Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!»,
gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce
fuoricampo»
C'era
un periodo, un paio di vite fa, prima che Core si trasferisse a
Bruxelles e poi a Washington, durante il quale si era fissata con la
metamedicina e con alcuni libri che ti aiutavano ad ascoltare il tuo
corpo. In quel periodo, qualsiasi sintomo comparisse sul nostro
comune pianerottolo, qualsiasi malattia occorsa in una delle due
case, se non era risolvibile con il cofanetto di Sex&TheCity o
con una bottiglia di Estathè, diventava un messaggio da
decodificare: una caccia al tesoro da giocare all'interno del nostro
organismo e della nostra psiche. Una stagione bizzarra, insomma, di
quelle da rinnegare e seppellire nelle zone più profonde del nostro
inconscio. E invece.
E
invece, in questi giorni non ho fatto altro che pensarci perché è
piena estate, a Roma non si respira e io ho una faringite cronica che
ben due medici diversi hanno definito «arrabbiata», dicendomi che
me la porto dietro da mesi (forse da novembre dello scorso anno,
quando sono salita sul palco dello Spazio Tondelli, al Premio
Riccione, a tossire e sproloquiare senza voce sui buchi neri e sui
viaggi nello spaziotempo).
Oris,
come spesso accade, non è molto di aiuto: lei detesta il fatto che
io mi ammali, dice che tossisco in maniera scortese, che la febbre è
sempre inelegante e il mio faticare a deglutire è un torto che non
riesce a perdonarmi. Il solito atteggiamento assurdo e
contraddittorio di mia sorella che dissimula i miei mali ma, essendo
ipocondriaca, non fa che trovare sintomi in ogni sua azione
quotidiana.
[«Iris,
ho uno sfogo sulla schiena. Cosa sarà mai?», «Hai corso sulla
cyclette con le scarpe da tennis e un vestitino con le zebre. Che
cosa pensi che sia?», «Una psoriasi? Una cheratosi? Una ittiosi
vulgaris?», «No, Oris, è solo che sei cretina. Devi utilizzare
indumenti sportivi, come fanno tutti gli altri», «Ah, quindi non
basta fare sport, devo anche andare nei camerini di Decathlon? Dai,
Iris, ho già questa cosa sulla schiena, non infierire: controllami i
battiti cardiaci, piuttosto...», «Sai che forse sei tu uno dei
motivi per cui la mia gola è così arrabbiata?»].
Che
poi io davvero non capisco perché devo passare un'estate su due a
spruzzare spray, ingurgitare farmaci, fare diete per l'esofagite,
coprire la gola, non esagerare con l'Estathè, tutelare il mio corpo
dallo stress. Eccheppalle!
«Non
dimenticare che devi anche unirti al pullman organizzato dal centro anziani
per andare alle terme di Ferentino...», mi ha detto mia madre, nel
picco massimo del suo umorismo.
«Dai,
Iris, non ti lamentare! Alla fine, ti stiamo facendo compagnia. Gli
agenti patogeni sono tutti simpaticissimi...», mi ha sbeffeggiato
Nabot, mentre mi facevo l'aerosol. Nabot è il capo dei virus di
Esplorando
il corpo umano,
quello con la scucchia e i capelli strani – che sembrano quelli di
Oris quando si fa le pettinature anni cinquanta.
«Siete
tutti simpaticissimi? Prova a dirlo a Pezzetta, che si è mangiato
una pizza con una 'nduja – probabilmente andata a male – che gli
ha fatto baldoria nell'apparato digerente per i successivi tre
giorni, oppure prova a dirlo a Frederick e Marco Polo, la mia squadra
tanto ardimentosa quanto cagionevole del campionato dei gruppi
WhatsApp più strafatti di antibiotici. Anzi, meglio, parla con Core,
che ha le lumache che le stanno distruggendo l'ibiscus e il basilico,
due cani che non vuole mettere in pericolo usando roba chimica e una
sola possibilità di salvezza: l'acquisto di anatre corritrici
indiane...», ho risposto, urlando da dentro la mascherina per
superare il rumore dell'aerosol, mentre sudavo beclometasone
dipropionato e pazienza.
«'Nduja?
WhatsApp? Lumache? Anatre corritrici indiane? Ma che stai dicendo?»,
ha riso Tignoso, il capo dei batteri di Esplorando
il corpo umano,
quello con i basettoni, la scrima e il possente corpo azzurrino.
«Sto
dicendo la verità, Tignoso, come sempre. Qua, dove ti giri giri,
incontri un agente patogeno», ho sentenziato con calma, togliendomi
la mascherina e guardando negli occhi entrambi quei coatti di
microrganismi.
«Ah
si?», mi hanno risposto loro, accendendosi una sigaretta a mo' di
sfida.
La
verità è che ci sono periodi – non due vite fa, non qualche serie
di Sex&TheCity precedente, ma proprio ora – in cui la vita
sembra piena di infezioni, virulenze, invasività, ossessioni che ti
si attaccano come funghi, sentimenti che ti combattono contro manco
fossero malattie autoimmuni, idee con troppo ossigeno a infiammarti
la cute e mastodontiche epidemie di insensatezza, e allora succede
che torni indietro nel tempo, fai un viaggio spaziotemporale che
nemmeno Piero Angela nel fegato e, in bilico su una ramificazione
della vena porta, chiami Core e le chiedi se può cercare anche lei,
da qualche parte, altri tipi di risposte.
Per
farmi contenta, Core si è dovuta arrampicare sullo scaffale più
alto della sua libreria di Washington, quello in cui mette i libri
che vuole nascondere, così che gli ospiti non riescano a leggere i
titoli – che deve essere l'equivalente americano di una zona
profonda dell'inconscio. Mi ha detto che, secondo la metamedicina, a
guardare dentro la mia faringe arrabbiata con occhi diversi da quelli
dell'otorino, ci si trovano: avversità al cambiamento, rabbia
trattenuta e creatività inespressa. Quelle cose che, alla fine, il
punto non è che incontri virus dove ti giri giri, è che sei tu
l'agente patogeno di te stesso e quindi c'è ben poco da borbottare.
Come
spesso mi succede quando sono estenuata dal caldo, dagli ostacoli e
dalle mille cose da risolvere, mi sono detta di provarle tutte: ho
pensato che, tra un aerosol e un altro, tra una bustina per
ripristinare le difese immunitarie latitanti della mia gola e un
bicchiere di Estathè che è sempre la panacea di tutti i mali,
potevo anche provare a capire se c'era davvero qualcosa di trattenuto
dalle mie corde vocali, qualche forma di risentimento o metamorfosi
rimasta impigliata nella mia faringe a provocare afonia, dolori e
colpi di tosse; quindi mi sono avvicinata al computer per aprire una
pagina di Word e provare a scrivere una lista di cose, ma ho trovato
Oris, seduta alla mia scrivania, praticamente sconvolta.
«Iris,
temo di aver preso un virus!», mi ha detto.
«Ancora?
Non è niente Oris, le bollicine sulla schiena si sono spente. Basta
con questa ipocondria!».
«Ma
non parlo di me, è successo qualcosa al computer. Chiaro che sono
stata io, sarò virale, gli avrò passato un microbo, ma non
funziona, Iris. Non funziona più...».
«Oris,
lo sai che c'è tutta la mia vita dentro a quel computer?», le ho
detto scoppiando in lacrime. «Come facciamo se si è rotto?».
«Accetteremo
la perdita. Sono sempre i migliori che se ne vanno...», mi ha
risposto lei, asciugandomi la faccia.
Nabot
e Tignoso se la sono risa alle mie spalle per entrambe le notti che
ho passato in bianco, sudata e malaticcia, a cercare di combattere il
terribile invasore a suon di antivirus.
«Dovresti
provare con le anatre corritrici indiane!», mi dicevano mentre io
urlavo contro mia sorella che erano colpa sua tutti i mali del mondo
e che meritava di essere chiusa dentro un camerino di Decathlon,
sommersa di tute e fantasmini per i piedi.
«Beh,
almeno ti è tornata la voce!», mi rispondeva lei per dissimulare.
La
mattina del terzo giorno, quando la situazione sembrava sotto
controllo – ma non si poteva ancora dire – è stata Oris che, con
il capo coperto di cenere, ha portato il computer in un centro di
assistenza per un controllo finale.
Almeno
lui è guarito.
Per
quanto riguarda me, invece, ci vorrà ancora del tempo.
Nabot
e Tignoso mi hanno detto che non se ne andranno fino a che non
saranno pronti per la prova costume, quindi io, loro e Oris stiamo
facendo i turni sulla mia nuova cyclette, anche se «cyclette» è un
modo improprio di chiamarla, visto che è anche – e più di tutto –
una bicicletta ellittica.
«Ellittica
come le ellissi geometriche, le ellissi temporali e quelle
linguistiche», dirò ai miei prossimi amici anziani, sul pullman
diretto alle terme di Ferentino.
Io,
Iris Versicolor, l'agente patogeno di me stessa.
Ti adoro.... :)
RispondiEliminaGrazie, Pamela! :)
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