Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!»,
gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce
fuoricampo»
Tra
i molti problemi presenti nella mia complicata interazione con gli
altri, c'è anche quello dell'educazione. Per educazione, sono capace
di cedere il mio posto sull'autobus anche a uno che è più vecchio
di me solo di sei mesi (d'altra parte, i nati in gennaio mi sembrano
sempre più anziani di quello che sono). Per educazione, la settimana
scorsa, non ho detto alla parrucchiera che non aveva capito nulla di
quello che le avevo chiesto e che mi stava facendo un taglio
cortissimo quando avevo passato un sacco di tempo a cercare di farmi
allungare i capelli. Per educazione, quando il mio vicino di casa mi
ha detto: «Meno male che hai cambiato foto di profilo su FB,
nell'altra mi sembravi...», cito testualmente: «...handicappata»,
io non gli ho risposto: «Ma come ti permetti?», così come ho
taciuto quando, qualche anno fa, dopo un'abbondante cena a casa di un
amico, nel riposo post-prandiale da amaro e chiacchiere, suo padre si
è avvicinato alla poltrona su cui ero spiaggiata e mi ha preso a
pinza, tra pollice e indice, un angolo della pancia per poi dirmi:
«Allora è qua che hai nascosto tutte le fettuccine che hai
mangiato!».
Mi sono messa a pensarci l'altro giorno, mentre
facevo aperitivo con la mia amica Lorelai – che è una di quelle
giornaliste colte e analitiche che hanno sempre qualcosa di
intelligente da dire. Avendo deciso di ordinare da mangiare, Lorelai
ha chiesto al cameriere che tipo di prosciutto c'era nel toast e lui,
dopo averle risposto confusamente, ha aggiunto: «Ammazza se sei
strana...» – oltretutto senza somigliare per niente a Luke Danes.
Aspettavo una sua reazione, ma l'ho guardata tacere con stupore –
uno stupore che nascondeva sorellanza – e, quando il finto Luke è
andato via, lei mi ha detto: «Lo so che avrei dovuto rispondergli
male ma, mio malgrado, sono troppo
educata».
Praticamente:
il tema della mia esistenza.
A
ricordarla tutta insieme quella insistita cortesia mi ha molto
innervosito ed è stato mentre camminavo agitata verso casa che ho
sentito la voce di Giaris che mi parlava.
«Iris,
ho appena deciso che sei stata ammessa al mio corso»
«Al
tuo corso?»
«Al
mio corso, sì. Una specie di stage fatto apposta per te»
«Giaris,
non ti sto capendo»
«L'immagine
di te che stai zitta con la pancia presa a pinza da uno sconosciuto
mi ha spinto a telefonare a tua madre, per richiedere tutta una serie
di informazioni: oltre a parlarmi dell'Estathè, del tuo ex fidanzato
e del fatto che vorrebbe dei nipotini, mi ha detto che, quando sei di
spalle e non lo vedi, tuo padre ti fa il saluto militare e che se lei e Oris dovessero pensare a un regalo di nozze per un tuo
ipotetico marito di sicuro opterebbero per una damigiana di Lexotan»
«Grazie
per questa bella panoramica di amore famigliare, ma continuo a non
capire...»
«Vuol
dire che non sei repressa, poco combattiva, mansueta o irrispettosa
di te stessa, anzi: sei una grandissima cagacazzi, solo che sei affetta da una forma di educazione un po' debilitante. Questo fa di
te la mia candidata perfetta! Ti serve una guida al vaffanculo
terapeutico: una specie di manuale che ti racconti gli innumerevoli
modi che esistono per lasciar cadere la corona, raccoglierla e
infilarla nei pertugi più disparati di chi ti rompe i coglioni.
Insomma, grazie a me smetterai di essere una signorina perbene. Anche
perché, parliamoci chiaro, Iris, te lo dico come te lo direbbe tua
sorella: "Lo sai dove ti porterà tutta questa educazione? Dietro a un frigorifero abbandonato, alla fermata del 360"».
Giaris
è una delle persone più brusche, dirette e caustiche che io
conosca. Quando le racconto le cose assurde che mi succedono la vedo
che le si sfina la faccia in un'espressione di rabbia compressa. «Ma
perché non ci sono mai io quando succedono queste cose?», mi dice,
guardandomi bere copiose e sgraziate quantità di Estathè per
bilanciare le buone maniere. Siccome vive all'estero, il corso è
iniziato con lezioni di dissenso per corrispondenza, ma ieri è
tornata per un paio di settimane e mi ha incastrato intorno a un
tavolo per spiegarmi il suo anti-galateo.
«Esempio:
una vecchia col carrello pieno ti passa avanti al supermercato
nonostante tu abbia solo una cartucciera di brick e un paio di
bottiglie di Estathè a cui sei praticamente abbracciata. Che fai?»
«L'esempio
è sbagliato: è anziana, la lascio passare»
«Assolutamente
no! Lo capisci che mentre tu hai fretta perché devi tornare a casa a
lavorare per non andare mai in pensione, ti sei appena fatta superare
da una pensionata che non ha niente da fare e si sbriga perché deve
andare a vedere Il segreto su Canale 5?»
«E
che dovrei fare, allora?»
«Mi
scusi signora, ma ci sono prima io. Me lo avesse chiesto, l'avrei
anche fatta passare perché sono una ragazza ben educata. Ma proprio
in quanto fan dell'educazione, mi vedo costretta a chiederle di
tornare al suo posto»
«E
se lei mi dice che non mi aveva visto? Che ha la cataratta, il cane
legato fuori o che è incontinente?»
«Ma
perché quando Oris vuole saltare le file la massacri e invece fai
passare 'sta vecchia che, tra l'altro, nel carrello ha un thè
deteinato sottomarca?»
«Oris
mica è incontinente!»
«Mi
sa che tu sei una guerra persa...»
Siccome
nell'esercitazione pratica ho fatto schifo, Giaris è passata alla
teoria, che è la mia parte preferita, perché io adoro le sue
storie, a volte le chiedo di raccontarmele di nuovo anche se le conosco
già – soprattutto quella del venticinquenne vergine rimorchiato
durante la festa per il suo penultimo compleanno, che lei ha cacciato
di casa di fronte alla scoperta, urlando: «Truffatore! Io ti
denuncio! Mi hai rovinato la serata!».
Non
so se nel suo talento per lo storytelling c'entra il fatto che è una
sociologa, ma so che quando mi ha detto: «Sono tornata a Roma perché
mi mancavate, sì, ma soprattutto perché mi mancavo io, la me di
quando sono qua» ho capito quanta bellezza riesce a sprigionare
l'insolenza quando è frutto di pensiero. Giaris mi ha spiegato che,
a questa cosa dell'estremismo nella franchezza, del profondo Sticazzismo della tua sensibilità, piuttosto impara a stare al mondo, ci tiene soprattutto perché lei ha sperimentato anche l'altra metà del cielo: come tutti, Giaris, per un periodo si è persa.
«Una
cosa tremenda tipo quella che fai tu con la tua corte dei miracoli,
che i problemi degli altri erano diventati più importanti dei miei,
che ero gentile pure quando ero triste... Insomma: una situazione
abominevole»
«E
che hai fatto?»
«Mi
sono ricordata delle mie tre i: il tema della mia esistenza»
«Le
tue tre i?»
«Sì,
mi sono detta che, nonostante tutto quello che mi succede nella vita,
io voglio continuare a essere Inadatta, Inappropriata e
Inesportabile»
«E
ce l'hai fatta?»
«Secondo
te?»
«E
che pensi di me? Ce la posso fare?»
«Guarda,
io direi che intanto mi dai il numero della tua amica Lorelai, che mi
serve un altro candidato...»
Quando
dico a mia madre che è colpa sua se sono troppo educata, lei mi
risponde che è una frase che non vuol dire niente e che, comunque,
alla fine, per quanto lei mi abbia sfinito con i suoi «Saluta zio.
Abbraccia zia. Vai a giocare con tuo cugino. Non trattare male
l'amica di tua sorella», per quanto mi abbia impedito di sedermi a
tavola in pigiama o alzarmi senza chiedere il permesso, mangiare con
il piede destro sulla sedia, impicciarmi di cose che non mi
riguardavano e bere l'Estathè direttamente dalla bottiglia, per
quanto lei sia stata severa, adesso sono io che scelgo di essere come
sono, ogni giorno della mia vita.
«E
poi, amore di mamma, dentro quella signorina perbene che sei si
nasconde un capo di stato maggiore. Tuo padre dice che sei un
generale di corpo d'armata e che, quando arrivi tu, noi diventiamo
tutti soldati semplici. Se fossi pure maleducata, saresti
incontenibile...»
Il
punto è che se cominciassi a non cedere i posti sull'autobus e al
supermercato, a saltare le file, a incazzarmi con i parrucchieri che
sbagliano, con i vicini di casa quando straparlano e con la scortesia
dei padri degli amici, non sarei più io e finirei per mancarmi:
questo mi ha detto Giaris per spiegarmi perché era proprio nel
fallimento della mia diseducazione il senso di tutto; mi ha detto che
sono una rompicoglioni prepotente ma che poi dico permesso, scusa,
grazie, prego ed è stato un piacere e che è questo il mio modo di
essere Inadatta, Inappropriata e Inesportabile.
«Allora
sono salva?»
«Oh,
ma lo sai che c'ha ragione tua madre? Con te ci vuole una damigiana
di Lexotan...»
«Dici così perché tanto lo sai che sono troppo educata per risponderti. Comunque, grazie di tutto...»
«Dici così perché tanto lo sai che sono troppo educata per risponderti. Comunque, grazie di tutto...»
«Ecco,
appunto: pure grazie m'hai detto... Meglio che vado a telefonare a
Lorelai»
Quindi
sono una guerra persa, dietro un frigorifero abbandonato, alla fermata
del 360, ma non potrebbe andare meglio di così. Anzi, forse sì.
Potrebbe piovere.
Cara Iris, ho ricevuto il link di questo articolo da mia figlia. Lei vive all'estero e comunichiamo via Skype, ma spesso mi rimanda ad articoli interessanti che legge e che vuole condividere con me.
RispondiEliminaQuesto tuo articolo in effetti parla di lei, al punto che per un attimo ho pensato che fosse lei l'autrice.
Io invece sono quella mamma attenta all'educazione che per tutta la vita non ha perso occasione per insegnare alle proprie due figlie le buone maniere, convinta che siano un bel modo per interagire con il prossimo e per lasciare un bel ricordo di sè. Purchè non siano fine a sè stesse, purchè siano un segno di rispetto per chi ti circonda.
Mi conforta sapere, ora che mia figlia è adulta e consapevole, che i miei sforzi sono serviti a forgiare una personalità corretta e rispettosa ma anche determinata e ragionevole.
Siamo una grande comunità, noi figlie educatissime di madri forti e attente. Ho voluto scherzare su questa cosa delle buone maniere perché mi piace scherzare su tutto, ma mi ha colpito molto questo tuo messaggio, così come mi ha colpito che mia madre mi dicesse: "Mi sono un po' commossa quando ho letto la lista delle cose che ti facevo e non ti facevo fare" (e poi ha aggiunto il solito: "Chissà che pensano di me le persone che leggono il tuo blog!"). Scrivendo questo post, di fatto ho pensato che stavo scrivendo della mia comunità, quella delle figlie educatissime di madri attente e forti, invece no: stavo anche e soprattutto scrivendo di tutti quei caterpillar che puntano sicuri all'obiettivo ma che cercano di arrivarci con garbo, quindi stavo scrivendo anche di voi, di te e di mia madre.
EliminaTi ringrazio moltissimo, così come ringrazio tua figlia (purtroppo nel commento non c'è il tuo nome!). Ma intanto grazie.
Siamo così, no? Quanto ci piace, in fondo, dire "Grazie"?