Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!»,
gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce
fuoricampo»
Quando
facevo l'università, stavo sempre in mezzo ai maschi. Non era tanto
una scelta quanto una necessità di adattamento: quindici anni fa,
quando mi sono iscritta a Ingegneria meccanica, c'erano davvero poche
altre ragazze oltre me. E così, stando in mezzo ai maschi, un po'
ero esclusa, un po' ero corteggiata, un po' ovviamente ero vessata.
Soprattutto Er Polemica amava vessarmi (che, insomma, già si capisce
da come lo chiamavamo che era un bastian contrario), mi diceva: «Ti
vorrei vedere a cambiare la ruota di una macchina, una notte che sei
uscita con la minigonna».
«Fai
il maschilista solo per farmi arrabbiare», gli rispondevo io, tra un
sorso e l'altro del brick di Estathè preso dalla macchinetta. «Se
foro una gomma sai che faccio? Quello che faccio ogni volta che mi
trovo di fronte a una cosa che non ho mai fatto: chiamo mio padre».
Lui rideva, pensando di avermi battuto in quella sua costante guerra
di genere, che mirava a dimostrare quanto la superiorità tecnica del
maschio andasse riconosciuta e preservata; e io lo lasciavo ridere,
non mi arrabbiavo perché lo sapevo che le rivendicazioni di Er
Polemica erano il suo disperato tentativo di riscatto da una madre
meravigliosa che faceva apparire tutte le femmine come pericolosi
competitor per la sua virilità.
E
poi, dire che avrei chiamato mio padre non mi sembrava dare un punto
alla sua squadra perché io sono cresciuta dentro a una famiglia che
non ha fatto altro che scombinare tutto il tradizionalismo dei ruoli,
con mio padre che ha fuggito la responsabilità di ogni decisione
possibile («Chiedilo a tua madre» è la risposta che mi ha dato a
ogni permesso richiesto durante tutta la mia vita) e mia madre che
non ha mai cucinato niente che avesse un tempo di preparazione
superiore ai 7 minuti. E infatti il risultato di tutto questo è che
io ho una sorella maggiore di almeno 15 anni più giovane di me e che
il mio cane ha il diritto di prelazione sull'ultima plumcake rimasta.
Quando
racconto che andavo con mio padre sia a pescare che a cercare i
funghi o quando mi capita di aggiustare il mobile di un'amica o
sturare il lavandino di un ex fidanzato violinista che se gli togli
le mani dall'archetto non sa cosa farci, mi capita spesso di sentirmi
dire che sono stata cresciuta come un maschio. In realtà, così come
ho preso da mia madre l'ossessione per la gestione ecomico-pratica
dell'esistenza e una certa faciloneria nel prevaricare chi affronta
la vita con lentezza, ho preso da mio padre la passione per le
attività in mezzo alla natura e l'ostinazione per il recupero di
tutto quello che sembra rotto – il problema è che, poi, nel
mescolare queste diverse eredità ne è venuto fuori un carattere
bizzarramente contraddittorio e vagamente prepotente.
Insomma,
non sono stata cresciuta come un maschio, semplicemente, come tutti,
la mia voce fuoricampo si diversifica a seconda delle situazioni che
vivo e quando interagisco con il mio ferramenta adorato, quando
l'idraulico mi spiega come riagganciare la cinghia della lavatrice se
non parte la centrifuga oppure quando devo creare un'alternativa in
fildiferro per tenere su un lampadario claudicante, è la voce di mio
padre che mi guida.
«Ti
vuole tua figlia al telefono», gli dice mia madre e poi mentre parlo
con lui, pure lei continua a parlare perché se c'è una
particolarità in questa specifica voce fuoricampo è che ha una
costante eco vessatoria – che Er Polemica manco se rinasce.
«Senti,
papà, questa settimana è tutto un disastro, ho dovuto cambiare due
volte il tubo del doccino della vasca e adesso devo cambiare pure il
soffione della doccia che, tra l'altro, non riesco a sganciare in
nessun modo. Siccome non bastava che la base del frigorifero non mi
sembra affatto stabile e che Oris ha appoggiato una padella calda sul
tavolo – che grazie al cielo ha bucato solo la tovaglia –, mo si
è pure fulminato uno degli agganci di quella lampadina assurda che
abbiamo in cucina, te la ricordi?», gli ho detto qualche giorno fa.
«Me
la ricordo, certo», ha risposto lui.
«Diciamo
che se la ricorda»,
ha aggiunto l'eco materna.
«Non
so come fare, dovrei cambiare quel pezzo, ma sto pensando che faccio
prima a cambiare il lampadario».
«Devi
trovare lo starter, ci deve essere uno starter. Poi devi prendere i
fili e metterli a baionetta».
«Lo
starter? Ma quale starter, dille che devono comprare il lampadario
nuovo».
«Guarda,
papà, perdonami ma non so cosa voglia dire mettere i fili a
baionetta».
«In
pratica, devi trovare una scatolina elettrica, e girare i fili che ci
entrano dentro mettendoli a baionetta».
«Se
quella si fulmina, la prendo io la baionetta e ti faccio fuori».
«Sì,
papà ma se continui a cambiare tutte le parole della frase tranne 'a
baionetta' non ne usciamo. Vabbè, non fa niente, non ti preoccupare,
mo me la vedo io».
«Stacca
la corrente prima di fare qualsiasi cosa».
«IRIS,
NON TOCCARE I FILI CON LE MANI BAGNATE DI ESTATHÈ CHE SENNÒ UCCIDO
TUO PADRE!».
Oris
voleva chiamare un tuttofare ma io le ho chiesto di darmi ancora
qualche chance, di mantenere la calma. Inutile dire che, come sempre,
lei era calmissima: ha messo una piantana in cucina per ovviare la
problematica del lampadario e ha videochiamato Pezzetta,
manipolandolo in modo da fargli comprare un biglietto Londra-Roma per
venire a risolvere i nostri problemi – anche perché, c'è da
dirlo, quando vivevamo con quell'adorabile pazzo monomaniacale, anche
se ci metteva 72 giorni, alla fine risolveva tutto.
Dopo
aver dissuaso Pezzetta da fare questo viaggio per i motivi sbagliati,
ho acceso il computer per cercare «fili a baionetta» su Google. È
stato in quel momento che mi è apparsa, sulla schermata di Facebook,
la foto di Er Polemica, abbracciato alla sua compagna incinta, che
annunciava al mondo con la faccia più felice mai vista: «It's a
boy».
Allora
mi sono detta: forza maschi, vediamo che sapete fare e ho iniziato a
scrivere e a telefonare ai miei amici, alla ricerca di soluzioni.
Draco
Malfoy ha riso nervosamente fino a che non ho cambiato argomento,
sproloquiando di voler comprare una baionetta e di non capire perché
non potevo farmi la doccia anche così, con quel getto unico e
corroborante.
Il
mio amico Church(ill), giornalista cattolico che sostiene di saper
aggiustare tutto in seguito a una educazione fortemente militare, mi
ha detto: «Lo starter a baionetta penso sia una cosa ignota alla
società scientifica mondiale».
Pezzetta
mi ha detto che era tutta colpa del pappagallo che stavo usando.
Il
mio ferramenta adorato si è limitato a vendermi un nuovo soffione
che si chiama Niagara («Nun pòi capì che te sto a da'») e un
prodotto per facilitare lo svitamento del vecchio.
Non
potendo chiamare il mio ex violinista, visto che non era una cosa che
si poteva risolvere con l'archetto, ho chiamato il mio amico
chitarrista, quello che è uno dei migliori chitarristi del paese,
nonché padre dell'altra piccola e biondissima Oris. Si è presentato
a casa mia con ben due nuovissimi pappagalli (di cui ho
immediatamente mandato una foto a Pezzetta) e si è infilato nel box
doccia sotto gli occhi riconoscenti di Oris e della sottoscritta.
Quando ha cominciato a tirare con tutta la forza che aveva, mugolando
per aiutarsi, io non sapevo come dirglielo, ho cercato di trovare la
parole giuste ma alla fine sono sbottata.
«Guarda
che stai avvitando, non stai svitando».
«Ma
sei sicura?».
«Beh,
sì, se non ci credi, aiutati con la regola della mano destra».
Mi
ha guardato come se fossi pazza, ma poi comunque è scoppiato a
ridere, mi ha lasciato usare i suoi pappagalli superchic e non
abbiamo ottenuto niente, se non che io, a forza di insistere, mi sono
stirata un muscolo della spalla e non ho potuto fare più niente per
due giorni.
La
tentazione di scrivere anche a Er Polemica è stata forte, ma mi sono
trattenuta, mi avrebbe detto che avevo fallito sia con l'aggancio di
fildiferro del lampadario (che aveva sicuramente provocato il danno
allo starter), sia col sistema di leve studiato per forzare la
pseudo-giunzione del soffione della doccia (che, diciamolo,
consisteva in Oris penzoloni sopra di me che sfruttava l'appoggio
della parete per aiutarmi).
«Di'
un po', portavi la minigonna?», mi avrebbe chiesto ridendo, ma anche
stavolta non mi sarei arrabbiata perché l'ultima volta che ho visto
Er Polemica, sei mesi fa, al matrimonio di uno dei nostri migliori
amici, mi ha raccontato di questa donna meravigliosa con cui
conviveva e allora che cosa mi devo arrabbiare a fare.
La
verità, però, è che l'innesto a baionetta esiste, si fa tra due
pezzi coassiali, soprattutto in elettrotecnica, e questi pezzi si
uniscono con un inserimento e una successiva rotazione per
l'aggancio, possibile grazie alla presenza di due o più razze (nel
senso tecnico di elementi radiali che escono dal blocco principale,
ovvero alette – ma anche in altro senso, eh).
La
mia voce fuoricampo non deve aver accettato che non riuscivo a
capirlo, quindi mi ha telefonato dicendo cose incomprensibili, fino a
che la sua eco vessatoria, soffocata dalle risate, non ha preso il
telefono e ha cercato di spiegarmi. Non so se i miei genitori
volevano dimostrarmi una volta di più quanto fossero noiose tutte
queste suddivisioni – maschi/femmine, padri/madri, giovani/vecchi,
oggetti per il trucco/componenti masticatorie – ma, di fatto, a mio
padre faceva male un dente e mia madre ha preso uno specchietto per
vedere se poteva capirci qualcosa. E poi solo dramma.
«Mm
ss cchh lll ccdd oo tt mmmddrr....»
«Iris,
giuro, sono stata cauta, ma adesso gli si è agganciato questo coso
al dente e non so più come tirarlo fuori! Ahahahahah! E non ce la
faccio a smettere di ridere perché lui sbraita con uno specchietto
in bocca!».
Mio
padre ora è salvo e Oris ha chiamato un tuttofare – in barba alle
superiorità tecniche e alle altre velleità. Io ve lo dico, cari
amici maschi che chiaramente non siete competitor né suoi (del
tuttofare) né miei né di mio padre, ci conviene tenerci tutti
stretti a baionetta. Almeno fino a che qualcuno non ci salverà.
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