Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

venerdì 9 gennaio 2015

Controcorrenthè

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Io, Oris e Pezzetta detestiamo il Capodanno: quindi, di solito, organizziamo un contro-veglione che è una semplice cena. Cuciniamo tantissimo e, poi, a tutti quelli che ci chiamano il pomeriggio del 31 per chiederci che programmi abbiamo, rispondiamo: «Facciamo una cena a casa. Vieni, se vuoi...». Facendo così, l'anno scorso abbiamo raccattato chiunque e poi siamo finiti a bere amari in un baraccio sotto casa. Praticamente: un trionfo.
Quest'anno, però, abbiamo deciso che volevamo fare una cosa ancora più alternativa, un'alternativa all'alternativa, e ci siamo molto interrogati su cosa potesse essere.
A introdurre la pesca al salmone tra le montagne dello Yemen ci aveva già pensato Torday. A far sognare pecore elettriche agli androidi ci aveva già pensato Philip Dick. Alla possibilità di infilarsi in un cunicolo dietro a un mobile di un'azienda situata al settimo piano e mezzo di un grattacielo di New York e essere John Malkovich ci avevano già pensato Spike Jonze e Charlie Kaufman (che è anche stato mia amata voce fuoricampo).
Potevamo far cambiare colore di capelli a Oris, visto che il pensiero le era stato già instillato dalla botta di allergia al biondo platino avuta la notte prima del matrimonio della sua migliore amica (grazie al cielo ha smesso di essere paonazza prima della cerimonia -anche se una testimone di nozze con la pelle fucsia sarebbe stato un esperimento interessante), ma la sua parrucchiera ha detto di no. E anche Oris non era troppo convinta.

Quindi, visto che era la settimana più fredda dell'anno, abbiamo deciso di andare in Valpolicella, a prendere il fresco vero, quello che ti penetra nelle ossa e rimane con te fino a inizio giugno. Ci ha ospitati Sandokan, a Pescantina, un paese vicino a Negrar, dove è cresciuto suo padre (Emilio Salgari), e quando siamo arrivati, bardati come se Verona fosse al Polo Nord, lo abbiamo trovato in camicetta e turbante che ci guardava come si guardano dei pazzi.
«Spero tu mi abbia comprato l'Estathè», ho esordito, invece di dire Ciao.
«Valpo, Amarone, Soave, Recioto e Estathè: tutte le bottiglie sono pronte», mi ha risposto lui, con quell'accento delicatissimo da voce fuoricampo del nordest, sguainando la scimitarra per fare un po' di scena.

Pezzetta, all'ultimo momento, ci ha abbandonati e forse, proprio per questo, il Capodanno è stato ancora più assurdo di quanto potesse essere, ancora più alternativo: Oris, tutte le mattine, ha pianto l'assenza della colazione, preparata dalle sue mani sapienti, sulla spalla alcolica della povera Irisetta -che allungava il caffè con la grappa di Amarone Barrique per sopportarla (eravamo due Iris e un'Irisetta, Sandokan, una SS partenopea, un Ukulele emigrato a Berlino e Yanez de Gomera, corsaro veronese fratello di Sandokan, che ha avuto l'ardire di finirsi la mia bottiglia di Estathè e per questo sarà maledetto -lui e tutta la sua stirpe- a bere thè freddo liofilizzato per sempre, nei secoli dei secoli).
Principalmente, per tutto il tempo, abbiamo avuto freddo e fame: quindi, principalmente, per tutto il tempo, abbiamo bivaccato nella cucina di Sandokan, pasteggiando, impastellando e friggendo pure le bottiglie di Estathè.
«Scarpa larga e goto pien, ciapa la vita come la vien...»
«Sandokan, tutti quegli anni in Malesia non hanno scalfito per niente la tua veronesità...»
«Sì, ma mi mancano le mie avventure in mare. L'Adige non mi dà le stesse soddisfazioni...»

È stato a quel punto che ci è venuta l'idea geniale: per rendere il nostro Capodanno un romanzo d'avventura popolare, con un pathos puntato verso il rischio di assideramento, ce ne siamo andati alle terme. Per convincermi del tutto, siccome la staticità mi annoia e non sono capace di rilassarmi, mi hanno detto che, nel percorso esterno dei bagni termali -sì, ho proprio detto percorso esterno nella settimana più fredda dell'anno- c'era un fiume da risalire controcorrente.
Fin dal principio abbiamo rasentato la perfezione assoluta: grotte kitsch, acqua calda, cocktail direttamente in acqua, corse al gelo su finta roccia umida per passare da una piscina esterna all'altra e Oris con la perenne paura di essere sul punto di morire («Ma anche voi avete i polpastrelli raggrinziti? Anche voi sentite l'acqua calda? Anche voi avete cinque dita per arto? Anche voi vedete tutta questa gente intorno a noi? Anche voi vi sentite bagnati da quest'acqua? Non è che mi sta succedendo qualcosa?»).
E poi l'apoteosi: il fiume.
Ci sentivamo pronti alla prova fisico-terapeutica di risalire la corrente.
Senonché.
Dal percorso arrivavano urla di giubilo e la grande velocità con la quale la gente lo affrontava aveva qualcosa di strano. Beh, nessuno, giuro, nessuno lo stava percorrendo controcorrente, si lasciavano tutti trasportare dal fluire degli eventi, con grande e immensa gioia.
«Ma anche voi sentite una corrente fortissima?», ha chiesto Oris quando ci siamo buttati a fare quello che tutti gli altri stavano facendo.
«Oris, a occhio e croce: non morirai, oggi...»

Abbiamo fatto un giro, due giri, tre giri: non ce la facevamo a fermarci, non ce la facevamo a essere gli unici pesantoni che abbracciano la fatica della risalita alle nove di sera, in Valpolicella, con il corpo diviso tra la piscina di quaranta gradi e l'aria esterna di meno due. Non ce la facevamo a essere controcorrente, contro il veglione, contro l'oroscopo di Branko, contro i brindisi, contro il freddo, contro gli inglesi colonizzatori, contro chi visualizza e non risponde, contro le ex-fidanzate di Sandokan e contro il thè alla pesca. Non ce la facevamo a essere contro il Müller Thurgau.
Quindi, molto semplicemente, abbiamo lasciato che la corrente ci portasse dove voleva, anzi, per andare ancora più veloci ci siamo messi a nuotare.

Oris, che pensa che raccogliere i panni dallo stendino sia la misura massima dello sforzo quotidiano possibile, si è appesa ai miei fianchi e io l'ho lasciata fare.
«Ammazza, come andiamo veloci!», mi ha detto e poi ha spinto Sandokan a provare.
Lui mi è balzato sulla schiena manco fossi la sua tigre da tiro, ha arpionato le bretelle del pezzo di sopra del mio costume a mo' di briglie e ha urlato: «Sono in groppa a una scrittrice!».
Purtroppo, quella mia voce fuoricampo l'hanno sentita tutti: bucanieri, filibustieri, Perle di Labuan, perfino Pezzetta (che non ha mai smesso di essere al telefono con Oris). Ci hanno guardati, qualcuno ha riso e io mi sono vergognata tantissimo.
L'ho disarcionato e mi sono avventurata a risalire il fiume controcorrente, insieme a un paio di vecchi -gli unici coraggiosi- e alla sigla di Sandokan che mi risuonava nel cervello.

Il 2015 è appena iniziato e già sembra una giungla nera.
Propongo di sbronzarci di Estathè e cantare:
Sandokan Sandokan
dammi forza 
ogni giorno ogni notte 
coraggio verrà.

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