Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

giovedì 3 settembre 2015

A Crash Thèst Car(ol)

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Non parlo quasi mai di uomini con cui esco, lo so. Uno dei motivi è che quegli uomini possono facilmente accedere a questo blog (la devo smettere di dare il mio vero nome alla gente), ma l'altro incontrovertibile fatto è che io non esco con tanti uomini. Come ho detto ieri a Pezzetta, dopo che avevo girato quattro supermercati perché nessuno riusciva a darmi quello che cercavo ed ero tornata a casa accaldata e inferocita (ma vincente): «Esiste un solo compagno per cui faccio sacrifici di questo genere: l'Estathè».
Stavolta, però, non me la sento di sottrarre a queste mie chimiche memorie online la magnificenza di certi sbattimenti emotivi, quegli incidenti sentimentali che ci procuriamo con gli autoscontri o i crash test: l'azienda che ci tutela dai danni, assicurandoci una liquidazione il più veloce e indolore possibile in caso di incontri sinistri, ci obbliga a compilare un CID con noi stessi davvero poco amichevole.
Ho conosciuto un ragazzo e ci siamo stati molto simpatici, lui diceva di avermi già conosciuto e io non me lo ricordavo, ma, in ogni caso, ci siamo detti di prenderci un caffè, una volta. Molto velocemente quel caffè è diventato una cena, ma io non avevo capito che la cosa sottendesse un interesse nei miei confronti -l'ho già detto che non esco con molti uomini, vero? Quindi, il giorno in cui è venuto a prendermi, solo quando l'ho trovato davanti al portone, fuori dalla macchina, e mi ha accompagnato allo sportello per aprirmelo, ho capito che forse era un appuntamento.

Il fantasma degli amori passati mi è piombato addosso non appena sono salita in macchina.
«E allora? Che cosa avevamo deciso riguardo agli appuntamenti?»
«Scusami, hai ragione, ma 'sto tipo mi ha ingannata, non avevo capito che fosse un appuntamento sennò non ci sarei venuta...»
Lo spirito delle sfighe passate, oltre che una voce fuoricampo, è un fermo immagine: è la faccia disperata di Dawson Leery sul molo davanti casa sua, dopo il matrimonio dei suoi genitori, quando dice a Joey Potter di andare da Pacey se lo ama e poi scoppia a piangere quando quella spilungona se ne va sul serio.
«Iris, sto per tirare fuori la lista»
«Nooo! Dawson, ti prego! La lista: no...»
«Chewbecca, Paganini, Babbo Natale, i film di Charlie Kaufman... Non va bene, Iris. Così non va bene. Cosa pensiamo noi dell'amore
Si sa che Dawson è esagerato; dall'uscire con un tipo a iniziare a parlare d'amore ci passano almeno:
  • un paio di discussioni sulla figura di Chandler in Friends, tu che gli spieghi che Matthew Perry è il fratello di Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills, lui che si esalta e poi non trovi il coraggio per dirgli che non è vero;
  • il gastroprotettore che ti dice: «Guarda che io, l'Estathè e il Gaviscon non c'entriamo niente con tutto questo subbuglio nello stomaco»;
  • il primo bacio davanti a un bassorilievo della quarta stazione della Via Crucis.

Il fantasma dell'amore presente è uscito fuori dalla cartella Spam della mia pagina di posta elettronica, mentre Dawson cantava anouonouei.
«Non sa chi sia Giuni Russo, ama gli horror, segue il calcio -pure le partite di precampionato, odia Pif e Zoro, ha buttato un pacchetto di Tic Tac vuoto dal finestrino dell'auto in corsa, non ha mai visto nessuna delle serie tv che ami, ha un Lato Oscuro che al confronto Darth Vader è solo un filino arrogante, vuole comprarsi una pelliccia. E poi diciamolo: tu lo vedi come una zanzara che sta per pungerti e lui ti vede come una paletta pigliamosche che si muove lentissima verso di lui; avete tempi diversi, desideri diversi, opinioni diverse».
Di solito, all'inizio di una storia, il nostro cervello non manda queste informazioni nella Posta in Arrivo, le lascia di lato, scostate dalla realtà contingente, ma comunque pronte per essere tirate fuori in caso di necessità. Il mio cervello, invece, non funziona così: io osservo e registro tutto, io sono un caterpillar del sabotaggio.
«Dawson, ora te ne puoi andare»
«Guarda che qua non è come nel racconto natalizio di Dickens, questo è un lavoro di squadra. Io non vado da nessuna parte...»

Quando è arrivato il fantasma degli amori futuri sembrava Chandler con la pelliccia di Jon Snow, ma non proprio Chandler di Friends, era Raymond Chandler ma non scriveva polizieschi, allora forse era un altro Raymond, magari Raymond Carver o forse non era niente di tutto questo: era solo una figura confusa che, col suo arrivo, ha fatto scappare quel pusillanime di Dawson e tutto il suo lavoro di squadra.
«Dove si trova il vecchio e arido Ebenezer Scrooge?»
«Non qui. Qui ci siamo solo io e il mio umile impiegato Estathè, ma lo pago molto bene...»
«E allora perché mi hanno mandato in questo posto? E soprattutto perché indosso una pelliccia?»
«Credo sia per farmi smettere di dragare Roma alla ricerca di un pacchetto di Tic Tac impunemente buttato fuori da un finestrino»
«Quindi mi hanno fatto fare tutto questo viaggio per una stronzata?»

Gli omini del crash test sono manichini che riproducono gli esseri umani, sono identici, ma sono solo strumenti che servono a capire come funzionano gli incidenti: danni, velocità, forze in gioco. È così che iniziano le storie d'amore: cerchiamo di capire quanto tempo una zanzara ci metterà a pungerci o quando la paletta assassina che si muove lentissima verso di noi riuscirà a schiacciarci; cerchiamo di capire se siamo Pacey, Joey, Chandler, Philip Marlowe, Giuni Russo, Jon Snow, Darth Vader o quel pesantone di Dawson.
«E quindi?»
«Niente, Raymond, hai fatto un viaggio a vuoto. Mi avevano già convinto le motivazioni del giovane Spielberg e la cartella Spam...»
«Ma scusami, l'opera non era convincerti a dare una possibilità al Pelliccia? Di cosa parliamo quando parliamo d'amore

Credo sia stato a quel punto che si è sentita una botta fortissima, forse un impatto, dentro al frigo, tra due di quei missili di Estathè da un litro e settantacinque. E poi silenzio.
A conti fatti, firmare garbatamente un CID è la cosa migliore che ci può succedere.



«E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Sentirmi chiamare amato, sentirmi
amato sulla terra.»
Raymond Carver

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