Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Io,
Oris e Pezzetta detestiamo il Capodanno: quindi, di solito,
organizziamo un contro-veglione che è una semplice cena. Cuciniamo
tantissimo e, poi, a tutti quelli che ci chiamano il pomeriggio del
31 per chiederci che programmi abbiamo, rispondiamo: «Facciamo una
cena a casa. Vieni, se vuoi...». Facendo
così, l'anno scorso abbiamo raccattato chiunque e poi siamo finiti a
bere amari in un baraccio sotto casa. Praticamente: un trionfo.
Quest'anno,
però, abbiamo deciso che volevamo fare una cosa ancora più
alternativa, un'alternativa all'alternativa, e ci siamo molto
interrogati su cosa potesse essere.
A
introdurre la pesca al salmone tra le montagne dello Yemen ci aveva
già pensato Torday. A far sognare pecore elettriche agli androidi ci
aveva già pensato Philip Dick. Alla possibilità di infilarsi in un
cunicolo dietro a un mobile di un'azienda situata al settimo piano e
mezzo di un grattacielo di New York e essere John Malkovich ci
avevano già pensato Spike Jonze e Charlie Kaufman (che è anche
stato mia amata voce fuoricampo).
Potevamo
far cambiare colore di capelli a Oris, visto che il pensiero le era stato già instillato dalla botta di allergia al biondo platino avuta la notte prima del matrimonio della sua migliore amica (grazie
al cielo ha smesso di essere paonazza prima della cerimonia -anche se
una testimone di nozze con la pelle fucsia sarebbe stato un
esperimento interessante), ma la sua parrucchiera ha detto di no. E
anche Oris non era troppo convinta.
Quindi,
visto che era la settimana più fredda dell'anno, abbiamo deciso di
andare in Valpolicella, a prendere il fresco vero, quello che ti
penetra nelle ossa e rimane con te fino a inizio giugno. Ci ha
ospitati Sandokan, a Pescantina, un paese vicino a Negrar, dove è cresciuto suo padre (Emilio Salgari), e quando siamo arrivati, bardati come se
Verona fosse al Polo Nord, lo abbiamo trovato in camicetta e turbante
che ci guardava come si guardano dei pazzi.
«Spero
tu mi abbia comprato l'Estathè», ho esordito, invece di dire Ciao.
«Valpo,
Amarone, Soave, Recioto e Estathè: tutte le bottiglie sono pronte»,
mi ha risposto lui, con quell'accento delicatissimo da voce
fuoricampo del nordest, sguainando la scimitarra per fare un po' di
scena.
Pezzetta,
all'ultimo momento, ci ha abbandonati e forse, proprio per questo, il
Capodanno è stato ancora più assurdo di quanto potesse essere,
ancora più alternativo: Oris, tutte le mattine, ha pianto l'assenza
della colazione, preparata dalle sue mani sapienti, sulla spalla
alcolica della povera Irisetta -che allungava il caffè con la grappa
di Amarone Barrique per sopportarla (eravamo due Iris e un'Irisetta,
Sandokan, una SS partenopea, un Ukulele emigrato a Berlino e Yanez de Gomera,
corsaro veronese fratello di Sandokan, che ha avuto l'ardire di
finirsi la mia bottiglia di Estathè e per questo sarà maledetto
-lui e tutta la sua stirpe- a bere thè freddo liofilizzato per
sempre, nei secoli dei secoli).
Principalmente,
per tutto il tempo, abbiamo avuto freddo e fame: quindi,
principalmente, per tutto il tempo, abbiamo bivaccato nella cucina di
Sandokan, pasteggiando, impastellando e friggendo pure le bottiglie
di Estathè.
«Scarpa
larga e goto pien, ciapa la vita come la vien...»
«Sandokan,
tutti quegli anni in Malesia non hanno scalfito per niente la tua
veronesità...»
«Sì,
ma mi mancano le mie avventure in mare. L'Adige non mi dà le stesse
soddisfazioni...»
È
stato a quel punto che ci è venuta l'idea geniale: per rendere il
nostro Capodanno un romanzo d'avventura popolare, con un pathos
puntato verso il rischio di assideramento, ce ne siamo andati alle
terme. Per convincermi del tutto, siccome la staticità mi annoia e
non sono capace di rilassarmi, mi hanno detto che, nel percorso
esterno dei bagni termali -sì, ho proprio detto percorso
esterno nella settimana più fredda dell'anno-
c'era un fiume da risalire controcorrente.
Fin
dal principio abbiamo rasentato la perfezione assoluta: grotte
kitsch, acqua calda, cocktail direttamente in acqua, corse al gelo su
finta roccia umida per passare da una piscina esterna all'altra e
Oris con la perenne paura di essere sul punto di morire («Ma anche
voi avete i polpastrelli raggrinziti? Anche voi sentite l'acqua
calda? Anche voi avete cinque dita per arto? Anche voi vedete tutta
questa gente intorno a noi? Anche voi vi sentite bagnati da
quest'acqua? Non è che mi sta succedendo qualcosa?»).
E
poi l'apoteosi: il fiume.
Ci
sentivamo pronti alla prova fisico-terapeutica di risalire la
corrente.
Senonché.
Dal
percorso arrivavano urla di giubilo e la grande velocità con la
quale la gente lo affrontava aveva qualcosa di strano. Beh, nessuno,
giuro, nessuno lo stava percorrendo controcorrente, si lasciavano
tutti trasportare dal fluire degli eventi, con grande e immensa
gioia.
«Ma
anche voi sentite una corrente fortissima?», ha chiesto Oris quando
ci siamo buttati a fare quello che tutti gli altri stavano facendo.
«Oris,
a occhio e croce: non morirai, oggi...»
Abbiamo
fatto un giro, due giri, tre giri: non ce la facevamo a fermarci, non
ce la facevamo a essere gli unici pesantoni che abbracciano la fatica
della risalita alle nove di sera, in Valpolicella, con il corpo
diviso tra la piscina di quaranta gradi e l'aria esterna di meno due.
Non ce la facevamo a essere controcorrente, contro il veglione,
contro l'oroscopo di Branko, contro i brindisi, contro il freddo,
contro gli inglesi colonizzatori, contro chi visualizza e non
risponde, contro le ex-fidanzate di Sandokan e contro il thè alla pesca.
Non ce la facevamo a essere contro il Müller Thurgau.
Quindi,
molto semplicemente, abbiamo lasciato che la corrente ci portasse
dove voleva, anzi, per andare ancora più veloci ci siamo messi a
nuotare.
Oris,
che pensa che raccogliere i panni dallo stendino sia la misura
massima dello sforzo quotidiano possibile, si è appesa ai miei
fianchi e io l'ho lasciata fare.
«Ammazza,
come andiamo veloci!», mi ha detto e poi ha spinto Sandokan a
provare.
Lui
mi è balzato sulla schiena manco fossi la sua tigre da tiro, ha
arpionato le bretelle del pezzo di sopra del mio costume a mo' di
briglie e ha urlato: «Sono in groppa a una scrittrice!».
Purtroppo,
quella mia voce fuoricampo l'hanno sentita tutti: bucanieri,
filibustieri, Perle di Labuan, perfino Pezzetta (che
non ha mai smesso di essere al telefono con Oris). Ci hanno guardati,
qualcuno ha riso e io mi sono vergognata tantissimo.
L'ho
disarcionato e mi sono avventurata a risalire il fiume
controcorrente, insieme a un paio di vecchi -gli unici coraggiosi- e
alla sigla di Sandokan che mi risuonava nel cervello.
Il
2015 è appena iniziato e già sembra una giungla nera.
Propongo
di sbronzarci di Estathè e cantare:
Sandokan
Sandokan
dammi
forza
ogni giorno ogni notte
coraggio verrà.
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