Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Ad
un certo punto, le stagioni si sono mescolate: autunno e primavera
hanno fatto finta di sparire, infilandosi in un luogo comune che poi
è diventato proverbio e, nel frattempo, come abili carbonari, i vari
climi si sono messi a combattere giornalmente la loro guerra di
sopravvivenza.
E'
così che mi sono spiegata il fatto che di giorno è primavera e di
sera è autunno, in un mese che non è nemmeno il povero marzo, da
sempre accusato di varie patologie psichiatriche senza fondamento
(pazzerello è un aggettivo decisamente fraintendibile).
La
stagionatura non è solo un periodo di maturazione, è anche un
sistema di difesa, “l'insieme di accorgimenti protettivi a cui”,
cito testualmente, “deve essere sottoposto il calcestruzzo
giovane”.
Io
non mi sento giovane, non mi sono mai sentita giovane, e non mi sento
nemmeno calcestruzzo, anche se, insieme a capodoglio, calcestruzzo è
una di quelle parole che mi recano gioia. Questo conglomerato
cementizio viene scasserato da una cassaforma durante la
stagionatura, e allora, niente, la mia è una stagionatura diversa.
Più
che altro, infatti, io mi sento un formaggio di fossa, visto che per
combattere il sogno rivoluzionario dei settari del clima confuso,
stagiono da due mesi nella mia camera ovale, manco fossi il
presidente delle Sagre Unite Di Sogliano al Rubicone.
Le
poche volte che sono uscita di casa ho sudato perché ero vestita
troppo pesante oppure sono morta di freddo per l'insostenibile
leggerezza del mio cappottino rosso.
Quindi,
ho deciso che mi ci voleva una stagionatura.
“Se
dobbiamo stare qui dentro, spero che miglioreremo l'architettura
interna della stanza”
“Jacopo
Barozzi, che stile”
“Mi
avete riconosciuto...”
“Certo,
tu hai fatto a pianta ovale perfino una scala a chiocciola
autoportante”
“Questa
stanza però non è ovale, non dovreste dirlo”
“Ma
quando usi questa seconda persona plurale, lo fai perché parli a me
e alla mia bottiglia di Estathè?”
“Non
capisco proprio a cosa vi riferiate”
“Jacopo
Barozzi, che stile. Anche se...”
“Prego?”
“Anche
se, niente... Si può dire che la torta Barozzi fa schifo?”
“Assolutamente
no”
“Secondo
me si potrebbe sostituire l'Estathè al caffè per renderla più...”
“Assolutamente
no”
“E'
che quei fondi di caffè danno diciamo una stagionatura, una
secchezza, una malloppanza al composto che è un pochino duro
da deglutire...”
“Si
chiama manierismo e vi faccio presente che la parola malloppanza
non ha alcun tipo di significato”
“Vignola,
fai poco il saputello, malloppanza è un rafforzativo di
mappanza, che in questo caso è d'obbligo visto quanto costa
la torta Barozzi. E poi smettila di darmi del voi e di scandagliare
in questo modo la sistemazione dei mobili: questa è una stanza per
stagionare, non è mancanza di estetica è pura utilità...”
Dopo
aver costruito un rialzo per computer con i semi di zucca, Jacopo
Barozzi, detto Il Vignola, si è messo a giocare con i vuoti di
Estathè e, dai bozzetti del suo progetto, ho il timore che mi stia
costruendo un soppalco per il letto.
Mentre
lui produce, il cielo ha iniziato a ghiacciarsi e dalla bella mattina
che era, la giornata sta virando verso la rigidezza.
“Jacopo,
mettiti questo maglione che fa freddo”
“Non
potete obbligarmi, tutta questa lana crea una certa malloppanza.
Piuttosto sbrigatevi a finire di bere, ché quella bottiglia mi serve
per il comodino...”
L'architettura
del clima, la mia stanza e il talento di un uomo del Cinquecento mi
stanno portando alla follia. Ora mi vesto a cipolla e vado a fare una
passeggiata, anche perché voglio delle mensole e, visto che Jacopo
non ha alcuna intenzione di usare il calcestruzzo, ho bisogno di
altre bottiglie di Estathé.
Arriva
marzo, salvami tu.
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