Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
Se
potessi, farei un albero genealogico, una planimetria botanica della
casa, un disegno da economista, con le entrate e le uscite, con i
bilanci delle persone ospitate e viste, convissute e amate, provate e
odiate. Se potessi, non farei passare il tempo che purtroppo è già
passato, quello che ci divide dalle feste estive sul terrazzo della
vicina, dalle cene di Natale con le palle dell'albero personalizzate,
dalle partite di Risiko e dalle puntate di Sex&The city su La7d.
Se
avessi potuto, avrei rubato gli occhi del finto di Modigliani del
salotto, messo su uno di quei muri che se solo potessero parlare...
“Posso
bere un goccio d'estathè?”
“Dipende.”
“Da
cosa?”
“Senti
di avere con Iris un rapporto di quel tipo? Sei sicuro che togliendo
quel goccio la lascerai con un bicchiere di sicurezza? Potresti
giurare di saper usare bene il punto e virgola?”
Casa
Nardini è una casa nei dintorni di piazza Bologna. E' il
pianerottolo di un attico, condiviso da due famiglie che sono sempre
state una sola casa, con Decio, India e Sophie come dirimpettaie, una
cosa che quando guardavi Friends
negli anni '90 ti dicevi “Magari capitasse anche me” e poi è
successa.
Casa
Nardini, di partenza, è una casa di cinque persone, escluse le
vicine, che però non si è mai banalmente fermata a cinque e chi non
c'ha dormito nemmeno una volta, alzi la mano.
Oris,
Iris, Martina, Roberta e Patrizia. Via Patrizia e dentro Jon. Via
Jon e dentro Matteo. Via Roberta e dentro Eleonora. Via Martina e
dentro Francesca. Via Matteo e dentro Renato. Via Francesca e dentro
David. Via David e dentro Federico. Via Federico e dentro Aldo. Via
Eleonora e dentro di nuovo Federico. E poi tana libera tutti.
In
nove anni, quattordici coinquilini in tutto, esponenzialmente elevati
ad un certo quantitativo di amici ciascuno, che aumentati dagli amici
di Decio e dagli amici degli amici di Decio e di tutti, diventano un
numero incontenibile di persone che sono state ospitate, sfamate,
abbigliate e pettinate in quella casa.
“Posso
bere un goccio d'estathè?”
“Dipende.”
“Da
cosa?”
“Rifai
sempre il letto quando ti svegli la mattina? Hai mai pensato che fare
le sciarpe sia un buon metodo antistress? Sei pronto a condividere
una coppa d'amarezza mentre sei seduto sotto il manifesto di
Amarcord?”
Sono
tre giorni che vivo in una casa nuova, senza essere nemmeno certa del
quartiere in cui sto. Non ho girato molto, mi sono solo assicurata,
in una passeggiata mattutina con un amico che è una consolante
consonante, che c'è un posto in cui posso comprare l'estathè.
Abbiamo
bucato i brick, fermi ad un semaforo, per festeggiare.
Sono
innumerevoli le cose che mi mancheranno di Casa Nardini e sono
ingestibili tutti i ricordi che mi legano a quel posto. Ricordi e
cose che sono persone, eventi, risate, festeggiamenti, febbri, esami,
litigi, tagliatelle al ragù di cinghiale, amari del capo, lavatrici
in panne, bicchieri rotti, tovaglie, sveglie, scampanellate, pianti,
cani, sedie e tagli di capelli. Nove anni sono tanti davvero.
“Posso
bere un po' di estathè?”
“No,
non puoi.”
“E
perché?”
“Non
ce n'è più nemmeno un goccio...”
Ebbene
sì, le cose finiscono.
Finiscono
le stagioni, gli amori, i biscotti e le bottiglie di estathè.
Spero
che i nuovi inquilini non bevano thè deteinato.
E
spero che dall'altra parte del mio nuovo pianerottolo ci sia una casa
di Bruxelles.
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