che si esalta e poi non trovi il coraggio per dirgli che non è vero;
- il gastroprotettore che ti dice: «Guarda che io, l'Estathè e il Gaviscon non c'entriamo niente con tutto questo subbuglio nello stomaco»;
- il primo bacio davanti a un bassorilievo della quarta stazione della Via Crucis.
Il
fantasma
dell'amore presente
è uscito fuori dalla cartella Spam della mia pagina di posta
elettronica, mentre Dawson cantava anouonouei.
«Non
sa chi sia Giuni Russo, ama gli horror, segue il calcio -pure le
partite di precampionato, odia Pif e Zoro, ha buttato un pacchetto di
Tic Tac vuoto dal finestrino dell'auto in corsa, non ha mai visto
nessuna delle serie tv che ami, ha un Lato Oscuro che al confronto
Darth Vader è solo un filino arrogante, vuole comprarsi una
pelliccia. E poi diciamolo: tu lo vedi come una zanzara che sta per
pungerti e lui ti vede come una paletta pigliamosche che si muove
lentissima verso di lui; avete tempi diversi, desideri diversi,
opinioni diverse».
Di
solito, all'inizio di una storia, il nostro cervello non manda queste
informazioni nella Posta in Arrivo, le lascia di lato, scostate dalla
realtà contingente, ma comunque pronte per essere tirate fuori in
caso di necessità. Il mio cervello, invece, non funziona così: io
osservo e registro tutto, io sono un caterpillar del sabotaggio.
«Dawson,
ora te ne puoi andare»
«Guarda
che qua non è come nel racconto natalizio di Dickens, questo è un
lavoro di squadra. Io non vado da nessuna parte...»
Quando
è arrivato il fantasma
degli amori futuri sembrava
Chandler con la pelliccia di Jon Snow, ma non proprio Chandler di
Friends,
era Raymond Chandler ma non scriveva polizieschi, allora forse era un
altro Raymond, magari Raymond Carver o forse non era niente di tutto
questo: era solo una figura confusa che, col suo arrivo, ha fatto
scappare quel pusillanime di Dawson e tutto il suo lavoro di squadra.
«Dove
si trova il vecchio e arido Ebenezer Scrooge?»
«Non
qui. Qui ci siamo solo io e il mio umile impiegato Estathè, ma lo
pago molto bene...»
«E
allora perché mi hanno mandato in questo posto? E soprattutto perché
indosso una pelliccia?»
«Credo
sia per farmi smettere di dragare Roma alla ricerca di un pacchetto
di Tic Tac impunemente buttato fuori da un finestrino»
«Quindi mi
hanno fatto fare tutto questo viaggio per una stronzata?»
Gli
omini del crash test sono manichini che riproducono gli esseri umani,
sono identici, ma sono solo strumenti che servono a capire come
funzionano gli incidenti: danni, velocità, forze in gioco. È
così che iniziano le storie d'amore: cerchiamo di capire quanto tempo una
zanzara ci metterà a pungerci o quando la paletta assassina che si muove lentissima verso di noi riuscirà a schiacciarci; cerchiamo di capire se siamo
Pacey, Joey, Chandler, Philip Marlowe, Giuni Russo, Jon Snow, Darth
Vader o quel pesantone di Dawson.
«E
quindi?»
«Niente,
Raymond, hai fatto un viaggio a vuoto. Mi avevano già convinto le
motivazioni del giovane Spielberg e la cartella Spam...»
«Ma
scusami, l'opera non era convincerti a dare una possibilità al
Pelliccia? Di
cosa parliamo quando parliamo d'amore?»
Credo
sia stato a quel punto che si è sentita una botta fortissima,
forse un impatto, dentro al frigo, tra due di quei missili di Estathè
da un litro e settantacinque. E poi silenzio.
A
conti fatti, firmare garbatamente un CID è la cosa migliore che ci
può succedere.
«E
hai ottenuto quello che
volevi
da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E
cos'è che volevi?
Sentirmi
chiamare amato, sentirmi
amato
sulla terra.»
Raymond
Carver
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