Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

lunedì 20 maggio 2013

Non siamo ferrathè

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”

Siccome il nonno è uscito dall'ospedale, è terminato il mio esilio pontino (anche se non è ancora finito Maggio) e io e mia madre abbiamo smesso di correre avanti e indietro in macchina, di fare organizzazioni folli delle giornate, di sistemare fatture per case di riposo (in ordine cronologico) e innumerevoli bottiglie e brick di Estathè (in base alla grandezza).
E poi abbiamo smesso di porci domande stupide, del tipo: “Ma perché se deve succedere qualcosa, succede sempre a Maggio che è periodo di 730?” oppure “Ma 'Ti amo' di Umberto Tozzi è uscita negli anni ottanta o negli anni novanta?”.
Immancabilmente, qualcuno starà pensando che con questa storia di Maggio è il mese peggiore dell'anno la mia famiglia si sia autocausata le sue sfortune: non possiamo dire niente a nostra discolpa perché non siamo molto bravi nella spiegare (e nello spiegarci) le concatenazioni degli eventi e il funzionamento delle cose.
Basti pensare che io ho passato il mio tempo pontino a fissare mia madre che fissava mio nonno che fissava mia nonna che fissava una flebo.

E' stato nel caos di queste giornate che, a un certo punto, mi sono ritrovata nel temibile stanzino: la camera della casa dei miei genitori adibita allo stiraggio dei vestiti.
Tutte le persone che conosco qui a Roma non stirano i vestiti e, qualora avessero uno stanzino in casa, lo avrebbero visto affittato dai proprietari a una cifra esorbitante (anche se quelli sono luoghi in cui la vita è costretta a svilupparsi in verticale, con soppalchi Ikea, scrivanie incassate e pensieri non troppo voluminosi).
Quando mi sono ritrovata lì dentro, il mio senso del dovere mi ha spinto ad accendere il ferro e a mettermi all'opera (nutrendo una mancanza incredibile per il mio ferro verticale, quello che stira i vestiti direttamente sulla gruccia e che è verticale anche se non c'entra niente con i soppalchi Ikea, le scrivanie incassate e i pensieri non troppo voluminosi -è solo un regalo ricevuto proprio dai nonni, indignati nel vedere me, Oris e Pezzetta perennemente sgualciti).
Proprio mentre stavo per picchiare con decisione la prima ferrata, ho sentito una voce.

Canta Gloria, ti prego. Cantala!”
Umberto, sappiamo tutti e due cosa succede se mi metto a cantare...”
Cosa?”
Lo sai.”
Ti prego, fammi abbracciare una donna che stira cantando...
E' questa la pena che sconti per l'evasione fiscale? Ti hanno chiuso nello stanzino in cui stira una commercialista?”
Viviamo sempre di oggi e di ieri, inchiodati dalla realtà...

E così ho cantato, Umberto mi ha abbracciato e abbiamo parlato di “Ti amo” che è uscita (addirittura) nel '77 (altro che anni ottanta e novanta!) e che, secondo Umberto, non è troppo lontana da Catullo con il suo SeVieneTestaVuolDireCheBastaLasciamociTi...Amo.
E devo dire che mi sono trovata d'accordo, forse perché la situazione era stancante e surreale, forse perché non sono molto brava a stirare o forse, più semplicemente, perché ero in uno stanzino pieno di vestiti spiegazzati, con un uomo dai capelli crespi e gli occhiali con le lenti azzurre e una botta di overdose da vapore e estathè.

Iris, non bere tutto questo Estathè.”
Devo, mamma.”
Che vuol dire devo?”
Che sono come i gatti, razionalizzo le mie risorse in base al tempo di permanenza.”
Ma tu non lo sai ancora quanto ti fermerai...”
Sì, ma bevo tanto sperando di fermarmi poco: è un buon auspicio per il nonno!”
Tutte le scuse sono buone. Vergognati.”
Lo sai che c'è Umberto Tozzi nello stanzino?”
Non cambiare discorso.”
Mi ha detto Sciogli questa neve che soffoca il mio petto. Ti dispiace se lo portiamo con noi?”

Ritrovandosi nelle mani della commercialista giusta, Umberto ha scontato la sua pena viaggiando in macchina con donne che guidano cantando; mia madre ha saputo la sconcertante notizia che Gloria è stata cantata in inglese da Laura Branigan e inserita nel film Flashdance (eccone le prove) e io, dopo un acuto della nonna, ho capito il motivo per cui lei fissava la flebo e la flebo fissava lei. 

Sottovalutando la forza di gravità (a causa del suo primato nella autogenerazione perpetua di ansia), la nonna pensava che la flebo avrebbe smesso di gocciare in maniera improvvisa, da un momento all'altro, senza dare spiegazioni, dicendo “Vado a prendere le sigarette” senza più tornare, e quindi la flebo, di conseguenza, continuava a fissare mia nonna, perché anche la flebo come i gatti crede negli epigrammi di Catullo e nella razionalizzazione delle risorse (motivo per cui somministra sostanze liquide romanticamente in vena e non con un'esuberante catenella per doccia, come nel celebre spettacolo di Alex Owens, in Flashdance).
Alla fine è andata che, quando la flebo è terminata, un allarme è suonato in stanza per richiamare l'attenzione degli infermieri e la nonna, battuta sul tempo, ha mosso un acuto con la sua frase preferita.

Peppì, sguilla!”, ha urlato, allo stesso microfono di Umberto Tozzi, spronandolo a fare di quelle parole il ritornello del suo prossimo singolo di respiro internazionale.

Intanto, il nonno aveva una bottiglia di Estathè sul comodino.
E quindi, alla fine, è andato tutto bene.

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